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FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE
Le fonti del diritto internazionale dell’ambiente
Le fonti del diritto internazionale dell’ambiente sono le stesse fonti del diritto internazionale, ma
ovviamente presentano delle specificità dovute alla peculiarità della materia ambientale. Le fonti
sono, dunque, costituite da consuetudini, trattati e principi di diritto. Le consuetudini sono fonti del
diritto internazionale caratterizzate dagli elementi dell’opinio iuris e della prassi. In materia
ambientale sono poche e vaghe, dal contenuto difficile da individuare. Perciò hanno una loro utilità
solo in determinati casi, ossia quando manchino del tutto trattati in una certa materia, oppure
quando uno Stato non abbia accettato un trattato, o ancora quando integrano un trattato. Dunque,
nonostante la critica che si possa muovere alla consuetudine internazionale, essa ha comunque
un ruolo in materia ambientale.
I trattati svolgono sicuramente un ruolo importante in materia ambientale, come testimoniano i
circa 300 trattati multilaterali stipulati, cui vanno aggiunti migliaia di trattati bilaterali. Tuttavia,
queste fonti presentano dei limiti. Innanzitutto, spesso riguardano materie di dettaglio, settori
limitati. In secondo luogo, la mappa di partecipazione degli Stati ai trattati è a ”geometria
variabile”, non essendo gli Stati obbligati ad aderire a un trattato. Il terzo limite è costituito dal fatto
che i trattati possono presentare anche delle riserve, per cui uno Stato può accettare un trattato
ma si “riserva” una parte del trattato. In materia ambientale questa ipotesi è più marginale, infatti
spesso i trattati ambientali vietano le riserve. Altra problematica tipica dei trattati è la loro inefficacia
verso i terzi. Questa regola di diritto internazionale generale ha importanti riflessi in materia
ambientale, ponendo un grosso problema soprattutto in materia di risorse condivise, rispetto alle
quali il fatto che non si possa costringere un terzo Stato a concludere un trattato fa sì che ci sia un
pericolo per la risorsa condivisa.
Per quanto riguarda, infine, i principi di diritto, il diritto internazionale distingue tra principi di
diritto internazionale riconosciuti dalle nazioni civili, ossia principi nati negli ordinamenti
nazionali e che sono estesi all’ordinamento internazionale, e principi generali propri
dell’ordinamento internazionale, ossia principi generali sviluppati direttamente nell’ordinamento
internazionale. I principi propri del diritto internazionale dell’ambiente si ricavano da questi ultimi e
possono essere sia sostanziali che procedurali.
I principi generali del diritto internazionale dell’ambiente
A) Il divieto di inquinamento transfrontaliero
Dall’esame della prassi, è possibile affermare l’esistenza di una norma consuetudinaria
internazionale che impone un divieto di inquinamento transfrontaliero: nessuno Stato ha, cioè,
il diritto di usare il proprio territorio o di permetterne l’uso in modo da arrecare danno al territorio
altrui.
Il divieto di inquinamento transfrontaliero trova la sua prima applicazione nella sentenza resa l’11
marzo 1941 da un Tribunale Arbitrale ad hoc, istituito per risolvere la controversia tra Stati Uniti e
Canada in merito alla Fonderia canadese di Trail e agli effetti delle sue emissioni inquinanti sulle
colture statunitensi; è questo il primo caso di una sentenza internazionale nella quale la tutela
ambientale diventa oggetto di un precetto specifico a carico di uno Stato.
Il divieto di inquinamento transfrontaliero è stato successivamente ribadito e precisato sia nel
Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma del 1972 sia nel Principio 2 della Dichiarazione
adottata in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992.
B) Il principio di prevenzione (o di azione preventiva).
L’obbligo di prevenzione deriva dalla progressiva presa di coscienza dell’irreversibilità di molti
danni ambientali, e si traduce nell’adozione di tutte le misure preventive necessarie ad impedire
che la realizzazione di date attività rechi gravi pregiudizi transfrontalieri.
Tale principio ha assunto un carattere consuetudinario e impone agli Stati e alle organizzazioni
internazionali un obbligo di condotta, cioè l’obbligo di comportarsi in maniera diligente (due
diligence) al fine di prevenire i danni e i rischi per l’ambiente. La prevenzione va attuata rispetto a
quelle attività, produzioni, situazioni delle quali già si conosce la pericolosità per l’ambiente e per le
quali si sia già acquisita una certezza scientifica riguardo ai rischi.
C) Il principio di precauzione
Il principio di precauzione impone agli Stati di agire preventivamente al fine di evitare il prodursi di
un danno, anche a prescindere dalla certezza scientifica che possa giustificare una data azione e
la cui acquisizione potrebbe risultare irrimediabilmente tardiva per prevenire un grave pregiudizio
all’ambiente. Esso, dunque, interviene nell’ipotesi in cui non vi sia un’unità di vedute nella comunità
scientifica circa i rischi legati ad un certa attività.
Il principio viene sancito dalla Dichiarazione di Rio al Principio 15. Tuttavia, non è certo che tale
principio abbia acquisito carattere consuetudinario, a causa della situazione di incertezza su cui si
fonda l’approccio precauzionale.
D) Il principio «chi inquina paga»
Il principio “chi inquina paga” (polluter pays principle), codificato come Principato 16 nella
Dichiarazione di Rio, richiede non solo che l’autore di un danno all’ambiente che sia considerato
responsabile è tenuto a risarcire coloro che sono stati danneggiati, ma soprattutto impone agli Stati
di non emanare leggi e provvedimenti che garantiscono l’impunibilità di tale soggetto.
Questo principio nasce essenzialmente per contrastare la convinzione di molti Paesi industrializzati
che il degrado ambientale sia da considerare la logica e inevitabile conseguenza dello sviluppo e
del progresso. Esso non va certamente inteso nel senso di autorizzare chi paga ad inquinare, ma
costituisce uno strumento per accollare il costo del ripristino della situazione quo ante direttamente
a chi inquina, costituendo in tal senso un valido deterrente.
Concretamente, il principio si traduce nell’attuazione, da parte degli Stati, di meccanismi di
assicurazione del rischio; solitamente vengono previste delle assicurazioni con premi
sproporzionati verso l’alto, cosicché il rischio di incorrere in un risarcimento sproporzionato rispetto
al danno scoraggi la commissione del danno stesso.
E) L’obbligo di cooperazione tra Stati in materia di ambiente
Altra norma di diritto consuetudinario che si sarebbe formata in campo internazionale, a partire
dalla sentenza del lago Lanoux, è quella che stabilisce un obbligo di cooperazione tra Stati nella
gestione delle questioni relative alla tutela ambientale transnazionale. Questa regola, già presente
nella Dichiarazione di Stoccolma, ha trovato nel corso della Conferenza di Rio piena codificazione,
nei Principi 7, 13 e 27.
Un diffuso orientamento dottrinale considera, come corollario dell’obbligo di cooperazione, tre
obblighi di carattere procedurale, affermatisi grazie al crescente numero di accordi e sentenze che
ad essi fanno esplicito riferimento:
• l’obbligo per lo Stato di informare tempestivamente gli altri Stati circa la propria volontà di
intraprendere un'attività suscettibile di arrecare danni all’ambiente;
• l’obbligo di avviare (in caso di opposizione di Stati terzi alla realizzazione di un progetto) le
consultazioni necessarie al fine di arrivare ad un componimento pacifico della vertenza;
• l’obbligo della notifica d’urgenza delle catastrofi naturali e di tutte quelle situazioni atte a
provocare danni all’ambiente.
Il principio, che di per sé è troppo ampio, ha altre specificazioni:
• la gestione delle risorse naturali condivise va effettuata in maniera equa e proporzionale;
• la valutazione d’impatto ambientale assume rilevanza come forma di cooperazione tra
Stati. Infatti, se è vero che uno Stato la fa sul suo territorio rispetto a cui opera, è anche
vero che essa contribuisce alla fruizione e alla tutela dell’ambiente anche per gli altri Stati;
• l’obbligo di cooperazione riguarda anche le aree di interesse comune: si tratta di aree su
cui uno Stato esercita la sua sovranità, ma la cui rilevanza è importante per tutti gli Stati
della Comunità internazionale. L’esempio più importante è offerto dall’Amazzonia, che in
gran parte costituisce una risorsa del Brasile, che la gestisce esercitandovi la sua
sovranità; tuttavia, questa risorsa naturale è fondamentale per tutti gli Stati del mondo,
cosicché anche uno Stato come l’Italia deve cooperare nell’interesse di tale area;
• l’obbligo di cooperazione riguarda anche le risorse che costituiscono patrimonio
comune dell’umanità, ossia di quelle aree del pianeta sottratte alla sovranità di tutti gli
Stati e che vanno gestite collettivamente dagli stessi (es. Antartide, spazio
extraatmosferico, abissi marini). I modi di gestione cambiano da bene a bene, da area a
area.
F) Principio di partecipazione dell’opinione pubblica
Si tratta di un principio, che non ha carattere consuetudinario, che comporta la trasparenza delle
scelte in materia ambientale.
G) Lo sviluppo sostenibile
Dall’esame della prassi si evince l’esistenza di un ultimo principio in tema di tutela dell’ambiente,
presente in numerose convenzioni e codificato nel Principio 3 della Dichiarazione adottata a Rio
nel 1992: lo sviluppo sostenibile. Lo sviluppo è considerato sostenibile quando soddisfi le esigenze
delle generazioni presenti senza compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni
future; è questo un concetto che prevede un nesso di interdipendenza e complementarietà tra la
tutela dei diritti dell’uomo, lo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente, in quanto uno
svolgimento delle attività economiche che adotti tutte le misure necessarie ad evitare danni
ecologici garantisce, allo stesso tempo, un’adeguata tutela dell’interesse delle collettività umane.
Le Convenzioni e i protocolli ambientali
Gli accordi internazionali in materia ambientale sono circa 300. Fra di essi, occorre analizzarne
alcuni, con particolare attenzione rispetto alla loro attuazione da parte di 10 grandi soggetti
internazionali, la cui influenza è determinante. I soggetti che consideriamo sono: Brasile; Cina;
India; Giappone; USA; UE (considerata nella sua interezza); Nigeria; Russia; Pakistan; Indonesia.
Questi soggetti incidono notevol