Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 7
Diritto internazionale - prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti Pag. 1 Diritto internazionale - prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 7.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto internazionale - prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti Pag. 6
1 su 7
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Inoltre, la liberazione dei prigionieri americani, dal 1945 in poi, eliminò il rischio di ritorsioni per

trattamenti sfavorevoli attuati dagli Stati Uniti verso i reclusi di altre nazionalità. Un ruolo

importante giocò anche la crisi di beni di prima necessità che colpì gli Stati Uniti. Così, il menu dei

prigionieri che, inizialmente, era migliore e più abbondante rispetto a quello dei militari tedeschi, fu

ridotto dalle autorità statunitensi, che ricorsero a una nuova interpretazione dell’articolo 11 della

Convenzione di Ginevra del 1929: il menu dei detenuti doveva essere uguale a quello delle truppe

americane solo dal punto di vista dei valori nutrizionali. Fu così ridotta la razione di carne, di uova,

di zucchero e di frutta e verdura in scatola; persino la qualità deteriorò. La quantità di calorie si

mantenne comunque buona, superando di gran lunga le 2000 calorie giornaliere, anche se non fu la

stessa che veniva riconosciuta ai militari in forza agli Stati Uniti. Ciò dimostra come l’articolo 11

non fosse rispettato, soprattutto per i prigionieri non cooperatori . Al termine delle ostilità, dal

4

F. CONTI, op. cit., p. 74-77. Un colonnello dichiarò: «La lontananza dalla Patria e dalle famiglie hanno

2

reso i nostri uomini tristi e malinconici e gli americani che ben comprendono il loro stato d’animo hanno

ercato con ogni mezzo di dar loro conforto». Un soldato delle Isu (Unità Italiana di Servizio)

c

a ffermò: « L’America, da quello che ho potuto vedere, è un paradiso terrestre. Siamo stati molto fortunati

d’essere stati condotti qui […] sono stati buoni con noi. Ci hanno trattato molto bene. I miei due anni qui

sono trascorsi in un mondo che non sapevo esistesse. Io non ho che elogi per gli Stati Uniti». Un prigioniero

di Camp Florence (Arizona) disse: «Come fummo trattati? La risposta per me è una: fummo trattati come

uomini». Un detenuto di Camp Clark (Missouri) testimoniò: «Ho trentatré anni ma da quando sono qui mi

sento più giovane di dieci anni. Se [la mia famiglia] solo sapesse come sono soddisfatto e come siamo trattati

bene non si preoccuperebbe affatto per me». Così scriveva un altro prigioniero alla propria moglie: «finora

qui non mi è mancato nulla sia da mangiare che per vestire – anzi fin troppo – e ho avuto la possibilità di

lavorare in lavori inerenti le mie attitudini che mi hanno tenuto allenato, senza strapazzarmi». Altri parlavano

di «prigionia dorata», «ottima sistemazione» e servizi da «albergo», tanto che molti si stabilirono negli Usa

dopo la guerra. Da parte americane, una fonte recitava: «i soldati italiani […] diventarono i fortunati

beneficiari del più vasto e generoso programma per i prigionieri di guerra nella storia degli Stati Uniti. Il

trattamento dell’America dei prigionieri di guerra italiani […] rimane, in gran parte, uno splendido

trattamento per la nostra nazione, perché nessun altro paese trattò i suoi prigionieri di guerra così bene come

gli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale […] La maggior parte dei prigionieri di guerra italiani

avrebbero ricordato la loro detenzione in America come uno dei momenti migliori della loro vita».

F. CONTI, op. cit., p. 77.

3 F. CONTI, op. cit., p. 84-85: «È il caso del campo di Cortaro, situato a novanta chilometri da Florence, in

4

Arizona, dove, secondo un prigioniero, il vitto per un certo periodo era costituito da due fettine di pane e un

gavettino d’acqua al giorno. Alle Hawaii, dove erano stati inviati quasi esclusivamente prigionieri non

cooperatori, un prigioniero racconta che a Natale del 1944 era debilitato, perché il vitto consisteva in cibo in

scatola conservato in frigo. Nel campo del Torney General Hospital, in California, dove si trovavano 244

prigionieri non cooperatori, visitato da Guy S. Métraux, della Croce rossa internazionale, il 22 e 23 maggio

1945, i prigionieri che lavoravano ricevevano 2.400 calorie giornaliere, quelli che non lavoravano 1.800,

dunque meno di quelle stabilite dal Dipartimento della Guerra. L’esempio più drammatico di taglio delle

razioni fu però quello del campo di Hereford, in Texas, dove erano rinchiusi 2.700 prigionieri non

cooperatori, di cui 910 ufficiali, ossia in pratica tutti gli ufficilali non cooperatori negli Stati Uniti. Nella

primavera del 1945 le razioni furono molto ridotte e il 1° maggio i prigionieri trovarono a tavola un’aringa

maggio del 1945, si assistette a un’ulteriore riduzione dei viveri. Un rappresentante della Croce

Rossa Internazionale, in visita nel campo di Clearfield (Utah), prese atto della situazione, scrivendo:

«Il cibo era molto soddisfacente, in qualità e quantità, fino a circa maggio 1945, quando furono

inviati nuovi ordini a tutti i comandanti dei campi perché tagliassero le razioni. Ciò è da

considerarsi fortemente biasimevole perché la quantità di cibo concessa ai prigionieri non era in

grado di compensare la quantità di energia persa a causa dell’aumentato lavoro richiesto» .

5

Seguirono proteste da parte degli imprenditori, che utilizzavano i prigionieri come forza-lavoro e

che furono ascoltati: le calorie destinate ai prigionieri di guerra aumentarono e, negli spacci, fu

permessa la vendita di latte e crackers. Tutto sommato, le condizioni alimentari dei prigionieri

italiani, se si eccettuano alcuni casi e periodi, furono buone, soprattutto se confrontate a quelle dei

prigionieri angloamericani, detenuti in Italia, che non potevano godere di uova, latte, caffè, frutta,

alimenti che erano invece concessi agli italiani negli Stati Uniti. In Italia poi, i prigionieri non

potevano nemmeno acquistare viveri da consumare e sopravvivevano grazie agli invii di soccorso

della Croce Rossa americana .

6

Nei campi statunitensi, i detenuti italiani potevano acquistare generi alimentari, tabacco e

articoli per l'igiene personale in spacci appositamente creati dagli ufficiali americani e diretti dai

prigionieri stessi. Tutto ciò era conforme alle disposizioni dell'articolo 12 della Convenzione di

Ginevra del 1929. È importante ricordare che gli introiti degli spacci erano utilizzati a favore dei

prigionieri di guerra, dopo essere stati accreditati sul fondo centrale per i prigionieri di guerra,

creato il 18 agosto 1944. I prodotti acquistabili negli spacci variavano nei vari periodi storici. Fino

all'aprile del 1945, gli spacci erano colmi di birra, dolci, crackers e sigarette. Poi, gli spacci

subirono le medesime restrizioni che colpirono i viveri e mutarono le liste dei prodotti vendibili .

7

Nonostante ciò, le memorie dei prigionieri erano positive, come quella di Adriano Angerilli, che

ricorda così la cantina di Camp Weingarten: «era il nostro negozio, bar, tabacchi, edicola ove,

giornalmente passavano tutti i prigionieri per acquistarvi [...] Sapone, vaselline, dentifrici e

spazzolini da denti, crema da barba e scarpe con relativi accessori, lamette e rasoi gillette,

indumenti vari, cancelleria, tabacchi, coca-cola ed altre bevande e dolciumi di gusti tipicamente

americani, qualche giornale e riviste locali, nonché, una o due volte al mese, la frutta [...] per noi,

affumicata e due fette di pane da dividere in otto».

F. CONTI, op. cit., p. 84.

5 F. CONTI, op. cit., p. 77-88.

6 F. CONTI, op. cit., p. 88-91.

7

tutto era bello, buono, acquistabile: entrare nello spaccio era evadere dalla grigia e monotona

giornata [...] La «cantina» era una agognata parvenza di libertà e quasi un ritorno alla vita sociale» .

8

Inizialmente la lettera dell'articolo 12, per la parte relativa al vestiario, che doveva essere

adeguato e cambiato secondo necessità, non fu rispettata dalle autorità americane. Tuttavia, col

tempo e con l'usura delle uniformi, i prigionieri ricevettero nuovi vestiti. I detenuti lavoratori

avevano a disposizione indumenti adatti alla propria occupazione. Alcuni articoli erano inizialmente

gratuiti, poi furono disponibili negli spacci, dietro pagamento. I soldati, soprattutto se cooperatori,

potevano acquistare molti vestiti. Sugli indumenti dei detenuti (che non fossero ufficiali) andava

apposta la scritta «PW», cosa che fu ragione di non poche proteste .

9

L'assistenza sanitaria fornita ai prigionieri di guerra fu rispettosa del dettato degli articoli 14 e

15 della Convenzione di Ginevra del 1929. Gli ospedali erano adeguati e dotati di servizi separati. I

prigionieri erano divisi dai militari americani, ma ne condividevano il trattamento. Vennero adottate

misure per la prevenzione delle malattie infettive, attraverso controlli alla partenza dall'estero e

all'arrivo e periodi d'isolamento negli ospedali. I detenuti feriti e malati venivano inviati in

prossimità dei porti e, se possibile, mandati in ambulatori adeguati. Le visite venivano ripetute ogni

mese. Venivano predisposti vaccini contro le malattie infettive (vaiolo, tifo, paratifo). Di

conseguenza, i contagi rimasero molto bassi. Furono attuate anche misure per contrastare la malaria,

da cui molti prigionieri erano colpiti. I prigionieri che dovevano rimpatriare erano sottoposti a

precisi controlli, onde evitare la trasmissione di eventuali malattie nel paese verso cui erano diretti.

Tutte queste accortezze permisero ai prigionieri di godere di una salute addirittura migliore rispetto

a quella delle stesse truppe statunitensi: infatti, la media annuale di soggetti malati era di 480 su

1000 tra i prigionieri, mentre si attestava a 563 unità tra i militari. Se il numero di feriti era

maggiore tra i detenuti, la mortalità era di gran lunga superiore tra i soldati americani, che erano

maggiormente esposti agli attacchi dei nemici rispetto ai prigionieri. Tutti i detenuti italiani

ricevettero cure mediche adeguate in ogni caso ed ebbero un trattamento buono in strutture

all'avanguardia .

10

L'articolo 16 ottenne l'attenzione richiesta dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Infatti, ai

prigionieri italiani non solo fu permesso di professare la propria religione, ma fu anche resa

possibile la presenza della Chiesa cattolica negli Stati Uniti, molto attiva tramite sacerdoti e

cappellani militari .

11

F. CONTI, op. cit., p. 89-91.

8 F. CONTI, op. cit., p. 91-93.

9 F. CONTI, op. cit., p. 94-96.

10 F. CONTI, op. cit., p. 390.

11 La corrispondenza dei prigionieri di guerra fu problematica, poiché le autorità americane non

riuscirono a garantire le comunicazioni tra i detenuti e le proprie famiglie. L'osservanza degli

articoli 8, 36-41 della Convenzione di Ginevra del 1929 fu resa impossibile dal sempre crescente

numero di prigionieri che giungeva negli Stati Uniti. Peraltro, la censura operava correttamente.

<
Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
7 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Paolo Valli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Internazionale dei Conflitti Armati e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Giurisprudenza Prof..