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Gli accordi di codificazione e la loro applicazione
Gli accordi di codificazione vincolano i contraenti, ma, nonostante contengano diritto consuetudinario, non possono applicarsi anche agli Stati non ratificanti. Gli accordi di codificazione vanno considerati alla stregua di normali trattati internazionali che vincolano solo i Paesi contraenti. In ogni caso, l'interprete dovrà sempre fare un'accurata analisi quando vorrà applicare come diritto generale una delle norme contenute negli accordi, verificando se effettivamente corrispondano alla prassi degli Stati.
In tal senso: sent. Corte Internazionale di Giustizia 1969 sulla delimitazione della piattaforma continentale tra Germania e Stati limitrofi. La Corte, commentando il criterio dell'equidistanza dalle coste per definire i confini marini (Convenzione di Ginevra 1958), ha definito tale principio non di diritto generale, in quanto prassi non sufficientemente consolidata e, quindi, inapplicabile alla Germania che non aveva ratificato la.
Convenzione. È possibile che, a causa della mutata prassi degli Stati, bisogna ricorrere al ricambio delle norme di diritto generale codificate. Tutti gli accordi del genere sono stipulati per una durata illimitata, ma per alcuni sono previsti procedimenti di revisione in vista di nuovi accordi più attuali. L'evoluzione del diritto consuetudinario comporta l'inapplicabilità della norma obsoleta per gli Stati non contraenti (motivo in più per non equiparare il diritto codificato a quello generale). Per quanto riguarda gli Stati contraenti, nulla vieta che il diritto consuetudinario di nuova formazione abroghi quello pattizio anteriore, sempre che si accerti incontrovertibilmente che gli Stati contraenti abbiano contribuito alla formazione della nuova consuetudine.
8. Le dichiarazioni di principi dell'Onu. Si inquadrano nel discorso sul diritto internazionale generale le dichiarazioni di principi dell'Assemblea Generale dell'Onu,
conte-14nenti una serie di regole sui rapporti tra Stati, ma più spesso sui rap-porti degli Stati con i propri sudditi e con gli stranieri. Tra tutte si ri-corda la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" (ris.10.12.1948 n. 217-III) e le Dichiarazioni in campo economico che suggeriscono regole a cui dovrebbe ispirarsi l'azione degli Stati, per eliminare o attenuare le differenze tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Non si può dire che le Dichiarazioni costituiscano fonte auto-noma di norme internazionali generali. L'Assemblea Generale non ha poteri legislativi mondiali e le sue risoluzioni non hanno carattere vin-colante; aspetto questo tenacemente difeso dai Paesi occidentali. In caso contrario, i Paesi del Terzo Mondo, maggioranza all'Onu, avreb-bero in mano la gestione del diritto generale internazionale.
Tuttavia è innegabile che le Dichiarazioni di principi abbiano un ruolo importante, simile a quello degli accordi di codificazione,
Per lo sviluppo di un diritto internazionale più attento alle esigenze di solidarietà sempre più sentite oggi. Pur non vincolanti, esse danno un contributo alla formazione del diritto internazionale, ispirando i contenuti degli accordi e condizionando la formazione della consuetudine; esse, quindi, sono rilevanti in quanto prassi degli Stati che le adottano. Certe Dichiarazioni possono avere il valore di veri e propri accordi internazionali, quando, oltre ad enunciare un principio, espressamente ne equiparano l'inosservanza alla violazione della Carta dell'Onu. Si tratta di un espediente, di fronte alla natura non vincolante delle Dichiarazioni, per sancire che quel certo principio è ormai obbligatorio e vincola gli Stati che le sostengono con il voto; essi, proprio esprimendo un assenso, intendono obbligarsi. Lo stesso dicasi quando la Dichiarazione considera l'inosservanza di un principio non violazione della Carta dell'Onu, ma
del diritto internazionale generale. 9. I trattati. Procedimento di formazione e competenza a stipulare. L'accordo (convenzione, trattato, patto) è fonte di norme internazionali particolari. Come gli atti di natura contrattuale, il trattato è l'incontro di due o più volontà, dirette a regolare una determinata sfera di rapporti attraverso diritti e obblighi reciproci. Non è da accogliere la distinzione della dottrina tedesca tra trattati normativi o trattati legge (unici produttivi di norme giuridiche, caratterizzati da volontà di identico contenuto e dalla adesione di un gran numero di Stati contraenti: accordi di codificazione, trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, ecc.) e trattati contratto o trattati negozio (le parti, muovendo da posizioni contrastanti, attuano uno scambio di prestazioni corrispettive: accordi commerciali, trattati di alleanza, trattati di cessione territoriale, ecc.). La distinzione non ha senso.Perché qualsiasi trattato esprime una volontà di obbligarsi e produce regole di condotta. Inoltre, per quanto riguarda la contrapposizione e l'unione delle parti, i due dati sono più o meno presenti in qualsiasi procedimento negoziale sino alla stipulazione dell'accordo. Invece, una distinzione che va fatta, e che non avvalora comunque la teoria tedesca, deriva dalla presenza nei trattati di norme astratte, che regolano una fattispecie generica di rapporto e vincolano gli Stati contraenti che vengano a trovarsi in una situazione che rientra nella tipologia generale descritta, e norme concrete, che regolano un singolo e ben determinato rapporto. Meglio ancora si può dire che i trattati, come tutte le fonti di norme giuridiche, possono dare vita a regole materiali, che disciplinano direttamente i rapporti tra i destinatari contraenti, e regole formali (o strumentali), che si limitano ad istituire fonti per la creazione di ulteriori norme, come quelle.
contenute nei trattati istitutivi di orga-nizzazioni internazionali: questi accordi, oltre a regolare concretamen-te i rapporti tra i contraenti, demandano agli organi socialidell’organizzazione la produzione di ulteriori norme.Il complesso di norme consuetudinarie che regola il procedi-mento di formazione, i requisiti di validità e di efficacia degli accordiforma il diritto dei trattati. A questo tema è dedicata la Convenzionedi Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, entrata in vigore nel 1980.Per completare la materia vanno ricordate la Convenzione di Vienna1978 sulla successione degli Stati nei trattati, entrata in vigore nel1996, e la Convenzione di Vienna 1986 sui trattati stipulati tra Stati eorganizzazioni internazionali e tra organizzazioni internazionali, maientrata in vigore e praticamente uguale alla prima.Per quanto riguarda la sfera di applicazione di Vienna 69, l’art.4 della Convenzione afferma il principio che le regole consuetudinariediIl diritto generale in essa contenute si applicano a tutti gli Stati e a tut-ti i trattati. Per le norme innovative, lo stesso art. 4 enuncia che essenon sono retroattive e quindi sono applicabili solo agli Stati ratificanti,tra cui la Convenzione è in vigore. La conseguenza è che, in caso ditrattati successivi multilaterali, di cui siano contraenti anche Stati ter-zi, la Convenzione si applica solo a quelli legati dalla Convenzionestessa. Scopo di Vienna 69 è quello di allargare il più possibile e nondi restringere la sua applicazione.
Per favorire l'incontro di volontà degli Stati, il diritto interna-zionale lascia la più ampia libertà in materia di forma e proceduranella conclusione degli accordi, purché se ne deduca la reciproca in-tenzione ad obbligarsi. Il modo consueto è quello degli accordi periscritto, regolato da Vienna 69 (artt. 7-16). In linea di massima le fasi16di conclusione di un'intesa, formatesi
Ai tempi delle monarchie assolute, e ancora oggi, anche se con ulteriori procedure nate successivamente, la negoziazione e la predisposizione dell'accordo sono compiti affidati ai plenipotenziari (oggi membri dell'esecutivo) e agli emissari del sovrano (oggi capo dello Stato), previa contrattazione con la controparte. La firma e la chiusura del testo definitivo sono compiti dei plenipotenziari, mentre la ratifica è l'atto con cui il sovrano controlla l'adesione al mandato assegnato ai plenipotenziari. Infine, avviene lo scambio delle ratifiche per portare a conoscenza delle parti la volontà di obbligarsi.
L'articolo 7 della Convenzione di Vienna del 1969 stabilisce che il rappresentante dello Stato viene identificato in base alla produzione di pieni poteri. Gli organi competenti si deducono dal diritto interno e dalla prassi di ogni Stato (in Italia è il Governo). Sono rappresentanti anche i capi di Stato, i capi di Governo, i ministri degli Esteri in ordine a tutti i trattati, e i capi delle missioni diplomatiche per i trattati con gli Stati, presso...
cui sono accreditati; i delegati presso le organizzazioni internazionali per i trattati stipulati in seno alle stesse.
La fase di negoziazione è più complessa nei trattati multilaterali. Ad esempio i trattati di pace, di codificazione sono negoziati dai plenipotenziari nell'ambito di conferenze diplomatiche dalle procedure molto articolate. La vecchia regola dell'adozione del testo all'unanimità viene sempre più spesso sostituita dal principio di maggioranza qualificata (art. 9 Vienna 69).
La firma del trattato da parte dei plenipotenziari chiude la fase della negoziazione. Essa non comporta ancora alcun obbligo per gli Stati, è solo un'autenticazione del testo definitivo che potrà essere modificato solo con l'apertura di nuovi negoziati.
La ratifica è l'atto con cui lo Stato si impegna nei confronti degli altri Stati ratificanti. In base alle norme costituzionali interne di ogni Stato è individuabile
Il soggetto nelle cui attribuzioni rientra il potere di ratifica. Di solito è il capo dello Stato, spesso in funzione di dichiarante della volontà di altri organi, quali il Governo e il potere legislativo.
Nell'ordinamento italiano (art. 87 Cost.) i trattati internazionali sono ratificati dal capo dello Stato, spesso previa autorizzazione delle Camere. L'autorizzazione è necessaria (art. 80 Cost.), e va espressa con legge, nei trattati di natura politica, che prevedono regolamenti giudiziari, che comportano variazioni del territorio nazionale, oneri alle finanze o modificazioni di leggi. In base poi all'art. 89 Cost., ogni atto del presidente della Repubblica deve essere controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità. Il capo dello Stato non può rifiutarsi di sottoscrivere, ma può solo sollecitare il riesame.