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RAPPORTI TRA FONTI
Il diritto internazionale è caratterizzato da una proliferazione di fonti e materie, per cui spesso le norme possono accavallarsi o entrare in conflitto. Nel 2006 la CDI presieduta dal prof. Koskenniemi ha presentato un trattato sulla frammentazione del diritto internazionale, da cui emerge il problema del conflitto fra sistemi, il quale comporta la perdita di una prospettiva generale sul diritto internazionale e la mancanza di coerenza. I conflitti di norme nascono quando due norme prevedono obblighi opposti, mentre in tutti gli altri casi (obbligo e facoltà, obbligo e diritto) vi è solo un problema di coordinazione. Il coordinamento tra fonti è previsto dall'art. 31 par. 3 Conv. nell'ambito dell'interpretazione la quale tiene conto di tutte le regole di diritto rilevanti applicabili tra le parti internazionali e esiste anche un altro metodo, quello globale, dell'interpretazione il quale è un metodo sistemico.
facoltativo che permette di aggirare l'applicabilità tra le parti dell'art. 31.3.c ed è stato utilizzato ad esempio per la tutela delle risorse naturali esauribili in campo ambientale. evolutiva Invece, l'interpretazione rileva nell'ambito della determinazione del diritto applicabile a fatti perduranti, alla luce delle evoluzioni subite nel tempo. Di conseguenza, in presenza di un trattato e di un progetto che perdura nel tempo, l'interpretazione non può tener conto solo del trattato, ma anche dell'evoluzione della sensibilità sul tema. In caso di conflitto tra fonti, questa clausola di subordinazione può essere risolto con una contenuta nella fonte sorta criterio temporale successivamente; tuttavia, se questa non è presente, ci si affida al (art. 30 criterio di specialità.Conv.) o al Il criterio temporale vale tra le stesse parti (tutte contraenti sia del trattato precedente che di quello successivo), mentre traparti diverse (gli obblighi del nuovo trattato coincidono con quelli del trattato precedente) può essere fatta valere la responsabilità internazionale per inadempimento, la sospensione/interruzione per inadempimento o si applica il trattato in comune (es. uno Stato ha ratificato entrambi, mentre un altro solo il primo). L'art. 103 Carta ONU prevede che in caso di contrasto tra la Carta e i trattati prevale la prima; tuttavia, se uno Stato membro dell'ONU conclude un trattato con uno Stato non membro si pone un problema di prevalenza generale della Carta ONU risulta stridente. Allo stesso modo, in caso di conflitto tra le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e i trattati, le prime sono risultate prevalenti nel caso Lockerbie del 1988 per estensione dell'art. 103 Carta ONU. Quest'ultimo caso è stato però molto criticato per il rischio di abusi che possono verificarsi. Infine, è stabilito che tra consuetudine e trattati iltrattato possa derogare il dir. int. consuetudinario solo tra le particontraenti e solo in presenza della volontà di derogare; ugualmente, una consuetudine successivaal trattato può derogare quest’ultimo. Peculiare è, invece, il caso di conflitto tra consuetudini, inquanto la nuova prassi si forma inizialmente contra legem e questo rende ancora più difficoltosadottrina del parallelismo trala prova della formazione della nuova consuetudine. Laconvenzioni e dir. int. consuetudinario (caso Nicaragua - USA del 1996) afferma da ultima chese un trattato e una norma di diritto consuetudinario presentano lo stesso contenuto, il primo nonpriva la seconda della sua applicabilità , poiché entrambe continuano ad esistere e ad operareseparatamente. Infine, le riserve alle convenzioni di codificazione, secondo la regola delparallelismo, non impedisce l’applicazione della norma di diritto consuetudinario sottesa (salvomanifesta volontà da
parte dello Stato). Un’altra relazione importante è quella tra ius cogens e trattati, per cui l’eventuale conflitto implica la nullità dei trattati o l’annullabilità se la norma di ius cogens è successiva alla stipulazione del trattato (art.53-64 Conv.); tuttavia, l’art. 65 Conv. stabilisce del trattato sia invocabile solo tra le parti (discrasia tra obblighi generali dello ius cogens e rilevabilità da parte delle parti). Invece, il conflitto tra ius cogens e consuetudine (es. ambito delle immunità giurisdizionali) non si ha perchè il primo riguarda norme sostanziali e la seconda norme procedurali.
DIVIETO DELL’USO DELLA FORZA
Il divieto dell’uso della forza è previsto dall’art. 2.4 Carta ONU e si riferisce esclusivamente alla forza armata, sia nel suo utilizzo che nella sola forma della minaccia. La CIG nel 1986 (caso Nicaragua - USA) si è espressa sulla precisazione di tale divieto,
affermando che la minaccia èvietata se anche la sua attuazione fosse vietata. L’art. 2.4 della Carta pone un divietoconvenzionale, ma esso è sancito anche in via consuetudinaria (AG 2625/1970 -3314/1974).Perciò, secondo la dottrina del parallelismo, entrambe le fonti esistono e operanoindipendentemente l’una dall’altra. Il divieto dell’uso della forza è stato tradizionalmente concepitoarmatoin riferimento all’attacco (art. 51 Carta ONU), per poi essere definito anche con il termineaggressione minaccia alla pace e alla sicurezza.e con la nozione di L’aggressione può esserediretta indirettao e la differenza sta nell’utilizzo della forza armata di uno Stato oppure nelricorso a gruppi armati irregolari o mercenari. Tuttavia, la CIG, nella risoluzione 3314/1974, haritenuto che la fornitura di armi o di supporto logistico ai ribelli di un altro Stato non rientri nellanozione di attacco armato, la quale ha unAmbito più ristretto di quello del divieto dell'uso della forza. La minaccia alla pace e alla sicurezza, invece, può coprire anche situazioni interne ad uno stesso Stato, di gravità tale da porre a rischio la sicurezza internazionale. Ad oggi, l'unica legittima difesa, individuale eccezione al divieto è prevista dall'art. 51 Carta ONU ed è la collettiva (Nato). Tuttavia, l'evoluzione del dir. int. consuetudinario potrebbe aver portato alla necessità di prevedere ulteriori eccezioni al divieto dell'uso della forza, come il caso di crisi umanitarie, richieste di intervento o la tutela dei propri cittadini all'estero. Per esempio è l'intervento in Kosovo del 1999 da parte della Nato, il quale non è stato autorizzato dal Cds ma deciso unilateralmente dalla Nato stessa. Nel 2004 il Segretariato generale ONU codifica in un trattato la responsabilità di proteggere, per cui
È legittimo l'intervento armato per far cessare le violazioni di diritti umani quando uno Stato non sia in grado di tutelare e proteggere i propri cittadini. Tuttavia, rispetto a questo principio, è stata chiarita la necessità di responsabilità morale dell'autorizzazione da parte del Cds, per cui rileva la dei 5 membri permanenti a non bloccare l'azione utilizzando il diritto di veto (Segr. Gen. 2009). La responsabilità di proteggere è stata considerata per l'intervento in Libia del 2011, mentre nel 2017 per la crisi umanitaria in Siria, Russia e Cina hanno imposto il veto; la conseguenza è stata che UK, Francia e USA hanno effettuato interventi in materia autonoma per apportare aiuti umanitari alla popolazione siriana. Di fatto, ad oggi non si è ancora consolidata una norma di carattere consuetudinario che renda legittimo l'intervento unilaterale di uno Stato in caso di gravi crisi umanitarie.
Nel caso di invece, vi sono delle condizioni di riguardo al contenuto del consenso e deve essere garantita la sua revocabilità. Riguardo all'intervento russo in Crimea del 2014, la richiesta di intervento è stata considerata non conforme al diritto internazionale perché il presidente ucraino era già stato deposto e le forze secessioniste non detenevano ancora il potere per avanzare la richiesta; invece, l'intervento francese in Mali del 2013 è stato contestato perché il governo del Mali si era instaurato con un colpo di stato e non aveva scarso controllo sul territorio. Da ultimo, l'intervento russo in Georgia del 2008 è stato invocato per la necessità di proteggere i propri cittadini e militari in Ossezia e Abkazia da parte della Russia; perciò, tale intervento ha suscitato reazioni contrastanti all'interno della comunità internazionale e ne è stata fortemente dibattuta la.legittimità. LEGITTIMA DIFESA diritto naturale
L'art.51 Carta ONU sancisce il diritto alla legittima difesa, come (che esiste da individuale prima e indipendentemente dalla Carta ONU) che può essere esercitato sia in maniera collettiva che (su precisa richiesta dello Stato attaccato, come affermato dalla CIG nel caso Nicaragua - USA). L'art. 53 Carta ONU, inoltre, prevede una difesa istituzionalizzata e centralizzata organizzazioni regionali sotto il controllo del Cds e tramite il ricorso a (es. Nato). L'art. 5 del Trattato di Washington stabilisce che l'attacco contro un membro di un'organizzazione o contro questa ammetta la legittima difesa da parte degli altri membri o organizzazioni; tuttavia, l'Alliance Strategic Concept del 1999 ha poi ampliato le possibilità di intervento Nato a ulteriori casi al di necessità fuori di quelli previsti ex art.5. I requisiti della legittima difesa sono l'immediatezza,
eproporzionalità. La L'immediatezza deve coprire un tempo cronologicamente abbastanza vicino da poter essere ricondotto allo specifico attacco. Invece, per necessità si intende che la legittima difesa sia l'unico modo per reagire all'attacco armato e la proporzionalità implica la pari intensità armato della risposta rispetto all'attacco subito. L'attacco per cui è ammessa la reazione è quello inteso sia nell'accezione diretta che indiretta, come interpretato dalla CIG per il caso Nicaragua - USA; tuttavia, nel caso di assistenza e supporto logistico a bande armate non si rientra nella nozione di attacco armato, per cui non si ha legittima difesa. Nelle ipotesi di azioni armate eseguite da attori non statali (gruppi privati), come nel caso di terrorismo internazionale, vi è ancora molta incertezza su come bisogna trattarle. Ricomprendere il terrorismo nella categoria di attacco armato permetterebbe di ampliare il
ricorso alla legittima difesa, ma per ogni episodio terroristico si sono manifestate opinioni contrastanti. La risoluzione Cds 1368/