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L’articolo 4 della III Convenzione di Ginevra afferma che possono godere dello status di
prigionieri di guerra solo i “legittimi combattenti”. Le disposizioni convenzionali operano «una
scelta relativamente precisa» , individuando tale categoria. Da questo punto di vista, la
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Convenzione ha introdotto la distinzione tra combattenti legittimi e combattenti illegittimi. La
distinzione è di importanza cardinale e la sua finalità è quella di assicurare che i conflitti armati
internazionali siano combattuti tra i combattenti delle Parti in guerra e risparmino i civili nella
misura del possibile . Per questo i combattenti legittimi hanno il diritto di combattere in tempo di
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guerra.
Seguendo tale impostazione e l’articolo 4 della III Convenzione di Ginevra del 1949, riportato
in nota (limitatamente alla parte che interessa alla trattazione relativa ai combattenti legittimi) ,
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sono prigionieri di guerra coloro che siano caduti nelle mani dei nemici e siano:
1) membri delle forze armate di una Potenza o membri delle milizie e corpi di volontari del
medesimo esercito;
2) membri di altre milizie e altri corpi di volontari, inclusi i movimenti di resistenza
organizzati, che operano nel proprio territorio, anche se occupato, o fuori da questo, purché
soddisfino quattro condizioni fondamentali :
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E. GREPPI, op. cit., p. 18.
1 Y. DINSTEIN, The Conduct of Hostilities under the Law of International Armed Conflict, Cambridge,
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2010, p. 33.
Art. 4. A. «Sono prigionieri di guerra, nel senso della presente Convenzione, le persone che, appartenendo
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ad una delle seguenti categorie, sono cadute in potere del nemico:
1. i membri delle forze armate di una Parte belligerante, come pure i membri delle milizie e dei corpi di
volontari che fanno parte di queste forze armate;
2. i membri delle altre milizie e degli altri corpi di volontari, compresi quelli dei movimenti di resistenza
organizzati, appartenenti ad una Parte belligerante e che operano fuori o all’interno del loro proprio territorio,
anche se questo territorio è occupato, sempreché queste milizie o questi corpi di volontari, compresi detti
movimenti di resistenza organizzati, adempiano le seguenti condizioni:
a. abbiano alla loro testa una persona responsabile dei propri subordinati;
b. rechino un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;
c. portino apertamente le armi;
d. si uniformino, nelle loro operazioni, alle leggi e agli usi della guerra».
a) abbiano un comandante responsabile dei propri soldati. Questo requisito è tracciato in
modo da escludere singoli soggetti, che vengono definiti ‘franchi tiratori’, i quali non sono alle
dipendenze di nessun comandante responsabile. È possibile che piccole unità di forze armate
irregolari possano avere accesso a un conflitto, nel rispetto delle altre condizioni successive, ma è
categoricamente vietata la conduzione di conflitti armati in campo internazionale da parte di
individui che operano sulla base della propria iniziativa ;
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b) abbiano un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza. Tale requisito, in realtà, si
scompone nella doppia condizione della distinzione e della fissità. La distinzione permette di
identificare le forze armate che utilizzano il segno distintivo, mentre la fissità ha la funzione di
evitare che il nemico sia confuso da continui cambiamenti di detto strumento caratterizzante. Come
esempio principale di segno distintivo, Y. DINSTEIN richiama l’uniforme ufficiale, non per forza
completa di tutte le insegne che le sono proprie. Perciò, spesso accade che le Forze Speciali vestano
uniformi atipiche, il che è possibile se l’esercito è comunque distinguibile dai civili. Ciò vale, a
maggior ragione, per le forze irregolari, a cui non è richiesto di indossare uniformi elaborate, purché
espongano un emblema fisso meno complesso, sia esso una parte di un capo o un’insegna. Quel che
conta, in ogni caso, è che i militari indossino il segno fisso ogni volta che sia probabile lo scontro
con il nemico, con la precisazione ulteriore che tale segno non venga rimosso per nessuna ragione.
Una conseguenza del presente requisito è che, ovviamente, l’uniforme non è richiesta in situazioni
di riposo o di impieghi in retro-ufficio o in una zona lontana dal teatro di guerra. Inoltre, i soldati
possono lasciare le proprie casacche nelle tende, durante un bivacco notturno, anche se sono
impegnati in una missione armata. Nell’evenienza di un attacco nemico, tali soggetti hanno la
E. GREPPI, op. cit., p. 18, nel riportare i requisiti dell’articolo 4 della III Convenzione di Ginevra del
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1949, indica alcuni esempi tipici di soggetti intitolati di divenire prigionieri di guerra, qualora siano catturati:
«Ai sensi dell’art. 4, sono considerati legittimi combattenti le seguenti categorie di soggetti:
1. appartenenti alle forze armate regolari
2. membri di corpi volontari aggregati (ad esempio, la “Legione straniera”) e delle milizie incorporate (come
la “Milizia volontaria per la sicurezza nazionale”)
3. appartenenti ad altre milizie e corpi volontari non incorporati nelle FF.AA. regolari, compresi i membri
delle forze di resistenza organizzate (come il CVL [Corpo Volontari della Libertà, prima struttura di
coordinamento generale della resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale] o i Maquis), a
condizione che:
a. siano al comando di persona responsabile
b. portino un segno distintivo fisso, riconoscibile a distanza
c. portino apertamente le armi
d. si conformino alle leggi e agli usi di guerra».
Y. DINSTEIN, op. cit., p. 43, che esemplifica come segue: «John Doe or Richard Roe cannot lawfully
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conduct a private war against the enemy».
facoltà di usare le armi per difendersi, senza che si crei nessun problema relativamente al loro stato
semi-nascosto .
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La prassi ha rilevato problemi sulla condizione della riconoscibilità a distanza dell’emblema
fisso. Naturalmente è permesso il camuffamento quale tipico uso di guerra per evitare l’attacco, con
il fine di non attirare l’attenzione su di sé. Inoltre, in caso di combattimenti notturni, non è
necessario che i soldati portino un emblema illuminato. La ragione della disposizione non è data
dall’esigenza che i prigionieri siano visibili, ma dalla possibilità di distinguerli dai civili.
La stessa condizione della visibilità a distanza vale per veicoli, carri armati, navi da guerra o
aerei militari, che devono recare un’insegna che li identifichi, condizione, questa, supplementare
all’obbligo dei soldati di vestire l’uniforme, per evitare che, una volta fuori dal mezzo, siano confusi
con dei civili ;
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c) portino apertamente le armi. Ciò che conta, come nella condizione b), è il nocciolo del
requisito: un combattente legittimo deve evitare di essere confuso con un civile, portando le armi in
modo ragionevole, a seconda delle caratteristiche delle armi e delle circostanze .
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d) rispettino le leggi e gli usi della guerra, cioè il diritto dei conflitti armati. Tale requisito è
la chiave per capire la base della distinzione tra combattente legittimo e combattente illegittimo. Il
rispetto delle norme del diritto internazionale dei conflitti armati, infatti, non deve essere attuato per
il solo scopo di usufruire dei benefici a esso collegati. Ciò vale per qualsiasi condotta incompatibile
con le norme e le consuetudini di guerra, non solo per i crimini di guerra . La categoria del punto 2)
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dell’articolo 4 della III Convenzione di Ginevra del 1949 ha avuto uno sviluppo recente, in
particolare durante la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla nascita dei movimenti di resistenza
contro le forze dell’Asse .
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Le quattro condizioni sopracitate sono molto strette e discriminatorie perché il combattente,
per essere regolare, deve rispettare un insieme di obblighi molto più stringenti rispetto a colui che
combatte come militare, per mestiere e in modo palese .
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6 Y. DINSTEIN, op. cit., p. 43-45.
Y. DINSTEIN, op. cit., p. 44-45.
7 Y. DINSTEIN, op. cit., p. 45. L’autore, in particolare, si chiede: «Does condition (iii) imply that a
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combatant is barred from carrying a sidearm in a holster or hand grenades in a pouch?».
Y. DINSTEIN, op. cit., p. 45.
9 R. KOLB, Ius in Bello: Le Droit International des Conflits Armés, Bâle / Bruxelles, 2003, p. 160, che
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aggiunge: «Ainsi s’explique une certaine sympathie pour ces mouvements, reflétée dans le droit de la
Convention III, à l’article 4 A 2)».
Questa è l’opinione di R. KOLB, op. cit., p. 161.
11 Nella redazione dell’articolo 4, la III Convenzione di Ginevra riprende le quattro condizioni
dell’articolo 1 del Regolamento dell’Aja del 1907, aggiungendone tre, che hanno acquisito valore di
diritto consuetudinario. L’articolo 4 (2) (a) della III Convenzione di Ginevra non solo ricalca le
condizioni del Regolamento dell’Aja, ma ne inserisce due ulteriori, che possono essere agevolmente
tratte dall’interpretazione letterale della norma: l’organizzazione e l’appartenenza a una Parte
belligerante . In più, la pratica ha associato (Caso Koi) ai precedenti sei, quello che è divenuto il
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requisito della mancanza del dovere di fedeltà alla Potenza detentrice . L’organizzazione deve
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avere le seguenti caratteristiche: i combattenti legittimi devono essere inseriti in un ordine
gerarchico, seguire una disciplina precisa ed essere subordinati a vertici di comando . Invece,
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l’appartenenza a una delle Potenze può essere spiegata richiamando il caso Kassem, giudicato da
una corte militare israeliana nel 1969. In quella situazione, soggetti appartenenti al Fronte Popolare
per la Liberazione della Palestina avevano attraversato il Giordano dalla East Bank alla West Bank
per compiere operazioni di sabotaggio. Essi furono catturati e chiesero di essere trattati come
prigionieri di guerra. La corte militare d’Israele affermò che non era stata rispettata la condizione
del comando responsabile, perché il Fronte Popolare non aveva ricevuto il riconoscimento di nessun
governo arabo in guerra con Israele . Pur criticato, tale giudizio fu ripreso dalla Camera d’Appello
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del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia nel caso Tadić (1995), secondo il quale, per
essere combattente legittimo, occorre il controllo da parte di uno Stato che partecipi al conflitto e la
dipendenza e l’alleanza allo stesso .
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La ragione per cui è richiesta l’appartenenza di un movimento a una Parte belligerante è
evidente: il diritto mira ad assicurare che i militari combatt