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Una fase dei negoziati è partita con i colloqui indiretti fra Israele e l'Autorità palestinese, mediati da Mitchell, l'inviato speciale Usa. È un passo importante?"Tutti sanno che porterà a niente. Lo sanno gli arabi, i palestinesi, persino gli americani. A Washington lo ammettono in privato: non si fidano di questo governo israeliano". Che segnali le arrivano dalla Casa Bianca di Obama?"Io vorrei distinguere fra la persona di Obama e l'America in quanto Stato. Il presidente ha buone intenzioni. L'atmosfera è decisamente migliorata: è stato tolto il veto al nostro accesso all'Organizzazione mondiale del commercio. Ma poi ci sono il Congresso, le lobby, che intervengono nel nostro rapporto in modo a volte positivo, altre negativo. E alla fine, contano i risultati". Già, ma Stati Uniti e Israele vi accusano d'avere consegnato missili Scud al vostro alleato Hezbollah in Libano. È
così? "Ma no che non è così. Chi prende queste accuse sul serio? Nemmeno gli americani. È propaganda d'Israele, che non ha fornito la minima prova. Israele ha un problema d'immagine, offuscata per il trattamento inflitto ai palestinesi, per l'offensiva e l'embargo contro Gaza, per il rifiuto di congelare le colonie, di aderire alle iniziative di pace americane e arabe. Le accuse sono un diversivo per frenare l'intesa fra America e Siria. Ma intanto, noi continuiamo a lavorare per la pace. Prima o poi, arriverà". Da cosa ricava questa convinzione? "Ascoltate, non accadrà nel prossimo futuro. Israele adesso non è pronto a un'intesa. Non può farlo. La società israeliana s'è spostata troppo a destra. È un processo iniziato nel '67, si è approfondito con l'avvento di due destre al potere in America e in Israele: Bush e Sharon. E poi, serve un leader vero.cheguidi la società. Non un impiegato, che bada soltanto a farsi riconfermare ogni quattro anni". E allora perché lei è ottimista?" Perché Israele ha perso uno dei suoi principali deterrenti. Finora contava sul potere delle armi. Ripeteva "non m'importa che m'amino, l'essenziale è che mi temano". Ora, malgrado la forza militare d'Israele, gli arabi non lo temono più."
Presidente, il quadro che lei va dipingendo giustifica un ripensamento della sua scelta strategica di allinearsi con Washington?" Se vogliamo parlare di strategie, il fatto è che l'America adotta l'approccio empirico del "trial and error". Io invece ho una strategia, ed è guidata dai nostri interessi. Il mio rapporto con gli Stati Uniti passa attraverso questa lente".
E che aspetto ha il suo mondo, visto attraverso quella lente?" Vedo un cambiamento epocale, non solo in Medio Oriente: Paesi, come
anche Cina e Brasile, che non aspettano più che sia l'America ad assegnare le parti. Quanto alla nostra regione, vedo quel che molti non vogliono cogliere: la nascita di un'alleanza dettata da interessi comuni; di uno spazio nel quale coincidono politica, interessi e infrastrutture. È una nuova mappa saldata anche da una contiguità territoriale. Su questa si muovono potenze regionali ed emergenti". Quali? "La Siria, l'Iran, la Turchia. Ma anche la Russia. Sono tutti Paesi che stanno collegandosi l'un l'altro, anche fisicamente, attraverso gasdotti e oleodotti, ferrovie, reti stradali, sistemi per la conduzione dell'energia elettrica. Un unico, grande perimetro unisce cinque mari: il Mediterraneo, il Mar Caspio, il Mar Nero, il Golfo Arabo e il Mar Rosso. Stiamo parlando del centro del mondo. Da Sud a Nord, da Est a Ovest, chiunque si muova, deve percorrere questa regione. Ecco perché è stata flagellata da guerre per"migliaia di anni". Quindi ora in Medio Oriente bisognerà fare i conti con una triplice alleanza: Siria, Iran e Turchia?
"Esatto. Tra di noi, Paesi confinanti, debbono esserci buoni rapporti. Ce lo insegna il passato: a cosa sono serviti, infatti, 80 anni di conflitti con la Turchia? A niente. E invece, guardate i risultati: senza l'intesa fra Siria, Iran e Turchia, quale sarebbe oggi la situazione in Iraq, e più in generale nella regione? Molto peggiore, ve lo assicuro".