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Service Units. Nelle prospettive di Badoglio sono dei battaglioni da mandare al
combattimento contro la Germania, ma in quelle Americane non saranno
battaglioni, ma truppe al servizio di quelle Americane (i prigionieri erano in
condizioni disastrose). Se Badoglio sperava che queste unità avrebbero avuto
un ruolo all’interno di questo nuovo esercito che sperava nascesse, gli
americani sapevano che sarebbero state unità di manovalanza. Le ISU non
erano qualcosa di concordato con Badoglio, e si sperava di avvisarlo a cose
fatte.
Gazzera chiarisce una disponibilità dei prigionieri a svolgere mansioni di basso
livello nelle ISU, ma anche una preferenza per il ritorno dei prigionieri sul
campo di battaglia. Do ut des.
Gazzera, fin dall’inizio, sostiene di stare agli ordini di Badoglio: se accetterà la
nascita delle ISU darà il suo assenso, in caso contrario no. Nel gennaio del 1944
viene rilasciato “on perol” (sulla parola): era destinato ad un ruolo importante
nelle ISU. Nell’aprile del 1944 nasce il comitato e diventa presidente. Gazzera
era portavoce della proposta di Badoglio della liberazione dei prigionieri italiani
e di un loro inquadramento come combattenti in battaglioni guidati da ufficiali
italiani per riacquisire credito nei confronti degli alleati e ridurre le clausole
dell’armistizio, come promesso in Quebec da Eisenhower e firmato da Churchill,
Roosevelt e Stalin.
Furono immediatamente organizzati i battaglioni con le forze italiane rimanenti.
Gli alleati mostrarono un atteggiamento bivalente nei confronti dell’operato
italiano: da un lato incoraggiavano la creazione dell’esercito, ma nei fatti
tendevano a ridimensionare l’apporto che sarebbe derivato dall’intervento.
C’erano visioni diverse anche tra gli alleati, dalla volontà della caduta della
collaborazione italiana da parte di Alexander, all’appoggio deciso di
Eisenhower.
L’Italia venne rappresentata alle armi col 1° battaglione motorizzato. Ma le
ragioni che avrebbero portato gli alleati a limitare l’apporto del governo
Badoglio era da imputare anche alle condizione dell’esercito italiano: scarsità
ed obsolescenza dell’equipaggiamento, come ammesso dai vertici italiani che
sapevano di dipendere in tal senso dagli alleati.
Oltre a questo, c’erano fattori tipici della situazione italiana: il governo del Sud
era debole, e non avrebbe potuto far rispettare le leggi sul reclutamento e
represso sentimenti qualunquisti nei confronti del conflitto. Con la firma
dell’armistizio erano poi caduti i rapporti tra ufficiali e subordinati, coi secondi
che si mostravano ostili ai primi. I tentativi per ripristinare l’ordine nei reparti
non avevano buon esito: rimaneva l’insofferenza per lo Stato e per il
patriottismo.
Tra i paracadutisti rimanevano forti sentimenti fascisti e correvano voci poco
rassicuranti sulla loro fedeltà. Episodi di saccheggio e indisciplina erano
all’ordine del giorno, e rimanevano i dubbi degli alleati su un loro
coinvolgimento nel conflitto antifascista.
Da qui l’annuncio il 9 ottobre che i prigionieri italiani sarebbero stati impiegati
non come combattenti, ma come “ausiliari nelle retrovie”.
Contestualmente alla ricostituzione dell’esercito del regno del Sud, si iniziarono
a richiamare dalla prigionia gli ufficiali più utili alla causa. Gli alleati non
ponevano problemi per pochi nomi, ma per gli altri si. Inizialmente vennero
rimpatriati 25 ufficiali, poi le richieste videro altre 5 liste (125 uomini) per un
totale di 150 uomini. Venne però meno quella limitata disponibilità americana
sul rimpatrio di questi 125: le valutazioni alleate di costi-benefici di una
partecipazione italiana al conflitto non coincidevano con quelle italiane.
Si arriva ad uno stallo: nessuna decisione viene presa, mentre le trattative per
il rimpatrio dei 125 continuano. Nel giugno 1944 le autorità statunitensi
scavalcano il comitato: entrano nei campi e chiedono un’adesione individuale
ai prigionieri per le ISU. Significava che chi aderiva ai battaglioni diventava
collaboratore degli americani (con dei vantaggi, come la libertà di movimento
dei campi, l’uso della posta e del telegrafo, il vedere amici e parenti negli USA.
Chi non firmava era considerato fascista: non solo non avrebbe avuto i privilegi,
ma sarebbe stato discriminato. L’unità dei prigionieri viene rotta, e si formerà
in tutto il mondo un fronte di prigionieri collaboratori e uno di prigionieri
fascisti.
Badoglio contesta la mossa: chi aveva aderito alle ISU non aveva firmato per
combattere contro la Germania, ma per essere sottoposti ad altri lavori (senza
chiedere l’assenso del governo Italiano). In secondo luogo, la firma dei
collaboratori significava la condanna dei secondi. L’alto commissariato era
indignato perché questo consenso avrebbe dovuto essere organizzato a livello
statale: sarebbe stato lo Stato, e non i prigionieri a livello individuale, ad
accettare o no la creazione delle ISU. I prigionieri che accettavano si
sottraevano all’autorità statale, stando alle decisioni USA piuttosto che a quelle
del governo Italiano.
I prigionieri che avevano deciso si non firmare non erano tutti fascisti: molti
avevano deciso di non firmare perché il governo Badoglio non aveva dato
l’assenso.
Su 50.000 avevano aderito circa 36.000 uomini. Questi 14.000 che non
avevano firmato, quasi tutti erano ufficiali, sostenendo di essere fedeli a
Badoglio. Chi non aveva firmato era stato mandato in Texas, nel campo di
Hereford.
I firmatari erano comunque considerati prigionieri, in quanto non avrebbero
contribuito direttamente al combattimento, il che implicava due fatti: che i
prigionieri non sarebbero stati rimpatriati, ma sarebbero rimasti in America al
servizio delle esigenze lavorative militari e civili; e che avrebbero continuato
ad essere prigionieri.
La nascita delle ISU viene decisa unilateralmente dalle forze alleate. Nel 1944
viene presentato alla commissione alleata di controllo un progetto che
proponeva la trasformazione dei prigionieri italiani in lavoratori da impiegarsi
sotto il comando delle nazioni unite in qualunque parte del mondo e missione
fosse di interesse. Badoglio lo respinge, chiedendo una commissione anche
italiana. Le trattative si sospendono.
Gli americani forzarono allora il blocco e i militari vennero organizzati in unità di
lavoratori che sarebbero stati comandati da ufficiali alleati con lo status di
prigionieri di guerra. Questo nasceva dalla volontà americana di sfruttare il
lavoro dei prigionieri italiani. A capo del progetto viene messo un ex addetto
all’ambasciata militare di Roma, John Eager.
L’adesione dei 50.000 prigionieri italiani è di circa 36.000. Gli ISU percepivano
uno stipendio, oltre all’indennità di prigionieri, in parte in contanti, in parte in
buoni per lo spaccio. Venivano concessi buon vitto e alloggio, e svaghi esterni
(cinema, sport). Libera circolazione nei campi, uso del telegrafo e telefono.
Potevano ricevere visite di parenti e amici negli USA.
Nacquero addirittura delle polemiche riguardo gli eccessivi benefici delle ISU,
che partecipavano alla vita sociale americana, andavano in chiesa e si
muovevano, seppur accompagnati da americani, per la città. Gli americani
sostenevano che in base agli accordi internazionali e al fatto che fosse stata
una loro scelta quella di entrare nelle ISU (il che li rendeva utilizzabili per
speciali lavori vietati dall’accordo di Ginevra ai prigionieri), oltre alla mancanza
di manodopera, tali privilegi fossero giustificabili. Avevano inoltre attuato una
selezione, scartando gli elementi ritenuti fascisti.
Matematicamente, gli americani risparmiavano un milione di dollari al mese, se
tali lavori avessero dovuto essere svolti dagli americani.
Selezione e addestramento:
Screening: selezione dei prigionieri nei campo, attraverso le valutazioni
degli ufficiali e di un questionario preliminare. Poi c’era un colloquio.
Addestramento di 2-3 mesi. Gli italiani avevano difficoltà con l’inglese,
fatto spiegabile per l’estrazione contadina e l’analfabetismo ancora
diffusi, e l’insegnamento dell’inglese venne progressivamente ridotto fino
a concedere loro di impartire ordini in italiano. Ebbero anche problemi
con macchinari e apparecchiature tecnologiche in generale.
La decadenza della convenzione di Ginevra per gli aderenti alle ISU era
un’anomalia giuridica, e una decisione unilaterale statunitense. In quanto co-
belligeranti, gli italiani avrebbero dovuto decadere da prigionieri, ma ciò non
era accaduto. I prigionieri erano stati divisi tra cooperatori e non-cooperatori,
senza che essi avessero potuto rivolgersi al governo di Badoglio (che non ne
aveva autorizzato la creazione) per la scelta. Gli aderenti inoltre avevano
conservato lo status di prigionieri, ma senza essere più tutelati dalla
convenzione di Ginevra. Cosa che non viene menzionata nel documento
firmato per l’adesione alle ISU.
Le richieste italiane di chiarimenti rimasero inascoltate, a causa dello scarso
potere contrattuale italiano e dell’utilità del lavoro svolto dalle ISU. Inoltre il
modo di porsi americano verso le potenze dell’asse era quello di chi aveva
vinto, e poteva adottare qualunque decisone nel principio della resa
incondizionata. L’Italia aveva sì firmato un armistizio, ma in realtà era una vera
e propria resa.
Chi invece scelse di non collaborare ebbe pessimo vitto e alloggio, furono
moralmente distrutti. Molti non avevano rifiutato la collaborazione perché
fascisti, ma perché fedeli a Badoglio, perché temevano di essere ri-mandati a
combattere o perché temevano ripercussioni naziste sulle famiglie. Altri erano
ancora fermamente fascisti: le autorità americane li riconoscevano tutti come
tali, e puntava ad utilizzarli per i lavori pesanti o a deportarli. Il governo italiano
non aveva autorizzato questa divisione sommaria. La scoperta in Europa dei
campi di concentramento ebbe le sue ripercussioni sul trattamento dei
prigionieri che, benché non tedeschi, furono equiparati ad essi.
Manca da definire il ruolo di coloro che avevano aderito alle ISU, ma che di
fatto non erano operativ. E’ un fatto dovuto a esuberi di organico, più che a
motivazioni politiche. Un fatto casuale. Inizialmente furono loro garantiti
determinati privilegi, decaduti in seguito e causando in loro uno stato di
malcontento e incertezza. A questi prigionieri era garantito un trattamento
diverso rispetto a quello degli altri lavoratori delle ISU, Anche la possibilità di
corrispondenza all’interno del territorio americano .
Ciò che preoccupava l’Alto commissariato non era l’inattività dei