Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
LA GOVERNANCE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'AMBIENTE: STATI, ONG E
SOCIETÀ CIVILE
Quando parliamo di diritto internazionale ambientale, la gestione più proficua è quella della
cooperazione a livello regionale. Il ruolo delle organizzazioni non è così significativo perché non si
occupano di ambiente come primo obiettivo. Altra caratteristica è la partecipazione allargata di ONG
15
che operano in questo settore con competenze tecniche specialistiche, la cui presenza è molto utile nei
forum internazionali.
Sul fronte organizzazioni internazionali l’attività è molto elevata, però la tutela ambientale sconta delle
scelte di second best: non manca tanto il livello organizzazioni internazionali, quanto un attore
specializzato in tutela ambientale, con la conseguenza che gli attori principali rimangono gli stati.
D’altra parte, i comportamenti inquinanti sono tenuti per la maggior parte da individui e il livello
statale consente di rimediare all’illecito perché è più vicino ad essi per il principio di sussidiarietà: la
dimensione regionale è quella più efficace.
In materia ambientale l’individuo e le imprese hanno un ruolo nel meccanismo del consumo: il loro
ruolo può essere anche di promozione della tutela ambientale, perché la coscienza ambientale è più
forte di un tempo. Il comportamento dell’individuo orienta il comportamento delle imprese, che
utilizzano la loro produzione eco-compatibile come strumento di propaganda.
LE FONTI: TRATTATI E PRINCIPI GENERALI
Si tenta di promuovere la formazione di regole che abbiano il carattere di norme consuetudinarie. Se è
vero che questi principi sono affermati e riconosciuti a livello universale, hanno comunque scarsa
efficacia vincolante. Pertanto la fonte privilegiata resta il diritto internazionale particolare, con tutte le
difficoltà che sconta (soluzione di compromesso). Le norme di soft law orientano il comportamento
degli attori del diritto internazionale e qualche volta diventano più importanti delle fonti tradizionali:
esse acquistano un ruolo importano nel meccanismo di produzione e consumo.
Non si rivengono nella prassi principi generali con efficacia vincolante. Il principio generale a cui si
riporta questo ragionamento è quello per cui si può esercitare un proprio diritto senza che leda un
principio altrui. Tale principio è stato applicato nel caso relativo ala fonderia inquinante di Trail sul
confine fra Canada e USA. Nel corso dell’arbitrato relativo a questo caso, si è rinvenuta una
responsabilità del governo canadese sulla base di questo principio. Tuttavia, non solo questo principio
non è sempre invocato, ma non esistono neppure corollari che rendano effettivo questo diritto,
pertanto non ha dignità di consuetudine internazionale.
Non costituiscono norme consuetudinarie né i principi procedurali relativi alla negoziazione e
cooperazione tra gli stati (che ravvisano obblighi di trasparenza, obblighi di valutazione di impatto
ambientale per le attività pericolose) né i principi a portata sostanziale (come il principio
precauzionale, il principio di responsabilità comune ma differenziata, il principio dello sviluppo
sostenibile e quello per cui chi inquina paga). Questi principi vengono spesso codificati in convenzioni
vincolanti, ma non significa che integrino delle consuetudini internazionali.
LA TUTELA DELL'AMBIENTE NELL'UNIONE EUROPEA
L’Unione europea nasce come organizzazione priva di competenze ambientali, malgrado la CEE e la
CECA disciplinino attività economiche che abbiano un impatto ambientale, data la scarsa sensibilità
all’epoca e i problemi per trovare una volontà comune. In contemporanea con la Conferenza di
Stoccolma l’Unione elabora un programma d’azione di tutela ambientale, un documento
programmatico al di fuori delle fonti vincolanti.
Alla competenza di materia ambientale si arriva per piccoli passi: un contributo decisivo viene dato
dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, che spesso anticipa soluzione che poi i trattati codificano.
La Corte ha riconosciuto l’esigenza che l’Unione intervenisse in materia ambientale ancora prima di
qualsiasi riferimento normativo, riconoscendo la priorità della tutela ambientale attraverso
l’applicazione di una direttiva sull’uso di materiali combustibili. 16
Il riferimento alla tutela ambientale a livello pattizio si ha con l’Atto unico europeo del 1986, con cui
all’Unione vengono attribuite specifiche competenze in materia, inserendo anche il principio di
sussidiarietà. Ciò consente di imporre degli standard minimi agli stati dell’Unione riguardo
all’ambiente, nozione comprensiva anche delle risorse naturali e della salute umana. Allora l’Unione
poteva adottare una direttiva solo se tutti gli stati erano d’accordo; oggi vale invece il principio della
maggioranza.
Il Trattato di Amsterdam prevede un elevato livello di tutela e con il Trattato di Lisbona avviene
l’integrazione del principio di tutela ambientale in tutte le altre competenze dell’Unione. L’art. 11 TFUE
specifica che la dimensione ambientale deve essere tenuta in considerazione dalle politiche europee in
tutte le altre materie rientranti fra quelle all’art. 7. La competenza ambientale rientra fra le
competenze concorrenti, quelle materia soggette all’applicazione del principio di sussidiarietà.
L’Unione può agire quando i test di necessità e di valore aggiunto non vengono soddisfatti, ovvero
quando l’Unione dimostra che l’azione degli stati non è sufficiente e che l’azione a livello europeo
determina un valore aggiunto.
Nelle competenze esclusive dell’Unione rientra la conservazione delle risorse biologiche marine, la
politica commerciale, la concorrenza, nelle quali l’Unione ha diritto d’intervenire senza limiti: gli stati
non possono intervenire se non per delega dell’Unione stessa. Nelle competenze concorrenti stati-
Unione opera il principio di sussidiarietà (secondo il quale è competente il livello più vicino
all’individuo) e di proporzionalità (secondo il quale l’intervento a livello comunitario o statale deve
essere proporzionato all’obiettivo che si intende raggiungere): lo strumento più adeguato è la
direttiva, con cui vengono lasciate agli stati le modalità rispetto al fine. Nelle competenze di sostegno
l’azione dell’Unione è degradante: l’azione degli stati viene supportata dall’Unione, ma rimane
d’impulso statale. La nozione di ambiente dell’Unione europea è comprensiva anche di salute umana e
risorse naturali, oltreché di ambiente in sé stesso. L’art. 37 della Carta dei diritti enuncia la tutela
ambientale come diritto fondamentale. La base normativa di riferimento per l’adozione di atti in
materia ambientale sono l’art. 191 e seguenti del TFUE.
Oggi anche la materia ambientale è soggetta alla procedura legislativa ordinaria nella quale
Parlamento e Consiglio dell’Unione europea (organo a composizione variabile che rappresenta i
governi degli stati membri e si riunisce per tematiche) hanno analogo potere: la proposta normativa
che normalmente parte dalla Commissione europea (organo tecnico) e passa al vaglio di Parlamento e
Consiglio; ottenuta l’approvazione dei due organi, la proposta diventa definitiva. Il Parlamento può
bloccare la proposta normativa della Commissione nella fase embrionale (sistema di allerta
preventivo). L’Unione, prima di Lisbona, ha avuto una struttura pilastri, fra i quali non c’era gerarchia,
sebbene l’art. 47 del TUE stabiliva che se ci fossero state competenze appartenenti a due pilastri, il
primo (con competenza sovranazionale) avrebbe avuto prevalenza. Con il Trattato di Lisbona la
struttura a pilastri è stata abolita.
Spesso i principi generali vengono ripresi a livello di diritto primario dell’Unione europea: essi
vengono codificati dalle norme dei trattati (principio d’integrazione; principio di correzione alla fonte
spesso affermato nelle direttive, a livello secondario; principio di elevato livello di tutela ambientale
all’art. 191; polluter pays principle, chi inquina paga), che possono essere oggetto di ricorso davanti alla
Corte. Nell’Unione europea i principi non sono solo importanti, ma acquistano anche efficacia
vincolante quando vengono incorporati negli atti normativi europei.
La Corte di giustizia, unica autorità giurisdizionale dotata del potere d’interpretare il diritto
dell’Unione europea, lavora a Lussemburgo. Oltre alla funzione interpretativa, ha anche l’attività di
controllo del rispetto del diritto dell’Unione. Con il ricorso per infrazione, quando uno stato è carente,
viene fatta una segnalazione alla Commissione, mettendo in mora lo stato e dandogli un termine per
mettersi in riga; se lo persiste nel suo comportamento contrario al diritto dell’Unione, verrà chiamato
dalla Commissione a rispondere davanti alla Corte. L’Unione è intervenuta in modo particolare nelle
17
questioni relative all’inquinamento delle acque, all’inquinamento acustico (buone esempio del
principio di integrazione delle politiche europee) e alla biodiversità.
La sentenza della Corte dell’unione del 13 settembre 2005 vede la Commissione contro il Consiglio in
merito a una decisione quadro relativa alle sanzioni da applicare ai reati ambientali. Il fondamento
normativo risulterebbe erroneo: a seguito dell’evoluzione delle competenze attribuite all’ordinamento
comunitario, la base normativa per le decisioni di natura penalizzante per condotte illecite dal punto
di vista ambientale rientra nel TFUE, con un ulteriore ampliamento rispetto alle norme contenute
nell’art. 34 TUE. La decisone adottata dal Consiglio è in violazione dell’art. 175 del TFUE. La decisone
quadro è stata presa sulla base del terzo pilastro, ma avrebbe potuto rientrare anche fra le politiche
ambientali, competenza del primo pilastro. Quando c’era la struttura a pilastri, l’art. 47 diceva che se
una competenza poteva essere esercitata sia sulla base del primo pilastro che del secondo o del terzo,
bisognava dare prevalenza al pilastro sovranazionale. Viene pertanto dichiarata l’illegittimità della
decisione quadro, che viene annullata e trasformata in una direttiva.
La Repubblica italiana è stata accusata dalla Commissione europea di aver violato gli artt. 4 e 5 della
direttiva del 2006 in materia ambientale (gestione dei rifiuti). Gli artt. 4 e 5 impongono agli stati di
creare una rete integrata di impianti di smaltimento volti a garantire alla comunità un certo grado di
autosufficienza. La direttiva &egr