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I DIRITTI DELL'UOMO
La tutela dei diritti dell'uomo, sia sul piano del diritto internazionale generale, sia sul piano dei trattati, è una tutela recente, che si è affermata solo a partire dal secondo dopoguerra, sulla base di alcuni spunti nella Carta delle Nazioni Unite e di una risoluzione dell'Assemblea generale: la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Essendo una risoluzione dell'Assemblea generale non è di per sé vincolante, ma ha posto l'attenzione sull'esigenza di tutela. Inoltre, questa risoluzione ha trovato traduzione in alcuni testi vincolanti, in particolare in trattati regionali, fra cui la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Si è affermato anche un trattato tendenzialmente universale, che vedremo successivamente. Vedremo che si può parlare anche di un diritto internazionale generale in materia di diritti dell'uomo. La Convenzione europea dei diritti dell'uomotratta di un trattato firmato nel 1950 e successivamente arricchito da protocolli aggiuntivi. Il trattato base è stato in qualche modo riscritto in base al protocollo n. 11, che nel 1998 ha riveduto il testo, in particolare la parte procedurale. Si sta inoltre procedendo alla ratifica del protocollo 14, che vorrebbe modificare altre parti procedurali; non siamo però sicuri che questo protocollo entri in vigore, a causa dell'opposizione della Confederazione russa (tutti gli stati della Convenzione europea devono ratificarlo).
Alcuni protocolli non sono stati integrati nella Convenzione, quindi sono ancora in vigore come testi staccati; altri protocolli sono stati diffusi e sistemati all'interno della Convenzione.
La struttura della Convenzione è sostanzialmente divisibile in due parti: una prima parte nella quale si enunciano i diritti e le libertà garantiti, integrata dai protocolli 1, 4, 6 e 7; ed una seconda parte procedurale. La prima è
Una parte che il protocollo 11 non ha modificato, sono rimaste le formulazioni originarie. Sono formule non molto trasparenti, nel senso che c'è molto di più in questa Convenzione di quanto non risulti da una prima lettura del testo. Questo perché sulla Convenzione hanno lavorato dei giudici (oggi c'è soltanto la Corte europea dei diritti dell'uomo), con delle interpretazioni che hanno arricchito il contenuto e che non sono state contestate dagli stati parte. Ad esempio: l'art. 6 parla nel primo paragrafo del diritto ad un processo equo e che si svolga in tempi ragionevoli "al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale". Se si guarda alla lettera, sembrerebbe comprendere solo i processi civili e quelli penali, mentre secondo la giurisprudenza questo riguarda anche i procedimenti amministrativi. All'art. 8 si parla del diritto al rispetto
della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza. Questa norma è stata anche interpretata nel senso di dare una seppur limitata tutela del diritto all'ambiente, per cui si è riconosciuta una tutela ad una persona che abitava nella vicinanza dell'aeroporto di Heathrow e che la notte non riusciva a dormire a causa del passaggio degli aerei. L'art. 11 parla della libertà di associazione, fra cui l'associazione sindacale positiva e negativa (libertà di non iscriversi). La Corte ha ritenuto non si tuteli soltanto la libertà di associarsi ai sindacati, ma anche la libertà dei sindacati, in particolare l'esigenza che un sindacato rappresentativo sia sentito per determinate decisioni. Dunque, per comprendere il contenuto completo di questi diritti dovremmo leggerli attraverso la giurisprudenza; ci si è perciò chiesti perché mediante un protocollo non si è modificata anche la prima parte.arricchendola con la specificazione dei diritti riconosciuti in giurisprudenza. L'argomento che è sempre stato fatto valere da chi è favorevole alla tutela di questi diritti aggiuntivi è che, se si rimette in discussione la Convenzione per inserire questi nuovi diritti ricavati in via interpretativa, gli stati potrebbero mostrare di non essere d'accordo e approfittarne per smentire la giurisprudenza della Corte.
Questi diritti devono essere conferiti senza discriminazione. Non abbiamo per ora nel sistema della Convenzione europea una norma generale di non discriminazione; l'art. 14 riguarda soltanto i diritti previsti nella Convenzione e nei protocolli, ma la Corte di giustizia sta lavorando per ampliare questa norma in via interpretativa, utilizzandola in combinato disposto con altre norme. Dunque la non discriminazione non è considerata come un diritto in sé, ma si afferma solo il divieto di discriminazione in relazione ai diritti.
garantiti nella Convenzione, anche se la giurisprudenza cerca di ampliare questa disposizione. L'art. 15 prevede una possibilità di deroga a questi diritti in casi d'urgenza. Di fronte ad una situazione d'emergenza uno stato può indicare che non riconoscerà certi tipi di diritti. Questo non vale per tutti: i diritti indicati nel paragrafo 2 dell'art. 15 non possono essere derogati (questo non significa che siano su un piano superiore). La Convenzione europea impone che vengano rispettati certi limiti, ma non esclude che venga data una tutela maggiore. Si tratta di un principio generale che trova espressione anche nell'art. 53, che dice che "Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata come recante pregiudizio o limitazione ai diritti dell'uomo e alle libertà fondamentali che possono essere riconosciuti in base a leggi di qualunque Stato contraente o da altri accordi internazionali dicorte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che tali limitazioni devono essere interpretate in modo restrittivo e che devono essere proporzionate all'obiettivo legittimo perseguito. Pertanto, anche se la Convenzione europea dei diritti dell'uomo prevede delle limitazioni ai diritti fondamentali, non significa che uno Stato debba necessariamente avvalersene. Ogni Stato ha la possibilità di garantire una tutela maggiore dei diritti fondamentali rispetto a quanto previsto dalla Convenzione.Corte di giustizia ha elaborato una concezione: quella del margine di apprezzamento. Si lascia una certa discrezionalità allo stato di accertare se veramente l'ordine pubblico (o altri motivi) richiede una certa limitazione del diritto, dev'essere però una misura necessaria; si lascia in sostanza un margine di apprezzamento allo stato, però la Corte di giustizia va a fare un controllo, che fa in modo differenziato in relazione ai motivi. Questa è una teoria che è stata sviluppata dalla Corte europea ma è importante in generale; fa sì che spesso alcuni obblighi posti agli stati lascino qualche spazio di valutazione allo stato. La teoria del margine di apprezzamento è stata elaborata dalla Corte europea per stabilire fino a dove poteva spingersi la sua indagine per accertare se un certo limite fosse stato rispettato o no.
Il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Quello che è particolarmente interessante
Nel sistema della Convenzione è il meccanismo procedurale (2° parte), utilizzato per fare in modo che un individuo che ritiene che uno dei suoi diritti affermati dalla Convenzione sia stato violato, possa ottenerne il rispetto. A partire dal protocollo 11 del 1998 c'è una possibilità per gli individui, indipendentemente dall'atteggiamento dello stato, di ricorrere davanti alla Corte internazionale dei diritti dell'uomo. Non solo un cittadino di uno dei 46 stati membri della Convenzione, ma anche un cittadino non europeo che si trova in uno stato che ha ratificato la Convenzione. L'idea di poter andare direttamente davanti ad un'istanza internazionale per far valere una pretesa è qualcosa di molto significativo; non c'è bisogno di rivolgersi al ministro degli esteri o comunque di passare per il proprio stato, ma ci si può rivolgere direttamente alla Corte. C'è una possibilità anche per gli stati.
L'art. 33, modificato dal protocollo 11, apre alla possibilità per qualunque stato di far valere la violazione di diritti dell'uomo da parte di un altro stato, non soltanto quando c'è un interesse specifico, uno stato può agire in giudizio in relazione a qualunque tipo di violazione. Ad esempio, al tempo della Grecia dei colonnelli alcuni stati nordici (Danimarca, Svezia) avevano fatto un ricorso sostenendo che in Grecia c'era la violazione sistematica di una serie di diritti sulla base della disposizione appena citata. I ricorsi da parte degli stati sono molto rari, al contrario quelli fatti dalle persone fisiche, tanto che in questo momento ci sono 80'000 ricorsi pendenti davanti alla Corte, e questo è un problema per il suo funzionamento. Il protocollo 14 ha cercato di porre qualche rimedio (sempre che la Confederazione russa ne permetta l'entrata in vigore) ma non è ancora sufficiente, dunque è prevedibile ci sia.
un numero di ricorsi molto più elevato di quello che la Corte può smaltire (dal nostro paese sono partiti moltissimi ricorsi per la durata eccessiva dei processi, tanto che è stato istituito un ufficio ad hoc). Questa sovrabbondanza di ricorsi è presente nonostante la Corte europea tenda in molti casi a dichiarare irricevibili i ricorsi. Essi vengono attualmente portati davanti ad una sezione, in cui vi è un comitato di tre giudici (che verrebbero portati ad uno solo con l'approvazione del protocollo 14), se questi tre giudici sono unanimi nel dichiarare irricevibile il ricorso, esso viene respinto. Questo è quello che avviene per la stragrande maggioranza dei ricorsi. Ci sono dei requisiti che il ricorso deve soddisfare affinché si possa arrivare alla pronuncia di ricevibilità e quindi al suo esame. L'art. 35 pone quelle che sono le condizioni di ricevibilità di un ricorso: il primo requisito per la ricevibilità.è il previo esaurimento dei ricorsi interni (regola già vista, formatasi nell’ambito della protezione diplomatica); solo se sostanzialmente un soggetto ha fatto già valere la violazione di un certo diritto dinnanzi ai tribunali interni allora può ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.