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CEDU.
Prima del 2001 la CEDU nell’ordinamento italiano aveva solo valore di legge.
Prima del 2001:
- prassi del giudice di disapplicare la legge, anche successiva, in contrasto con la
CEDU; due basi: 1. specialità della legge di esecuzione “fonte riconducibile a
competenza atipica”; 2. assimilazione al diritto UE “l’UE rispetta i diritti fondamentali
quali sono garantiti dalla CEDU.
Dopo la legge costituzionale del 2001:
Nuovo art. 117 1° c. Cost.
-> Sentenze gemelle 348 349/2007: i trattati hanno sempre il rango delle leggi di
esecuzione, ma sono protetti dall’art. 117 => norma interposta, orbita costituzionali. Il
principio fondamentale che può essere estradato da entrambe è proprio questo. S era
legge tale rimane, la sua protezione è un bene costituzionalmente garantito.
I trattati in Italia hanno il valore di norma interposta tra la costituzione e la legge
semplice. Il conflitto tra una norma interna e il trattato deve quindi essere demandato
alla competenza della corte costituzionale.
Sent. corte cost. n. 49 del 2015 : il giudice comune è vincolato alla giurisprudenza CEDU
quando:
1) la decisione della corte EDU definisce la causa di cui egli si occupa (—> anche
disapplicazione diretta)
2) la giurisprudenza è consolidata (art. 28 CEDU)
3) si tratta di una cd. “sentenza pilota” la corte Edu è anch’essa oberata di lavoro, ci
sono tantissime cause pendenti, si sono inventati vari strumenti, uno di questi è proprio
questo: ovvero siccome molti casi davanti alla corte sono identici, che avrebbe dovuto
risolvere allo stesso modo singolarmente -> risolve il caso che prende ad esempio e
qualora dia ragione al ricorrente spiega anche qual è il problema di fondo
dell’ordinamento e dà suggerimenti per risolverlo e una scadenza, nel frattempo la corte
tiene congelate tutte le cause identiche, se non lo fa riattiva la sua funzione, procede alle
altre case e condanna il paese. L’Italia è stata condannata per la lunghezza dei processi
e per il sovraffollamento delle carceri.
Il giudice non è vincolato quando:
1) la sentenza innova rispetto alla giurisprudenza precedente
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2) ci sono opinioni dissenzienti e soprattutto se sono bene argomentate
3) la pronuncia è di una sezione, non della Grande Camera
4) il caso riguarda un ordinamento con proprie specificità
paolo.turrini@unitn.it
mercoledì 10 - 12 a.m.
15/03
L’unica cosa che si può chiedere è una fideiussione, una garanzia reale, perché è
difficile che un giudice obblighi un diplomatico ad adempiere.
Ci sono casi in quali anche l’applicazione della teoria dei controlimiti da i risultati sperati,
ed è proprio il caso Russell. La corte in tal caso ha cercato di preservare il diritto
dell’individuo di agire in giudizio in attuazione dell’art. 24 anche se questo agire in
giudizio finiva col mettere in dubbio delle norme sull’immunità diplomatica derivanti
dall’art. 10 cost. oltre che dalle varie convenzioni al riguardo. Problema analogo si
presenta nel caso Germania Italia, dove il punto è da un lato agire in giudizio per la
tutela dei propri diritti soggettivi e dall’altro la immunità degli stati dalla giurisdizione.
È necessario che si conoscano bene i termini della questione, ovvero che è possibile un
conflitto tra norme consuetudinarie e norme costituzionali, la corte può affermare la
teoria dei controlimiti come ha affermato in ambito europeo. Quando si trovano in
contatto due norme di pari rango, si dovrà trovare la soluzione caso per caso.
La questione dei marò. Arrestati a metà febbraio 2012 in India con l’accusa di aver
ucciso due pescatori al largo delle coste sud occidentali dell’India. Il 15 febbraio 2012 ci
fu un conflitto a fuoco vennero sparati dei colpi di mitragliatrice da una nave mercantile
italiana che aveva a bordo alcuni sottufficiali di marina e che transitava in acque nelle
quali in passato si erano verificati alcuni episodi di pirateria. La pirateria è un crimine
posto in essere solitamente in mare, anche se oggi si parla anche di pirateria aerea, da
parte di individui che agiscono a titolo personale e che quindi non utilizzano per le loro
attività la bandiera di uno stato, non sono legati a uno stato dal punto di vista delle azioni
che pongono in essere. È un crimine molto antico che si caratterizza per esser posto in
essere in acque non sottoposte alla giurisdizione di alcuno stato da parte di individui che
agiscono a titolo individuale e che pongono in essere azioni a volte anche violente per
scopi che solitamente possiamo riassumere nell’arricchimento nel depredare le navi o
comunque dei mezzi utilizzati in mare, e rispetto a queste azioni tradizionalmente tutti gli
stati della comunità internazionale sono autorizzati a intervenire per reprimere e far
cessare questo tipo di atti. Rispetto ai pirati cade quel diaframma che assiste invece
rispetto ai cittadini di uno stato che obbliga tutti gli altri a garantire una certa protezione.
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Nella prima decade di questo secolo episodi di pirateria si sono registrati sovente in
acque internazionali soprattutto nella zona dell’oceano indiano più vicina alle coste
africane, Somalia, Kenya, poi il fenomeno si è diffuso anche in altre zone di mare vicino
alla Malesia, o Singapore, a estremo oriente. Per far fronte a questo fenomeno le
nazioni unite hanno lottato risoluzioni in cui si invitavano gli stati a porre in essere tutte le
misure necessarie perché questi atti venissero prevenuti o puniti, utilizzando qualsiasi
mezzo, anche la forza. Sequestrare oppure chiedere il riscatto per una petroliera può
rendere a un pirata milioni di dollari, perché è chiaro che si tratta di imbarcazioni che
hanno un carico molto prezioso e anche se lo scopo è solo quello di chiedere u riscatto,
si arrecano vari danni, anche agli armatori ecc. Anche alcuni paesi hanno lottato delle
legislazioni che regolamentavano la presenza a bordo di navi mercantili di militari, fra
questi anche il nostro paese. Per far fronte a questa emergenza anche questa nave
italiana al largo delle coste indiane aveva chiesto alla marina di poter disporre di alcuni
fuciliere che potessero proteggere la nave. È successo che il 15 febbraio c’è stata
un’esplosione di alcuni colpi di mitragliatrice verso un’imbarcazione che si presumeva di
pirati, dopodiché la nave italiana ha continuato la propria navigazione, fino a che non è
stato richiesto di entrare nel porto di? in India per riconoscere alcuni pirati che erano
stati trovati -> la nave è rientrata e in quel momento sono saliti a bordo gli ufficiali indiani
e hanno provveduto al fermo dei due fucilieri di marina, di due soldati imputandoli
dell’uccisione di due pescatori che erano bordo del peschereccio che era stato fatto
oggetto dei colpi. La ragione vera per la quale erano stati invitati a rientrare era
procedere al fermo di coloro che le autorità indiane ritenevano responsabili
dell’uccisione. Di fronte a queso atto delle autorità indiane, prima il comandante della
nave, poi le autorità politiche italiane, chiedevano l’immediato rilascio, dal momento che
in primo luogo secondo noi i fatti si erano verificati in acque internazionali e comunque i
fucilieri di marina godevano di immunità funzionale dal momento che agivano a
protezione del mercantile su mandato delle stesse autorità italiane, che in adempimento
della risoluzione Onu erano stati imbarcati. Ci si avvale di garanzie poste a tutela della
funzione, inoltre le persone delle quali parliamo non erano mercenari ma erano
sottufficiali dello stato, organicamente legate allo stato italiano. Inoltre i fatti erano
avvenuti in acque internazionali, e mentre se fossero avvenute nelle acque indiane
sarebbero stati competenti gli indiani, invece secondo il diritto del mare sarebbe stato lo
stato della bandiera a giudicare quanto avvenuto e a giudicare i responsabili di questi
fatti. Le autorità indiane instaurarono immediatamente una procedura, che vide
impegnate le autorità giudiziarie locali, le quali ritenevano in primo luogo che if atti si
fossero verificati non in acque internazionali ma all’interno delle acque territoriali indiane
e quindi loro giudici avevano competenza, allo stesso tempo negavano che potesse
essere invocata l’immunità funzionale e addirittura invece in una certa fase del
procedimento sostennero che si sarebbe potuto applicare una legge indiana adottata in
applicazione di una convenzione internazionale del 1988 sulla navigazione marittima,
che prevedeva per i responsabili del delitto di omicidio addirittura la comminazione della
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pena di morte. Attraverso varie fasi le autorità indiane, che a tutt’oggi non hanno
formulato un vero capo d’imputazione, dopo un anno, nel 2013 le autorità indiane
concessero una seconda licenza (la prima nel Natale 2012) nel febbraio marzo 2013 per
permettere ai fucilieri di votare. Di fronte alla minaccia della cosiddetta “sua” della legge
indiana che prevedeva anche la pena di morte, le autorità italiane in particolare il
ministro degli esteri comunicarono alle autorità indiane non sarebbero rientrati in India,
instaurando così una controversia internazionale, dal momento che il loro rientro
avrebbe comportato il rischio di essere processati e condannati a morte. La situazione si
ingarbugliò nel momento in cui le autorità indiane reagirono a questa decisione del
ministero degli esteri, concordata col presidente del coniglio e i ministri della difesa e
delle attività economiche, le autorità indiane dissero che avrebbero impedito
all’ambasciatore di Italia a New Delhi, Mancini, di lasciare il paese, perché egli nel
momento in cui era stat concesso ai due soldati di rientrare in Italia, aveva firmato quello
che viene denominato “affidavit”, aveva garantito il rientro dei due soldati. L’11 marzo il
ministro degli esteri Terzi dichiarava che i due soldati non sarebbero rientrati in India, il
22 marzo i soldati invece tornarono. Questo costò le dimissioni all’ambasciatore Terzi,
ad esse obbligato e soprattutto non pose fine alla vicenda dei due fucilieri di marina che
continua a occupare ancora oggi le pagine dei giornali. Il comportamento delle autorità
indiane era assolutamente contrario al diritto internazionale, perché le immunità
diplomatiche dovrebbero valere in qualsiasi caso, non si può sequestrare il passaporto
diplomatico a un ambasciatore senza nessun motivo. Oggi uno è in Italia, l’altro è nella
sede della nostra ambasciata a New Delhi a una sorta di detenzione domiciliare. Nel
2015 fu iniziata una nuova procedura previst