Riassunto esame Diritto Internazionale, prof. Daniele, libro consigliato Diritto Internazionale, Leanza
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CAPITOLO III:
IL MULTILATERALISMO E LE SUE CONSEGUENZE: LE ORGANIZZAZIONI
INTERNAZIONALI
II multilateralismo e il fenomeno delle organizzazioni internazionali
II fenomeno del multilateralismo si è sviluppato a partire dalla seconda guerra mondiale
sostituendo il bilateralismo del diritto internazionale classico
Tale fenomeno ha coinciso con la creazione di organizzazioni internazionali alle quali sono
state delegate dagli Stati molte funzioni ed attività prima rientranti nella loro esclusiva
competenza Gli Stati allora non agiscono più solo in funzione di interessi individuali ma
tendono a far convergere i propri interessi creando situazioni collettive disciplinate da atti
collettivi: ciò avviene attraverso la conferenza internazionale (che sostituisce il negozio
bilaterale)
- Alla fine di un incontro multilaterale svolto nell'ambito di una apposita conferenza o di una
organizzazione internazionale, viene stipulato così un accordo multilaterale, adottato secondo il
principio di maggioranza (che sostituisce la vecchia regola dell'unanimità)
Si può anzi dire che le organizzazioni internazionali a carattere permanente sono state create
proprio attraverso il sistema delle conferenze internazionali ed hanno così caratterizzato
diversamente la comunità internazionale, la quale è diventata una società di unioni organizzate
di Stati (anziché una società di soggetti individuali)
Quindi le organizzazioni internazionali sono nate perché gli Stati non riuscivano più a gestire
individualmente i grandi interessi internazionali, essendo necessaria l'opera di un ente terzo che
si sostituisce a quella dei singoli in quanto più adeguata al raggiungimento del fine comune, che
così da soggettivo diventa oggettivo
- Però il multilateralismo e le organizzazioni internazionali non sono riusciti ancora a cambiare la
struttura " volontaristica " della comunità internazionale moderna sia per la struttura di tali enti
che per il fatto di non poter adottare atti vincolanti per gli Stati
Le organizzazioni internazionali sono quindi associazioni volontarie di soggetti di diritto
internazionale, costituite con accordi internazionali e disciplinate nei rapporti fra le parti da
norme di diritto internazionale, che si concretano in un ente a carattere stabile avente un proprio
ordinamento giuridico, propri organi e propri istituti
- Ma se l'interesse unitario finisce col prevalere sugli interessi particolari degli Stati membri, essi
perdono la loro sovranità e vengono sostituiti dall'ente da loro stessi creato; se invece a
prevalere sono gli interessi particolari, si rimane a livello di una cooperazione intentatale
organizzata ma l'organizzazione può estinguersi se non riesce più a perseguire i suoi scopi
La sua evoluzione: dalla cooperazione intentatale all'integrazione fra stati
-Le organizzazioni internazionali sono nate verso la metà del XDC secolo per 2 ordini di motivi:
uno di carattere politico ed uno di carattere tecnico
-Il motivo politico era dato dalla difesa dell'ordine internazionale e del pluralismo sovrano
minacciati da vari tentativi di REDUCTIO AD UNUM che si andavano spesso formando dopo
le guerre napoleoniche: per questo venne creato il ed. Concerto europeo, prima organizzazione
internazionale (sorta quindi a fini politici)
-Il motivo tecnico ed economico era dato invece dall'esigenza di forme di cooperazione
economica e tecnica tra gli Stati vista l'ingente industrializzazione della società europea (non
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essendo più sufficienti in materia né gli strumenti unilaterali nazionali né quelli di cooperazione
internazionale tradizionali cioè l'accordo e la conferenza): per questo vennero istituiti i ed.
bureaux internazionali, altro esempio di organizzazioni la cui struttura amministrativa è però
strettamente collegata ad una amministrazione statale.
Solo più tardi le organizzazioni internazionali divengono autonome e distinte dalle strutture
amministrative degli Stati di sede, i quali non le controllano più ma si limitano solo ad accettare
che esse operino nel loro territorio
Mentre quindi gli Stati continuavano a soddisfare i rapporti di vita interna attraverso strumenti
nazionali unilaterali, essi regolavano ora i rapporti di vita esterna attraverso le organizzazioni
internazionali, cioè strumenti di cooperazione internaz. diversi dall'accordo e dalla conferenza
-Ma, intorno alla seconda metà del XX secolo, a causa della decolonizzazione e dell'incapacità
degli Stati coloniali di colmare il dislivello esistente tra loro ed i nuovi Stati, le organizzazioni
internazionali hanno iniziato ad occuparsi non più solo dei rapporti interstatali, ma anche di
quelli interindividuali, iniziando a penetrare nei settori del dominio riservato degli Stati (anche
se formalmente i loro atti non erano ancora vincolanti ma basati sulla volontà degli Stati)
-Tale fenomeno del multilateralismo internazionale nasce quindi già all'epoca delle 2 guerre
mondiali, grazie all'istituzione delle Società Unite, ma raggiunge l'apice solo più tardi, con la
creazione prima dell'ONU (e di tutto il sistema di organizzazioni specializzate che ne deriva) e
poi di varie organizzazioni regionali
Così, mentre inizialmente le organizzazioni internazionali risolvevano i problemi interstatali
attraverso il metodo del coordinamento (per cui esse proponevano solo gli obiettivi e gli
strumenti adeguati ma erano pur sempre gli Stati a concretizzare l'azione creando strumenti
conformi ai modelli da quelle proposti), con l'intensificarsi della vita internazionale esse
utilizzano invece il metodo dell'integrazione (per cui sono esse stesse a determinare
direttamente gli strumenti per conseguire quegli obiettivi e risultati voluti, in sostituzione degli
strumenti propri e tradizionali degli Stati: ne è un esempio la Comunità europea) Tuttavia anche
il fenomeno dell'integrazione rimane convenzionale perché sono sempre gli Stati, attraverso gli
accordi istitutivi, che decidono di trasferire alle organizzazioni internazionali la competenza a
fissare gli strumenti e ad indicare gli obiettivi da realizzare: quindi ancora oggi le
organizzazioni internazionali hanno carattere strettamente pattizio
I suoi effetti: l'erosione del dominio riservato degli Stati
- Lo scopo dell'ordinamento internazionale è creare delle norme che limitino la libertà dello Stato
di esercitare la sua sovranità e quindi l'uso della forza sia internazionale che interna
I limiti alla forza interna, in genere con natura consuetudinaria, riguardavano inizialmente solo
il trattamento degli stranieri, degli organi e degli Stati stranieri e delle organizzazioni
internazionali.
-Con l'evoluzione del diritto internazionale moderno, invece, sono stati aggiunti, soprattutto
tramite strumenti convenzionali, altri limiti alla forza interna i quali riguardano la tutela di
valori comuni a tutti gli Stati e ai loro cittadini senza più distinguere fra cittadini e stranieri: il
campo di applicazione del dominio riservato è stato così molto ristretto, specie nel settore della
tutela internazionale dei diritti dell'uomo
-A questa erosione del dominio riservato ha contribuito anche l'attività svolta dalle
organizzazioni internazionali e soprattutto dalle Nazioni Unite, grazie ad una seppur lenta
interpretazione evolutiva dell'art. 2 par. 7 della Carta dell'ONU
-In realtà, però, l'opera delle Nazioni Unite sembra essere andata oltre il dettato di tale articolo
perché la stessa Carta ha permesso loro, contraddicendosi, di intervenire anche in settori
normalmente rientranti nella sfera della sovranità statale: ciò si può forse giustificare
affermando che si sono create specifiche norme non scritte che hanno sottratto a tale articolo
determinate materie come la materia coloniale, le ipotesi di autodeterminazione dei popoli da
governi stranieri e la tutela dei diritti umani (anche se quest'ultima solo in caso di violazioni
gravi e generalizzate, sulla cui individuazione esatta ancora si discute) 12
-In conclusione allora può dirsi che il concetto di dominio riservato è un concetto relativo che le
organizzazioni internazionali possono liberamente limitare vista la mancanza di controlli
giurisdizionali sulla legittimità dei loro atti.
I suoi strumenti: la personalità giuridica delle organizzazioni internazionali
Le organizzazioni internazionali hanno personalità giuridica internazionale che permette loro di
essere titolari di diritti ed obblighi a livello internazionale e di farsi portatoci di interessi
collettivi, indipendentemente dagli Stati e dal fatto di avere personalità giuridica di diritto
interno anche nei loro ordinamenti
- Ma non tutte le forme di cooperazione istituzionalizzata tra stati creano organizzazioni
internazionali con personalità giuridica internazionale: infatti per acquisire tale personalità
occorre il dato sostanziale e cioè l'attribuzione all'organizzazioni di poteri e scopi precisi ed il
suo effettivo funzionamento pratico (principio di effettività)
La personalità giuridica internazionale dell'organizzazione è quindi diversa da quella di diritto
interno ed è valida ERGA OMNES (per cui si acquista con le norme di dir. internaz. generale)
-Esiste quindi una similitudine tra soggettività degli Stati e soggettività delle organizzazioni
internazionali (data appunto dal criterio dell'effettività) però per queste non si può parlare di
sovranità in quanto non sono enti territoriali ma funzionali, che devono rispettare i principi di
specialità e attribuzione fatta salva la ed. teoria dei poteri impliciti
-Inoltre le organizzazioni possono concorrere alla formazione delle norme consuetudinarie pur
non potendo esserne destinatane di tutte
Mentre quindi l'attività prevalente degli Stati è quella interna, per le organizzazioni
internazionali prevale invece l'attività esterna in quanto esse entrano in importanti rapporti di
diritto internazionale con altri soggetti della comunità internazionale e da ciò derivano 4
conseguenze:
•Possono stipulare trattati internazionali con altri soggetti, sia Stati che organizzazioni (in
base al diritto internazionale generale)
•Possono intrattenere relazioni diplomatiche stabili e permanenti con altri soggetti (in base al
diritto convenzionale)
•Esse hanno poi una vera e propria responsabilità internazionale per il proprio operato come
quella degli Stati (in base al diritto internazionale generale)
•Infine possono anche dar vita a numerosi atti unilaterali (in base al diritto convenzionale)
I poteri normativi. Gli atti vincolanti
- È raro il caso in cui l'accordo istitutivo di una organizzazione internazionale preveda che essa
possa adottare un atto vincolante verso gli Stati membri
L'attribuzione di questo potere, di questo secondo strumento a loro disposizione per perseguire
gli interessi collettivi della comunità (il primo strumento è la soggettività internazionale) è il
risultato di un lungo processo storico in cui ci si è accorti che i poteri inizialmente conferiti a tali
organizzazioni (cioè semplici poteri operativi e preparatori) erano insufficienti e che quindi
erano necessari atti più vincolanti
-Gli atti vincolanti possono produrre allo Stato membro sia un effetto reale (e non serve alcun
procedimento d'attuazione dello Stato) che un effetto obbligatorio (ma serve un procedimento di
attuazione)
-Inoltre tali atti vincolanti possono essere o self-executing o a contenuto programmatico
I più importanti atti vincolanti sono le decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
(caso però eccezionale che si verifica solo quando ricorrono le condizioni previste dal Capo VII
della Carta dell'ONU) e gli atti comunitari vincolanti (regolamenti, direttive e decisioni:
strumenti ordinari e primari di azione delle Comunità europee). 13
Gli atti direttamente produttivi di effetti giuridici
A parte il caso dei trattati istitutivi della comunità europea, ci si chiede se l'adattamento ai
trattati istitutivi di altre organizzazioni internazionali comporti automaticamente l'immissione,
nell'ordinamento interno degli stati contraenti, degli atti che l'organizzazione può adottare o se
serva uno specifico atto interno di recepimento: poiché tali trattati non dispongono nulla a
riguardo, il problema si risolve rifacendosi a quanto stabilito negli ord. interni degli stati parte
Invece i trattati istitutivi della comunità europea riconoscono alle sue istituzioni comuni il
potere di adottare atti vincolanti direttamente applicabili in ciascuno degli stati membri
(regolamenti e decisioni) e quindi anche nei confronti dei soggetti degli ordinamenti interni: ciò
risponde allo scopo di tali trattati che non è quello della semplice cooperazione interstatale ma
quello dell'integrazione sia economica che politica degli stati contraenti
-Inoltre nella comunità europea hanno efficacia diretta non solo i diritti attribuiti alle persone
fisiche e giuridiche dagli atti delle istituzioni ma anche quelli previsti dalle disposizioni degli
stessi trattati istitutivi, pur nel caso in cui esse non definiscano una determinata fonte
comunitaria vincolante come direttamente applicabile: il riconoscimento di tali diritti però non
va accertato dal giudice comunitario ma da quello nazionale
-Riguardo alle direttive comunitarie, vincolanti solo nello scopo da raggiungere e non nei mezzi,
la corte di giustizia comunitaria ne ha riconosciuto solo l'efficacia diretta verticale in quanto non
self-executing perché necessitano di una normativa d'attuazione
In conclusione i rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamenti degli stati membri che ne
fanno parte sono ricostruibili in modo unitario tanto che le fonti comunitarie sembrano prevalere
su quelle interne poiché il sistema comunitario è inteso come un unico ordinamento (opinione
avvallata anche dalla Corte di giustizia comunitaria ed in contrasto con i trattati istitutivi).
Gli atti giuridici non vincolanti. Il ed. droit mou o soft law
Gli atti giuridici delle organizzazioni internaz. producono effetti anche se non sono vincolanti
-La dottrina ha infatti affrontato il problema di individuare quale sia l'effetto giuridico della
raccomandazione, che è l'atto non vincolante più adottato
-A volte il contenuto della raccomandazione diviene vincolante perché ripreso da un diverso atto
con natura vincolante: ciò però non conferisce effetti obbligatori alla raccomandazione in sé
-Ma la dottrina dominante si basa sul ed. "effetto di liceità" delle raccomandazioni internaz.: tale
effetto però ha valore relativo cioè vale solo per gli Stati membri dell'organizzazione e solo se si
tratta di raccomandazioni legittime (anche se, mancando un organo che possa valutare tale
legittimità, questo effetto può verificarsi solo tra quegli stati che le abbiano approvate)
-Esiste poi anche una serie di altri atti non vincolanti adottati dalle organizzazioni internazionali:
tali atti si fanno rientrare nella categoria del ed. droit mou o soft law e sono tutti quegli atti e
quelle procedure non previste dall'art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia
che, pur non vincolanti, producono determinati effetti giuridici
-La Corte stessa poi, pur non considerandoli come una categoria distinta di fonti giuridiche, ne
ha fatto spesso uso: infatti, anche se gli atti del soft law non sono una fonte scritta di diritto
internazionale generale e non sono vincolanti, essi svolgono ugualmente un ruolo importante
nella formazione delle norme generali (in quanto manifestazioni della OPIMO IURIS AC
NECESSITATIS degli Stati) e nelle trasformazioni che ancora sta subendo la comunità
internazionale in molti settori ai fini della protezione di interessi globali
-Tuttavia la struttura volontaristica della società internazionale non è ancora stata superata ma
proprio per questo l'unico strumento utilizzabile per soddisfare l'interesse generale della
comunità mondiale è costituito dal soft law e dalle raccomandazioni non vincolanti, perché
possono essere facilmente recepite all'interno degli ordinamenti dei singoli Stati membri ed
essere poi tradotti magari in norme internazionali vincolanti. 14
CAPITOLO IV:
LA CONTRAPPOSIZIONE TRA STATI E POPOLI:
IL PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE
Premessa
-È stato dal secondo dopo guerra che sono iniziati ad emergere, all'interno della comunità
internazionale moderna, interessi degni di tutela giuridica non riferibili agli stati e anzi spesso
conflittuali con quelli statali: il diritto alla autodeterminazione dei popoli e il diritto alla tutela
della dignità e libertà degli individui
-L'emersione di tali interessi è stata favorita anche dall'opera intrapresa dalle Nazioni Unite
-La questione oggi è se popoli e individui abbiano assunto o no soggettività internazionale così
da modificare la stessa struttura della comunità internazionale: in realtà si tratta di un falso
problema sia perché popoli e individui sono stati tutelati indipendentemente dalla loro
soggettività e sia perché ciò non ha provocato una vera modifica strutturale della comunità
internazionale ma solo una diversificazione di destinatari materiali di alcune sue norme (le quali
continuano ad essere garantite da meccanismi intentatali)
L'affermazione del principio di autodeterminazione
-Tale principio si è affermato a partire dalle rivoluzioni americana e francese, in cui intendeva
sancire la liberazione dei popoli da ogni oppressione sia esterna che interna
-Però, fino alla prima guerra mondiale, esso aveva soprattutto natura politica e si manifestava
infatti nel principio di nazionalità
È solo grazie ai trattati di pace conclusivi della prima guerra mondiale che questo principio è
divenuto giuridico, formando oggetto di norme internazionali pattizie
- Esso però non fu preso in considerazione dal Patto della Società delle Nazioni per cui, per i
popoli coloniali, venne istituito il blando sistema dei mandati (nonostante illustri uomini politici
del tempo, come Lenin e Wilson, ne davano importanti, seppur diverse, enunciazioni)
L'autodeterminazione come norma di diritto internazionale pattizio
-Così il principio di autodeterminazione venne accettato solo dopo la seconda guerra mondiale
attraverso la sua consacrazione nella Carta delle Nazioni Unite (anche se in realtà esso
compariva già prima, nel testo della Carta Atlantica stipulata da USA e Gran Bretagna)
-In questo documento tale principio è formulato dall'art. 1 par. 2 e dall'art. 55 ma queste formule
sono molto vaghe perché, al momento della redazione, si ebbero degli scontri ideologici fra la
Russia ed i paesi occidentali circa la portata da attribuirgli
-Nonostante la sua portata rivoluzionaria, il principio di autodeterminazione risulta molto
attenuato dalle disposizioni che lo prevedono perché:
•le norme che lo riguardano, anche se non possono essere considerate enunciazioni
meramente politico-morali, non possono essere attuate immediatamente nella loro pienezza
(a differenza invece di quelle sulla tutela della dignità umana)
•l'autodeterminazione non è concepita come fine perseguibile in sé stesso dalle nazioni unite
ma come uno strumento per assicurare il fine della pace internazionale (per cui non può
applicarsi se ostacola tale pace)
•lo stesso termine non è inteso come " indipendenza " ma solo come " autogoverno " (e lo
dimostra anche il fatto che dall'art. in questione è stata esclusa la pratica delle secessioni).
- Tutto ciò è dipeso dal fatto che tale principio è stato accolto all'epoca della Società delle
nazioni, in cui si temeva che la sua affermazione equivalesse ad un diritto alla secessione
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avversato da tutti gli stati; inoltre in quel momento l'autodeterminazione era intesa
negativamente e cioè come obbligo gravante su tutti gli Stati di non interferire sulle libere scelte
degli Stati stranieri (coincidendo così con il principio di non ingerenza negli affari interni, a
tutela dell'integrità territoriale degli Stati) e quindi in questo senso tale principio consentì agli
imperi coloniali di rimanere in vita indisturbati
È stato solo grazie all'azione dei Paesi socialisti e di quelli in via di sviluppo che tale principio
ha assunto, nella Carta, portata universale ed applicazione effettiva, contribuendo a smantellare
tutti gli imperi coloniali ancora esistenti
L'autodeterminazione come norma di diritto internazionale consuetudinario
- La prassi ci porta a ritenere che il principio di autodeterminazione dei popoli sia oggi diventato
una norma di diritto internazionale consuetudinario, anzi proprio un principio generale del
diritto internazionale
Tale processo è avvenuto in modo particolare e avrebbe trovato fondamento prima nelle norme
della Carta delle Nazioni Unite e nei Patti sui diritti umani, poi nelle risoluzioni dell'Assemblea
generale delle Nazioni Unite (grazie alle quali è iniziato ad essere considerato obbligatorio dalla
volontà politica degli Stati che, col passare del tempo, vi si sono sempre più conformati)
La questione della natura cogente o meno del principio di autodeterminazione
La dottrina ritiene anche che esso sia un principio fondamentale del diritto internazionale e
quindi una norma di natura cogente, visto che spesso è posto per tutelare interessi fondamentali
della comunità internazionale in genere tutelati da norme di diritto cogente
- In realtà è certo che tale principio si qualifichi come un obbligo ERGA OMNES ma non è
altrettanto certa la sua natura cogente visto che non tutte le norme contenenti obblighi ERGA
OMNES sono cogenti: quindi la sua natura imperativa dovrebbe ricollegarsi più al fatto che
trova spesso il suo fondamento giuridico nella tutela di quegli interessi fondamentali
Portata e contenuto del principio di autodeterminazione
-Tale principio sembra però avere ancora una applicazione piuttosto ristretta in quanto vale per i
soli popoli sottoposti ad un governo straniero (ed. autodeterminazione esterna) dall'epoca
successiva alla fine della seconda guerra mondiale
-Fino agli anni 60 tale principio si applicava solo per i popoli soggetti a dominazione coloniale
ma in seguito è stato esteso anche a quelli sottoposti ad un regime razzista o occupati con la
forza (e anche al fenomeno dell'apartheid che, sebbene rappresenti la dimensione interna
dell'autodeterminazione, fa sentire il popolo come governato da un regime straniero in quanto
non voluto)
Occorre precisare però che l'autodeterminazione non può essere intesa nel senso di
autodeterminazione interna in quanto si tratta più che altro di un'accezione politica, non richiesta
dal diritto internazionale e nemmeno da quegli stessi Paesi socialisti e in via di sviluppo che
avevano spinto per una sua affermazione: infatti l'autodeterminazione interna violerebbe il
principio del rispetto dell'integrità territoriale e dell'indipendenza politica di qualsiasi Stato
proclamato dalla stessa Carta delle Nazioni Unite Quindi tale principio non può dirsi violato nel
caso di governi che, benché oppressivi ed autoritari, non pratichino alcuna discriminazione
razziale o non occupino con forza il territorio: in questo caso infatti può richiedersi solo il
diritto all'"autogoverno".
I titolari del diritto all'autodeterminazione
I destinatari dell'obbligo di rispettare l'autodeterminazione sono gli Stati ma i titolari del diritto
alla autodeterminazione non possono essere considerati i popoli e gli individui perché il diritto
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internazionale rimane pur sempre il diritto degli Stati e non ha mai conferito loro soggettività
giuridica
Quindi popoli e individui non sono titolari di questo diritto ma solo i concreti beneficiari delle
disposizioni internazionali esistenti in materia: ciononostante essi non sono privi di tutela nel
caso in cui uno Stato violi l'obbligo di rispettarne l'autodeterminazione
-Infatti, la violazione di questo obbligo, in quanto ERGA OMNES, comporta la lesione di un
interesse proprio della comunità internazionale per cui ciascuno Stato è potenzialmente
legittimato ad agire per tutelare tale interesse: è quindi la stessa comunità internazionale ad agire
per conto dei popoli, indipendentemente dal fatto che essi siano o meno organizzati in un
movimento di liberazione nazionale (distinzione che rileva solo per valutare la legittimità, a
livello internaz., dell'appoggio esterno da parte di Paesi terzi al popolo in lotta già organizzato)
-Infatti, i processi di autodeterminazione non devono essere individuati sulla base del grado di
effettività posseduto dal popolo in lotta per la liberazione (come avviene invece nel caso degli
insorti) perché quello che conta è solo il fine perseguito dal popolo e cioè la sua liberazione
Ciò lo dimostra anche il fatto che spesso le Nazioni Unite si sono occupate delle lotte di
liberazione nazionale che, seppur in sé non rilevanti, sono state considerate internazionalmente
rilevanti perché generate dal mancato rispetto all'autodeterminazione (nonostante quindi
l'incapacità di questi popoli di emergere sul piano internazionale in quanto tali vista la
mancanza non solo di un potere effettivo di controllo ma anche di una loro struttura
organizzativa simile a quella di uno "Stato in formazione").
Le modalità di esercizio dell'autodeterminazione
- Le modalità di esercizio dell'autodeterminazione si rinvengono dalla prassi della Nazione Unite:
•Innanzitutto si deve consultare il popolo colonizzato
•Inoltre l'autodeterminazione deve realizzarsi nel quadro delle frontiere coloniali stabilite,
per il principio dell'integrità territoriale degli Stati
•Infine si considera lecito l'uso della forza da parte del popolo oppresso organizzato in un
movimento di liberazione nazionale (liceità delle guerre di liberazione, giustificata dal loro
obiettivo che è pienamente approvato dalla comunità internazionale)
-Riguardo quest'ultimo punto della liceità dell'uso della forza da parte dei movimenti di
liberazione, gli Stati occidentali si sono sempre un po’ opposti a riconoscerla anche se non sono
mai arrivati a considerarla totalmente illecita
-In conclusione, anche se non si può dire che i movimenti di liberazione siano titolari di un vero
e proprio diritto all'uso della forza, essi non possono però sentirsi responsabili per illecito
internazionale se utilizzano la forza armata per reagire alla negazione del diritto
all'autodeterminazione realizzata a sua volta con l'esercizio di analoga forza da parte del
governo oppressore
-Quindi se nel caso di un conflitto interno il diritto internazionale rimane neutrale, nel caso di
movimenti di liberazione deve prendere una posizione e cioè tutelare il diritto
all'autodeterminazione: così esso non ha solo l'effetto di rendere illecito l'uso della forza da
parte del governo oppressore, ma anche di non vietare le lotte del popolo oppresso ammettendo
persino che esso venga assistito da altri Stati (c'è addirittura chi riconosce a tali movimenti un
vero e proprio IUS AD BELLUM contro il governo oppressore).
La legittimità dell'intervento di terzi Stati a favore dei popoli che rivendicano l'autodetermin.
- L'assistenza prestata al popolo oppresso da parte di Stati estranei alla guerra di liberazione si
spiega col fatto che l'obbligo di favorire l'autodeterminazione vale ERGA OMNES e che quindi
può interferire nella sfera del dominio riservato degli Stati
II problema è però chiarire con quali forme si può esplicare tale assistenza: tale problema è
talmente delicato (visto che coinvolge una varietà di interessi della comunità stessa, spesso
diametralmente opposti l'uno dall'altro) che ancora oggi esiste un grave disaccordo, al riguardo,
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tra i membri della comunità internazionale
-Dall'analisi delle risoluzioni adottate dall'Assemblea generale emerge che gli Stati membri siano
ormai tutti d'accordo a favore della legittimità dell'assistenza prestata al popolo oppresso
(situazione che infatti non fanno rientrare in quella delle guerre civili) pur in mancanza di un
vero e proprio diritto di intervento
-Anche la Corte internazionale di giustizia, pur non esprimendosi sulla liceità dell'assistenza
prestata ai popoli sottoposti ad un governo straniero, ha infatti precisato che a questa situazione
non può applicarsi la disciplina tradizionale delle guerre civili con il relativo principio di non
intervento, poiché si tratta di 2 situazioni diverse
Quindi il disaccordo esistente tra i membri della comunità internazionale riguarda non la
possibilità di aiutare i popoli oppressi, ma il tipo di aiuto da fornire: esso però a sua volta
riguarda solo l'ipotesi dell'intervento armato, sia diretto che indiretto, poiché i membri sono
invece tutti d'accordo sulla legittimità di prestare aiuti politici, economici o umanitari
- Precisamente, all'inizio, sulla legittimità dell'intervento armato come tipo di assistenza si sono
scontrati gli Stati occidentali (contrari all'assistenza militare sia diretta che indiretta) con gli
Stati afro-asiatici, socialisti e dell'America latina (favorevoli ad essa)
Col tempo però quasi tutti gli Stati hanno finito per accettare la legittimità dell'assistenza armata
ma solo quella indiretta perché al posto di quella diretta esiste un sistema di autotutela collettiva
facente capo alle Nazioni Unite a cui non si può derogare (non essendosi formata alcuna norma
consuetudinaria che permetta tale deroga e renda quindi legittimo l'uso della forza come forma
di assistenza)
- Tuttavia non c'è mai stato nemmeno un esplicito riconoscimento che l'aiuto diretto al popolo in
lotta costituisca un uso illecito della forza armata: infatti in questo caso non trova applicazione il
principio del non intervento (forma di garanzia negata al governo oppressore), come ha
sostenuto anche la Corte internazionale di giustizia
La violazione del principio di autodeterminazione: il ricorso alla forza da parte del governo al
potere e l'intervento di Stati terzi a favore del governo al potere
-H governo oppressore viola la norma internazionale sull'autodeterminazione indipendentemente
dal fatto di usare o meno la forza armata
-Mentre un normale governo in carica ha il potere di far rispettare liberamente e senza ingerenze
esterne l'ordine pubblico al suo interno (essendo solo limitato al rispetto delle norme di diritto
internazionale umanitario), un governo responsabile di un illecito internazionale non può
utilizzare la forza nei confronti del popolo a lui soggetto perché andrebbe a ledere un interesse
fondamentale di tutta la comunità internazionale (come è stabilito da alcune risoluzioni
dell'Assemblea generale dell'ONU che però, non essendo vincolanti, acquistano forza
obbligatoria solo alla luce del diritto internazionale consuetudinario o convenzionale)
-Quindi, un governo oppressore, perde alcune delle garanzie che gli sarebbero normalmente
attribuite dall'ordinamento internazionale
-In conclusione si ritiene legittimo solo l'intervento armato di uno Stato a sostegno di un governo
in lotta con un movimento insurrezionale privo di un'organizzazione indipendente e non
l'intervento a favore di un governo oppressore. 18
CAPITOLO V:
LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI UMANI E LA CENTRALITÀ'
DELL'INDIVIDUO COME BENIFICIARIO DI NORME INTERNAZIONALI
Lo status e la centralità dell'individuo nell'ordinamento internazionale contemporaneo
Con per la creazione dell'ONU e l'adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, si ritiene che il fine della pace e della sicurezza internazionali
auspicato dalla comunità internazionale possa essere realizzato solo con la promozione, la tutela
e la realizzazione di diritti dell'uomo
- L'individuo, quindi, assume oggi un ruolo centrale a differenza di quanto accadeva nel diritto
internazionale classico (in cui era considerato solo una "proprietà" dello Stato)
Ormai quindi oggetto del diritto internazionale è la tutela della dignità dell'individuo, realizzata
erodendo tantissimo il dominio riservato degli Stati
L'unico problema su cui ancora si discute è se l'individuo possa essere considerato propriamente
soggetto dell'ordinamento internazionale (come gli Stati e le organizzazioni internazionali)
- A riguardo si scontrano due dottrine:
•La dottrina dualista nega la soggettività internazionale dell'individuo perché considera
distinti diritto internazionale e diritto interno e di conseguenza per essa l'individuo è
soggetto del solo diritto interno mentre lo Stato rimane soggetto di quello internazionale
•La dottrina monista invece considera l'individuo come destinatario indiretto delle norme
internazionali (attraverso la costituzione dello Stato) perché ritiene che diritto internazionale
e diritto interno costituiscano lo stesso ordinamento giuridico; parte di essa però ammette
anche l'esistenza di norme internazionali applicabili direttamente agli individui e la
possibilità che essi abbiano capacità processuale attiva e passiva a livello internazionale
(così da riconoscere ad essi una vera soggettività internazionale).
-In conclusione quindi non può dirsi che sia avvenuto un mutamento della struttura della
comunità internazionale tale da farla diventare una società universale anziché intentatale: infatti
i soggetti di tale ordinamento rimangono gli Stati e le organizzazioni internazionali perché
l'individuo non ha la capacità di agire direttamente per tutelare i suoi diritti ma necessita
dell'intervento dello Stato (protezione diplomatica); egli però è il beneficiario diretto delle
norme internazionali in materia di diritti dell'uomo, che gli Stati hanno l'obbligo di rispettare
-Purtroppo però a questo riconoscimento dei diritti dell'uomo non corrisponde un efficace
sistema di controllo internazionale sul rispetto di tali diritti da parte degli Stati, se non a livello
regionale e soprattutto europeo.
La protezione internazionale dei diritti dell'uomo: sua specificità
- I diritti dell'uomo tutelati dall'ordinamento internazionale hanno delle specificità rispetto a tre
caratteristiche:
•La prima riguarda gli elementi sostanziali, per cui tali diritti sono inerenti all'esistenza stessa
dell'essere umano (e quindi obiettivi) ed alcuni sono anche fondamentali (da tale obiettività
deriva l'esistenza di un obbligo non sinallagmatico dello Stato di rispettarli ed anche
l'impossibilità per esso di invocare al riguardo il principio della non ingerenza)
•La seconda riguarda la qualità dei loro titolari, per cui la titolarità di questi diritti spetta agli
individui anche se non sono soggetti dell'ordinamento internazionale e se quindi non
possono agire direttamente a tutela di questi loro diritti (possibilità prevista però, sotto
forma
di eccezione, da qualche convenzione internazionale) 19
•La terza riguarda i destinatari degli obblighi che li sanciscono, per cui ne sono destinatari gli
Stati, al di fuori del rispetto della reciprocità.
I diritti dell'uomo sono quei diritti che si rapportano direttamente alla persona umana e che si
sono affermati nella Dichiarazione americana e in quella francese alla fine del 1700
Vi rientrano: i diritti personali e quelli civili, i diritti sociali, le libertà pubbliche e politiche e i
diritti economici e culturali.
Oltre a questi diritti propri del singolo, il diritto internazionale tutela anche una serie di diritti
propri di raggruppamenti di individui.
L'universalità della tutela dei diritti dell'uomo
-L'affermazione dell'universalità dei diritti dell'uomo nasce con l'art. 55 della Carta delle Nazioni
Unite, è ripresa direttamente nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ed è
ormai presente in numerosissimi e diversi testi (difficilmente conciliabili fra loro).
-Ma alcuni diritti fondamentali sull'essere umano (non quelli economici però, e nemmeno quelli
culturali) sembrano sanciti anche da norme consuetudinarie.
Tale universalità è però difficilmente attuabile quando occorre concretizzare i diritti umani,
metterli direttamente in atto (visti i numerosi ostacoli di carattere ideologico, economico e
tecnico esistenti tra i vari Stati).
Le sue fonti giuridiche: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ai Patti delle
Nazioni Unite
La Dichiarazione universale del 1948 è il primo documento giuridico universale in cui tutta la
comunità internazionale accetta un sistema di valori di matrice esclusivamente occidentale
-Tale Dichiarazione è ancora oggi attuale grazie al suo carattere universale e generale che
trascende da ogni dimensione storica e contingente.
-Gli unici problemi infatti hanno riguardato la sua natura ed efficacia giuridica e quindi la sua
vincolatività o obbligatorietà (essendo da sempre riconosciuta la sua autorità politica e morale)
Ormai questi problemi non sono più importanti perché essa ha comunque influenzato tutto il
diritto internazionale convenzionale successivo che ha accolto, specificandole e rendendole
obbligatorie, le sue disposizioni.
Dopo questa Dichiarazione, le Nazioni Unite ed altre organizzazioni internazionali simili ma a
carattere regionale, hanno istituito veri e propri meccanismi di controllo e di garanzia (sia
giurisdizionali che quasi giurisdizionali) per questi diritti, al fine di raggiungere una maggiore
collaborazione fra gli Stati.
Però tale obiettivo è stato raggiunto più facilmente e velocemente a livello regionale piuttosto
che a livello universale: ne è un esempio la faticosa elaborazione ed entrata in vigore dei due
Patti delle Nazioni Unite del 1966, il primo sui diritti civili e politici e il secondo sui diritti
economici, sociali e culturali.
La distinzione dei due Patti risiede nella diversa natura dei diritti da essi tutelati perché mentre i
primi impongono solo un obbligo di non discriminazione da parte degli Stati, i secondi
necessitano proprio di una esplicita attività da parte di questi e quindi non sono immediatamente
applicabili: da questa diversità ne discende anche una diversità di definizione, applicazione e
controllo.
I limiti del controllo sul rispetto di tali strumenti
- Il sistema convenzionale universale di tutela dei diritti dell'uomo appare limitato dalla scarsa
effettività degli strumenti di controllo previsti a riguardo.
Infatti gli organi internazionali potrebbero in teoria ricorrere o alla soluzione amichevole della
controversia o a quella obbligatoria (la quale sarebbe più efficace) e, nell'ambito delle decisioni
obbligatorie, potrebbero adottare decisioni o con efficacia solo intemazionalmente obbligatoria
20
o con efficacia diretta anche nel diritto interno (maggiormente efficace)
-Tra tutte queste possibilità, il sistema elaborato dalle Nazioni Unite ha attribuito agli organi
internazionali solo il potere della soluzione amichevole della controversia.
-In tale contesto, l'organo più importante è la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti
dell'uomo che, fino alla fine degli anni 70, non poteva assumere iniziative senza
l'autorizzazione del Consiglio economico e sociale che l'aveva istituita.
-Nella prassi però tale Commissione interveniva in seguito a specifiche denuncie di violazione
dei diritti dell'uomo anche senza chiedere o ricevere l'autorizzazione del Consiglio: così, dalla
fine degli anni '70, è stata istituita una procedura di controllo internazionale sull'applicazione
dei diritti dell'uomo in generale che ha conferito alla Commissione l'importante potere
dell'inchiesta (ma con il consenso dello Stato interessato) pure se non anche il potere di adottare
atti vincolanti ed obbligatori contro lo Stato autore della violazione
Anche i meccanismi di controllo previsti dai patti del 1966 risultano alquanto deboli: il primo
prevede o la sottoposizione, ad un Comitato, dei rapporti periodici sull'attività svolta dagli Stati
oppure, metodo più efficace, prevede che il Comitato tenti una conciliazione in seguito alle
comunicazioni o reclami presentati contro uno Stato
- In conclusione, il sistema convenzionale di tutela dei diritti dell'uomo ha potuto raggiungere una
portata universale (e quindi la ratifica del maggio numero possibile di Stati) solo
ridimensionando l'effettività e l'obbligatorietà dei testi convenzionali e quindi limitando il
contenuto della definizione di tali diritti a mere enunciazioni di principio così da non ledere la
sfera di dominio riservato degli Stati.
La regionalizzazione della tutela dei diritti dell'uomo ed il rafforzamento dei meccanismi di
controllo: il modello europeo
-La tutela regionalistica dei diritti dell'uomo non limita il principio di universalità di tali diritti
ma, al contrario, lo rinforza perché un sistema meno vasto riesce ad adattarsi meglio alle realtà
concrete e specifiche dei vari contesti esistenti (anche se inizialmente i 2 ambiti di tutela hanno
operato in maniera del tutto autonoma)
-Il modello più avanzato ed efficace di protezione internazionale dei diritti dell'uomo a livello
regionale è dato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, corredata da 12
Protocolli ed elaborata nell'ambito del Consiglio d'Europa
Tale Convenzione non solo enuncia una serie di diritti essenzialmente civili e politici garantiti
agli individui, ma istituisce anche (col Protocollo n. 11) un sistema di controllo di natura
giudiziaria (cioè una Corte unica permanente) a cui i singoli hanno accesso diretto
-Riguardo a questo meccanismo di controllo, il Protocollo n. 11 è intervenuto appunto per
ristrutturarlo così da assicurare più efficienza e credibilità al sistema, garantendo anche il
carattere strettamente giurisdizionale delle decisioni adottate.
-La modifica più importante introdotta da questo Protocollo è stata però la trasformazione della
clausola facoltativa del diritto di ricorso individuale in clausola obbligatoria.
-Con questa evoluzione del diritto internazionale. ha coinciso anche l'istituzione della Corte penale
internazionale chiamata a giudicare i crimini internazionali commessi dagli individui (anche se
ciò non ha trasformato il diritto internazionale da inter-statale a inter-individuale) e la cui
procedura di controllo è molto simile a quella della Commissione europea dei diritti dell'uomo.
Un'altra importante modifica introdotta dal Protocollo è stata quella di limitare i poteri del
Comitato dei ministri nel caso in cui la Corte europea dei diritti dell'uomo non venisse adita in
tempo (nel sistema precedente, infatti, si assisteva ad un grave deficit garantistico in quanto si
affidavano poteri decisionali ad un organo politico-amministrativo anziché ad un organo
giudiziario )
- Il Protocollo 11 è poi un protocollo di emendamento perché, se fosse stato facoltativo, avrebbe
comportato la coesistenza di due sistemi paralleli di controllo e quindi l'incoerenza della
giurisprudenza in una materia importantissima come quella dei diritti dell'uomo
Molto importanti sono gli artt. 30 e 43 del Protocollo che riguardano l'eventuale rinvio del caso
21
alla Grande Chambre: essi sono infatti il risultato del compromesso politico tra gli Stati
sostenitori della Corte unica con un solo grado di giudizio e quelli fautori del doppio grado Tale
risultato complessivo, anche se molto diverso rispetto ai modelli giurisdizionali tradizionali,
costituisce però un grande passo avanti nel sistema garantistico dei diritti umani.
- L'aspetto più dibattuto della riforma ha riguardato i meccanismi predisposti per il rinvio della
causa a questo organo ristretto (la Grande Chambre) e soprattutto la procedura di riesame
prevista dall'articolo 43 la quale ha soprattutto la funzione di salvaguardare e garantire
l'uniformità e la coerenza della giurisprudenza e non di garantire l'interesse del ricorrente a un
doppio esame della controversia.
In conclusione il merito più importante di questo nuovo sistema di controllo è stato quello di
aver previsto una procedura di controllo giurisdizionale automaticamente applicabile a tutti gli
Stati parte della Convenzione (conquista importantissima non tanto per gli Stati occidentali
quanto per quelli orientali).
- L'ultimo passo di questo processo di accrescimento dell'efficacia del sistema di tutela dei diritti
dell'uomo potrà essere la "costituzionalizzazione" della Corte europea dei diritti dell'uomo come
supremo garante di un diritto comune delle libertà.
I modelli americano, arabo ed africano
La Convenzione europea ha fatto da modello, in America, alla Convenzione interamericana sui
diritti umani del 1969 dove, però, oltre ai diritti sono previsti anche dei doveri a carico
dell'individuo
- Anche il meccanismo di controllo di questa Convenzione interamericana segue il modello della
Convenzione europea ma come era prima dell'entrata in vigore del Protocollo num. 11
In Africa, invece, l'unico strumento adottato a riguardo è stata la Carta africana dei diritti
dell'uomo e dei popoli del 1981 che però non prevede alcuna forma di controllo a carattere
giurisdizionale nonostante il suo carattere vincolante e nonostante l'istituzione di una
Commissione che contribuisca alla promozione e protezione dei diritti dell'uomo La Lega degli
stati arabi, invece, non è ancora riuscita ad adottare alcun documento sui diritti dell'uomo perché
ostacolata dalla particolare influenza esercitata nel mondo arabo dall'elemento culturale e
religioso fondato sui principi dell'Islam e della legge coranica e stessa situazione è da riscontrare
nel continente asiatico
- In conclusione, se da un lato la regionalizzazione dei diritti dell'uomo sta permettendo una più
completa realizzazione e tutela di questi diritti, dall'altro questo fenomeno, se portato
all'estremo, può causare il rischio della cessazione dell'universalità propria dei diritti dell'uomo
come prevista dalle Nazioni Unite indipendentemente dai vari sistemi politici, economici e
culturali esistenti nei vari Paesi. 22
CAPITOLO VI:
IL NUOVO PROCESSO DI FORMAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LA
VERTICALIZZAZIONE DEL SISTEMA NORMATIVO
La crisi della consuetudine internazionale
Nel passaggio dalla comunità internazionale classica alla comunità internazionale moderna, non
essendo mutata la struttura orizzontale della comunità stessa, non sono mutate neppure le sue
fonti
Nonostante quindi qualche sporadico tentativo di verticalizzazione di tale comunità (relativo
all'autotutela, all'accertamento del diritto internazionale e al trasferimento di alcune
competenze dagli Stati alle organizzazioni internazionali), la produzione normativa è ancora
orizzontale e quindi dipendente dalla volontà degli Stati
-Tuttavia, dal secondo dopoguerra, si sono verificati degli importanti mutamenti nella modalità
di formazione delle norme, nella loro efficacia e nel rapporto tra esse: ciò dipende dalla fase di
crisi che sta attraversando la consuetudine internazionale
-I cambiamenti indicatori di tale crisi sono:
•II sempre più frequente ricorso agli accordi internazionali bilaterali e multilaterali
•II fenomeno dell'obiezione e dell'obiezione permanente
•(Le consuetudini regionali)
Invece gli strumenti utilizzati per far reagire a tale crisi sono:
•Le consuetudini istantanee
•La codificazione del diritto internazionale generale
•L'espansione dei principi del diritto riconosciuti dalle Nazioni civili
- Nella moderna comunità internazionale la consuetudine è entrata in crisi perché è venuta meno
quella omogeneità di interessi, valori e scopi e quella uniformità del comportamento tenuto
(considerato necessario e obbligatorio) che ne sono a presupposto
Così oggi il diritto internazionale è alquanto frammentario perché è difficile creare nuove
consuetudini internazionali anche se si sono sviluppate, nell'ambito delle norme
consuetudinarie, delle norme che hanno più forza delle altre perché a tutela di interessi molto
importanti nell'ordinamento internazionale: è il caso dei principi generali del diritto
internazionale o diritto cogente
a) il sempre più frequente ricorso ad accordi internazionali
Oggi il ricorso ad accordi internazionali non solo bilaterali ma anche multilaterali è più
frequente rispetto al periodo classico e rispetto all'uso del diritto consuetudinario, in quanto tali
accordi non servono solo per regolare le relazioni internazionali e per rafforzare la cooperazione
intentatale ma anche per disciplinare relazioni interindividuali, diritti e libertà individuali
b) l'obiezione e l'obiezione permanente
-Negli anni 70 un grande gruppo di Stati di nuova indipendenza si oppose all'applicazione di
alcune norme generali formatesi prima della loro appartenenza alla comunità internazionale: tale
obiezione in teoria non sarebbe da condividere perché negherebbe l'esistenza stessa di un diritto
internazionale generale che dovrebbe rivolgersi a tutti
-Quindi nel caso di Stati che non si conformino ad una consuetudine, dovrebbe parlarsi di illecito
e non di formazione di una nuova consuetudine (come ha precisato anche la Corte
internazionale di giustizia). 23
- Tuttavia, se l'opposizione ad una consuetudine viene portata avanti da una parte significativa
della comunità internazionale e quindi da un gruppo rilevante di Stati, essa può impedire la .
formazione stessa della norma generale o modificarne il contenuto in quanto ne sono cambiati i
due elementi che la caratterizzavano e cioè la DIUTURNITAS e l'OPIMO
Invece l'opposizione anche permanente di un solo Stato o di alcuni Stati isolati, non può
impedire la nascita o modificare il contenuto della norma generale perché altrimenti anche in
questo caso si negherebbe l'esistenza stessa di un diritto internazionale generale che dovrebbe
rivolgersi a tutti
Quindi si riconosce l'esistenza di una norma generale solo se essa è sostenuta sia da un adeguato
numero di Stati che dai principali gruppi di Stati interessati alla norma stessa: insomma la
formazione di una norma consuetudinaria richiede un consenso trasversale di tutta la comunità
internazionale (per cui occorre che DIUTURNITAS ed OPIMO assumano rilevanza non solo
quantitativa ma anche qualitativa)
Se manca questa trasversalità del consenso, non è detto che non possa formarsi una
consuetudine particolare che vincoli solo un determinato gruppo di Stati: ne è un esempio la
consuetudine generale (anch'essa, quindi, costituisce una situazione di crisi della consuetudine)
La reazione alla crisi della consuetudine internazionale
- I limiti propri della consuetudine internazionale che si sono cercati di ridurre attraverso vari
strumenti (le consuetudini istantanee, la codificazione del diritto internazionale generale e il
ricorso ai principi generali del diritto riconosciuti dalle Nazioni civili) sono rispettivamente: la
lentezza del suo procedimento di formazione, la vaghezza del suo contenuto e le difficoltà di
formazione di nuove norme consuetudinarie(a causa della disomogeneità della comunità intern.)
a) Le consuetudini istantanee
Questo strumento è stato utilizzato per far fronte alla lentezza del procedimento di formazione
Le consuetudini istantanee sono infatti quelle che si formano in un arco di tempo assai più breve
rispetto alle normali consuetudini, anche se non si può dire che la loro formazione sia proprio
istantanea perché altrimenti le mancherebbe quel carattere di stabilità che la caratterizza Quindi
l'elemento temporale rimane pur sempre importante, pure se in certi settori si ha l'esigenza di
accertare l'esistenza di una consuetudine anche nel giro di pochi anni
b) La codificazione del diritto internazionale
-Con quest'altro strumento di codificazione e sviluppo progressivo del diritto consuetudinario,
invece, si è cercato di reagire alla vaghezza ed incertezza di contenuto di tale diritto
Tuttavia tali strumenti non sono stati del tutto efficaci perché ancora oggi rimangono da
codificare e sviluppare i settori più controversi del diritto
-L'esigenza di codificazione è infatti sempre più sentita perché la norma scritta riesce a
soddisfare quella certezza che la norma non scritta non può soddisfare, specie in questa nuova
realtà vissuta dal diritto internazionale, in cui le relazioni tra Stati si stanno complicando ed
evolvendo sempre più
-Le difficoltà di attuare una codificazione soddisfacente derivano dal fatto che l'unico strumento
utilizzabile sia l'accordo internazionale e che esso, di conseguenza, non solo richiede il consensc
degli Stati che lo negoziano ma può vincolare solo quelli che lo hanno ratificato (infatti una
serie di motivi ci spingono ad avversare quella tesi per la quale gli accordi di codificazione
vincolerebbero anche gli Stati non contraenti in quanto il loro scopo è di codificare il diritto
generale: tali motivi dimostrano infatti che l'accordo di codificazione non può mai essere
un'esatta riproduzione del diritto consuetudinario).
Qualora però l'accordo di codificazione o alcune sue disposizioni adempiano solo ad una
funzione meramente dichiarativa del diritto consuetudinario e quindi coincidano con tale diritto,
24
allora l'accordo o le disposizioni coincidenti avrebbero portata generale (anche se in realtà, la
coincidenza tra accordo e consuetudine non potrà mai essere definitiva in quanto il primo,
essendo una fonte scritta, non può seguire il continuo evolversi del diritto internazionale
generale: quindi tale coincidenza va accertata volta in volta dall'interprete)
-In conclusione può quindi dirsi che la codificazione rischia spesso di rendere ancora più
contraddittorio il sistema delle fonti anziché di semplificarlo
-Il problema può essere risolto se gli Stati si convincono di considerare determinate norme
convenzionali come corrispondenti al diritto consuetudinario: ciò può accadere però solo se gli
interessi in gioco non sono molto diversi.
Quando invece la codificazione, vista l'enorme diversità di interessi in gioco, non assume la
veste formale di un accordo ma di un atto di soft law o di formulazioni compromissorie e vaghe,
la sua funzione appare assai ridotta e crea ancora più incertezza.
Comunque la codificazione e lo sviluppo progressivo (portato avanti soprattutto dalle Nazioni
Unite), nonostante tutti i loro limiti, rimangono gli strumenti più validi di reazione alla crisi
della consuetudine internazionale perché permettono di valutare in positivo e in negativo la
prassi degli Stati per accertare la cristallizzazione o la formazione di nuove norme
consuetudinarie.
e) I principi generali del diritto riconosciuti dalle Nazioni civili
-Anche nell'ordinamento internazionale i principi generali di diritto sono intesi in due sensi, ossia
come elementi che caratterizzano l'ordinamento internazionale e come principi comuni a più
ordinamenti
-Non è da accettare la tesi di chi tenta di creare una categoria autonoma dei principi generali del
diritto internazionale (intesi quindi nel primo senso e distinti sia dalle norme consuetudinarie
che dai principi giuridici comuni a più ordinamenti) in cui fa rientrare tutte quelle norme di
portata molto generale ed astratta che integrerebbero il diritto generale internazionale: infatti
così essi finirebbero per coincidere con le norme consuetudinarie anziché differenziarsi
-Quindi, tranne il caso di principi generali cogenti dell'ordinamento internazionale (norme di
diritto internazionale generale che sono considerate più efficaci perché tutelano interessi ritenuti
fondamentali per la comunità internazionale), qualsiasi norma consuetudinaria non si distingue
dalle altre fonti di diritto generale
-Riguardo invece ai "principi generali di diritto comuni a più ordinamenti", tale formulazione era
anteriore allo Statuto della Corte internazionale di giustizia (che vi ha fatto da sempre
riferimento nella sua giurisdizione) anche se poi è stata da questo ripresa nell'art. 38, il quale
però ne da una definizione piuttosto vaga, frutto di un compromesso raggiunto all'epoca
dell'elaborazione dello Statuto stesso
-Infatti l'art. 38 parla ora di "principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili" e con
tale espressione si intendevano inizialmente quelli accettati in da tutti gli Stati
FORO DOMESTICO
Da tutto ciò è possibile trarre tre conclusioni:
•I principi generali di diritto hanno innanzitutto un ruolo suppletivo nel caso manchino norme
consuetudinarie tipiche o disposizioni convenzionali
•Con l'art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia non si sono voluti introdurre
fra le norme internazionali tutti i principi comuni a più ordinamenti che siano compatibili
con l'ordinamento internazionale
•Infine essi debbono considerarsi come principi fatti propri dall'ordinamento internazionale a
partire da una loro comune matrice interna.
- Ed è proprio da questa loro "internazionalizzazione" che se ne deduce la natura giuridica: essi
sono infatti norme consuetudinarie caratterizzate però sia dal fatto di essere previsti ed applicate
nella maggior parte degli ordinamenti statali (anche se ciò non significa che abbiano un'origine
di diritto interno), sia dal fatto di essere ritenute obbligatorie nell'ambito delle relazioni
internazionali
Tali principi sono poi norme integrative delle altre consuetudini e delle convenzioni e, essendo
25
norme generali, si rivolgono anche agli Stati estranei alla loro formazione (a volte anche con
portata cogente) Sono quindi principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili:
1)I principi di giustizia o di logica giuridica
2)I principi derivanti dalla teoria generale del diritto
3)I principi relativi al contenzioso tra Stati e alla responsabilità
4)I principi sul rispetto dei diritti dell'individuo
5)I principi relativi al regime degli atti giuridici
-Mentre tale principi svolgono un ruolo assai limitato nelle materie classiche rientranti
storicamente nell'ambito del diritto internazionale vista l'eterogeneità della società
internazionale, il loro ruolo è invece assai importante nei nuovi ambiti di sviluppo del diritto
internazionale, specie nelle organizzazioni internazionali in quanto ordinamenti particolari (in
cui è più facile che esistano dei fattori di analogia)
-Essi quindi formalmente sono uno degli strumenti giuridici con cui si può reagire alla crisi della
consuetudine internazionale (perché testimonianza della prassi degli Stati non solo nelle
relazioni esterne ma anche nei rispettivi ordinamenti interni), ma sostanzialmente sono anche
uno strumento imprescindibile nell'espansione del diritto internazionale in settori
precedentemente rientranti nell'ambito del dominio riservato degli Stati
L'emergere di norme consuetudinarie dotate di una forza superiore: i principi generali di
diritto internazionale o diritto cogente
-Poiché l'ordinamento internazionale non è istituzionalizzato e le sue norme sono tutte
manifestazione dell'uguale volontà degli Stati, fra trattati e consuetudini non c'è un ordine
gerarchico ma solo un rapporto specialità e ciò vale anche per le stesse norme di diritto
internazionale generale
-Tuttavia esistono delle norme imperative di diritto internazionale generale che prevalgono sui
trattati e sulle altre norme consuetudinarie: l'esistenza di tali norme cogenti, anche se
inizialmente problematica, è oggi accettata dalla dottrina dominante
Incerta è invece l'individuazione dei caratteri distintivi di questo tipo di norme o principi
generali di diritto internazionale perché l'unico strumento che ne parla espressamente, la
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, non ne da una definizione ma allude solo
al suo carattere inderogabile: gli unici criteri che è possibile trarre da essa sono la generalità
della norma e il fatto che tale norma sia accettata dalla comunità internazionale degli Stati come
norma di diritto cogente
Quindi i principi generali di diritto internazionale o norme cogenti si qualificano per la
particolare forza (sia attiva che passiva), determinazione e velocità con cui sono voluti dalla
comunità internazionale: essi quindi sono autoritativamente imposti, inderogabili e di
formazione istantanea
-Tali principi sono però estremamente pochi perché la maggior parte del diritto internazionale
non è inderogabile ma flessibile
-La differenza tra i principi cogenti e le altre norme di primo livello è poi che mentre per i primi
l'elemento centrale è quello soggettivo cioè il giudizio di valore della comunità, per le seconde è
quello oggettivo cioè la DIUTURNIAS: per questo i principi si formano in breve tempo.
Poiché i principi generali sono caratterizzati dal fatto di rappresentare il modo di sentire, i
convincimenti fondamentali, politici ed etici che in un dato momento storico sono a fondamento
della comunità internazionale, si può dire che oggi tali principi sono quelli contenuti nella Carta
delle Nazioni Unite: il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, i rapporti
economici e sociali tra gli stati e i principi umanitari (diritti dell'uomo e diritto
all’autodeterminazione dei popoli)
Invece i principi cogenti coevi alla comunità internazionale sono quelli che ne identificano le
caratteristiche essenziali e cioè il principio di sovranità degli Stati e il principio di effettività
Oltre a questi principi di tipo materiale vi sono però anche dei principi formali e strumentali che
prevedono solo dei procedimenti di produzione giuridica, condizionando il valore obbligatorio
26
dei trattati e delle consuetudini: per es. i principi CONSUETUDO EST SERVANDA e PACTA
SUNT SERVANDA.
Quindi i principi generali hanno un contenuto assai eterogeneo ma ciò che li accomuna è la loro
particolare resistenza (forza passiva rafforzata) rispetto ad altre norme internazionali,
consuetudinarie e convenzionali, dovuta al fatto che essi costituiscono una sorta di ordine
pubblico internazionale in quanto posti a tutela di interessi fondamentali della comunità
internazionale
In conclusione i principi cogenti del diritto internazionale sono un prodotto della moderna
comunità internazionale che li utilizza per far fronte all'aumento dei suoi membri, alla
conseguente perdita di omogeneità di interessi e alla crisi delle norme consuetudinarie: tale
processo però non è frutto di un'unanimità di OPINIO IURIS dei membri della comunità ma
solo di una maggioranza di loro (e alla minoranza risulta autoritativamente imposto)
Diritto cogente e reazione collettiva alla sua violazione: gli obblighi ERGA OMNES
-Ai sensi della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, è chiaro che gli Stati
concludenti accordi in violazione di norme cogenti sono responsabili intemazionalmente ma
non è chiaro a quale Stato spetti reagire a tale illecito
-L'opinione più adatta sembra quella che permette a qualsiasi Stato, anche non facente parte del
trattato, di eccepirne la validità se in contrasto con i principi generali di diritto internazionale
(tesi diversa da quanto emerge invece dalla Convenzione di Vienna)
Anche la Corte internazionale di giustizia ha ammesso la reazione all'illecito da parte di Stati
non direttamente lesi, perché ogni Stato è titolare dell'interesse alla protezione degli obblighi
internazionali in quanto efficaci ERGA OMNES ed essenziali per la tutela di interessi
fondamentali dell'intera comunità internazionale
-Inizialmente addirittura il Progetto sulla responsabilità degli Stati conteneva la definizione di
crimine internazionale dello Stato (art. 19) rimesso alla violazione di obblighi internazionali
ERGA OMNES
-Oggi tale Progetto non contiene più questa definizione ma prevede ugualmente le violazioni
gravi di norme di diritto cogente (art. 40) anche se non ne precisa le conseguenze e quindi non
risolve il problema del rapporto tra diritto cogente e obblighi ERGA OMNES
-Anche la dottrina prevalente sembra comunque far coincidere norme cogenti ed obblighi ERGA
OMNES, permettendo quindi a qualsiasi Stato di esercitare il diritto all'autotutela (titolarità
universale del diritto a reagire) anche se non è stato direttamente leso ma in quanto parte della
comunità internazionale
-Tuttavia la dottrina ritiene che le reazioni dei singoli Stati debbano essere gestite in modo
collettivo e soprattutto sottoposte al controllo di organi internazionali come il Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite (per l'esigenza di istituzionalizzazione e verticalizzazione
funzionale della comunità internazionale, emersa per limitare il carattere ancora anorganico e
paritario della stessa).
In realtà sembra più corretto pensare ad una reazione da parte di una coalizione di Stati agenti UTI
UNIVERSI piuttosto che ad una reazione da ricondurre per forza alle Nazioni Unite L'art. 40 poi, ai
fini dell'individuazione dell'illecito, non richiede solo la violazione della norma cogente, ma anche
la necessaria gravita di tale violazione
Rimangono comunque le incertezze di tale articolo date sia dalla mancanza di una definizione del
diritto cogente, che dalla previsione del requisito della gravita (in quanto il suo accertamento rimane
troppo discrezionale)
Certo è che l'affermarsi di obblighi ERGA OMNES previsti da norme di diritto internazionale
generale cogente e lo sviluppo progressivo della categoria dei crimini internazionali dell'individuo
sono espressione dell'affermarsi di forme di gestione "pubblicistica" dei valori e degli interessi
essenziali della comunità internazionale, nonostante l'indeterminatezza sia della categoria degli
illeciti che della definizione di violazione grave. ------------ 27
CAPITOLO VII:
IL REGIME GIURIDICO DEGLI SPAZI COMUNI: IL C.D. PATRIMONIO
DELL'UMANITÀ
Le RES NULLIUS e le RES COMMUNES OMNIUM nella contrapposizione tra sovranità e
libertà nel diritto internazionale classico
-Nel diritto internazionale classico, a parte i tenitori soggetti alla sovranità nazionale degli Stati,
si distingueva tra le RES NULLIUS (aperte per tutti al libero uso e anche all'appropriazione) e
le RES COMMUNES OMNIUM (aperte per tutti solo al libero uso ma non all'appropriazione
nazionale)
-Il concetto di RES NULLIUS risale al diritto romano e ne deriva la libertà di tutti gli Stati non
solo di poterle utilizzare ma anche di poterle sottoporre al proprio potere di governo attraverso
l'occupazione: quindi la terra NULLIUS è solo una situazione giuridica temporanea
-Anche il concetto di RES COMMUNIS deriva dal diritto romano e nell'accezione moderna
questo tipo di terre è caratterizzato da due elementi: il principio di non appropriazione nazionale
e la libertà di uso da parte di tutti gli Stati
-Oggi sono sottoposte al regime tipico di RES COMMUNES solo le acque dell'alto mare perché
per lo spazio cosmico e l'orbita geo-stazionaria tale principio è caratterizzato da numerosi
elementi solidaristici che tendono a garantire la cooperazione interstatale ed un equo accesso
alle loro risorse per tutti gli Stati
-Quindi nel caso di RES COMMUNES e di RES NULLIUS il loro utilizzo o sfruttamento
avviene solo nell'interesse dello Stato che lo pone in essere e quindi dello Stato che ha gli
strumenti adatti per farlo: per questo da un po' di tempo i Paesi in via di sviluppo propongono di
ricorrere al regime del patrimonio comune dell'umanità, al fine di superare la formale ed irreale
presupposizione di eguaglianza tra gli Stati (che crea in realtà ancora più differenza tra loro),
cercando di abbattere tutte le barriere che effettivamente li separano da quelli più avanzati
L'emergere di interessi collettivi di individui attraverso il principio del patrimonio comune
dell'umanità
-A partire dagli anni 70, essendo emersa la consapevolezza che i beneficiari diretti delle risorse
naturali non fossero gli Stati ma l'insieme degli individui, sono state elaborate delle modalità di
gestione delle risorse (sia di quelle non ancora sottoposte a sovranità statale che a quelle già
sottoposte) tali da garantire a tutta l'umanità il loro godimento: ciò si è manifestato con
l'affermazione del principio solidaristico del patrimonio comune dell'umanità
-Tale principio è nato quando i Paesi in via di sviluppo erano rivolti alla creazione del " nuovo
ordine economico internazionale ", organizzati dal 1963 nel "Gruppo dei 77"
-Nonostante le iniziali polemiche semantiche e relative alla giuridicità di questo principio, oggi si
ritiene che esso testimoni l'importanza e l'insostituibilità delle risorse (sia quelle in comune per
natura che quelle localizzate in spazi sottoposti alla sovranità degli Stati), sottolinei il divieto di
approvazione ed esiga uno sforzo congiunto per la conservazione e gestione razionale di tali
risorse: esso è quindi formato da una serie di norme giuridiche sancite in diversi accordi
internazionali che tutelano gli interessi collettivi degli individui con un intento solidaristico
-La nascita di questo principio sembra quindi coincidere con l'evoluzione subita dai diritti umani
nel diritto internazionale contemporaneo e soprattutto con il processo di globalizzazione
economica, grazie al quale essi non sono più considerati solo a portata individuale (come quelli
civili e politici prima ed economici e sociali dopo) ma proprio a portata universale, collettiva e a
contenuto solidaristico.
-Il patrimonio comune dell'umanità visto come eredità delle generazioni passate e ricchezza di
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Diritto Internazionale, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Diritto Internazionale, Leanza. Nello specifico gli argomenti trattati sono i seguenti: la comunità internazionale quale fenomeno dinamico, i caratteri essenziali della comunità internazionale, società di Stati, società paritaria, l'evoluzione storica della comunità internazionale (dall'Impero Romano alla pace di Westfalia), la struttura classica della comunità internazionale e la centralità del problema della soggettività internazionale.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Exxodus di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Tor Vergata - Uniroma2 o del prof Daniele Luigi.
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