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Inefficacia dei trattati nei confronti degli stati terzi
Per il trattato internazionale vale ciò che si dice per il contratto di diritto interno: esso fa legge fra le partie solo fra le parti. Diritti ed obblighi per terzi Stati non potranno derivare da un trattato se non attraverso una qualche forma di partecipazione dei terzi Stati al medesimo. È possibile che il trattato contenga la c.d. clausole di adesione o accessione, la quale prevede la possibilità che Stati diversi dai contraenti originari partecipino a pieno titolo all'accordo mediante una loro dichiarazione di volontà: in tal caso la posizione di questi Stati in nulla differisce da quella dei contraenti originai, avendo efficacia pari alla ratifica. Può darsi che la clausola di adesione manchi, ma vi sia la possibilità che singoli diritti a favore dello Stato non contraente o singoli obblighi a suo carico, discendano dalla convenzione medesima. Anche in questo caso dovrà
dimostrarsi che diritti e obblighi siano in qualche modo accettati dallo Stato terzo e che l'eventualità dell'accettazione sia prevista nel testo dell'accordo anche implicitamente, così determinandosi quell'incontro di volontà caratteristico dell'accordo. Fuori da simili ipotesi non potrà che applicarsi il principio dell'inefficacia dei trattati nei confronti degli Stati non contraenti. È chiaro che le parti di un trattato possono sempre impegnarsi a tenere comportamenti che risultano vantaggiosi per i terzi (ad es. gli accordi in tema di navigazione sui fiumi, canali e stretti internazionali, pur intercorrendo fra un numero limitato di paesi, sanciscono di solito la libertà di navigazione per le navi di tutti gli Stati). Ma tali vantaggi possono sempre essere revocati a piacere dalle parti contraenti. Anche l'art. 34 della Convenzione di Vienna del 1969 sancisce, come regola generale, che "un trattato"noncrea obblighi o diritti per un terzo Stato senza il suo consenso"; l'art. 35 specifica che un obbligo può derivare da una disposizione di un trattato a carico di un terzo Stato "se le parti contraenti del trattato intendono creare tale obbligo e se lo Stato accetta espressamente per iscritto l'obbligo medesimo"; l'art. 36 prevede inoltre che un diritto possa nascere a favore di uno Stato terzo solo se questo vi consente, ma aggiunge che il consenso si presume finché non vi siano "indicazioni contrarie" e sempre che il trattato non disponga altrimenti; l'art. 37 autorizza i contraenti originari a revocare quando vogliono il 'diritto' accettato dal terzo, a meno che non ne abbiano previamente stabilita in qualche modo l'irrevocabilità. Dunque, perché nascano veri e propri diritti, occorre non solo che le parti intendano crearli e che il terzo le accetti, ma anche che l'offerta deisia concepita come irrevocabile unilateralmente. L'INCOMPATIBILITÀ TRA NORME CONVENZIONALI Si tratta ora dell'argomento che va sotto il nome di "incompatibilità" fra norme convenzionali. Premesso ovvio il principio che un trattato può essere modificato o abrogato, in modo espresso o implicito, da un trattato concluso in epoca successiva fra gli stessi contraenti, cosa succede se i contraenti dell'uno e dell'altro trattato coincidono solo in parte? La soluzione discende dalla combinazione del principio della successione dei trattati nel tempo con quello dell'inefficacia dei trattati per i terzi: fra gli Stati contraenti di entrambi i trattati, il trattato successivo prevale; nei confronti degli Stati che siano parti di uno solo dei due trattati, restano invece integri, nonostante l'incompatibilità, tutti gli obblighi che da ciascuno di essi derivano. Lo Stato contraente di entrambi i trattati si troverà,In definitiva, a dover scegliere se tenere fede agli impegni assunti col primo accordo o quelli assunti col secondo accordo; operata la scelta, esso non potrà non commettere un illecito, e sarà quindi internazionalmente responsabile, rispettivamente verso gli Stati contraenti del secondo o del primo accordo. Da questa soluzione non si discosta la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che all'art. 30, dopo aver sancito, al par. 3, la regola per cui fra due trattati conclusi fra le medesime parti "il trattato anteriore si applica solo nella misura in cui le sue disposizioni sono compatibili con quelle del trattato posteriore", stabilisce, al par. 4, che "quando le parti del trattato anteriore non sono tutte parti contraenti del trattato posteriore: a) nelle relazioni tra gli Stati che partecipano ad entrambi i trattati, la regola applicabile è quella del par. 3; b) nelle relazioni fra uno Stato partecipante ad entrambi i trattati ed unoStato contraente di uno solo dei trattati medesimi, il trattato di cui due Stati sono parti, regola i loro diritti e obblighi reciproci”. Al par. 5 è affermato che “Il par. 4 si applica senza pregiudizio dell’art. 41”. Quest’ultimo stabilisce che due o più parti di un trattato multilaterale “non possono” concludere un accordo mirante a modificarlo, sia pure nei loro rapporti reciproci, quando la modifica è vietata dal trattato multilaterale oppure pregiudica la posizione delle altre parti contraenti o è incompatibile con la realizzazione dell’oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme. L’espressione “non possono” è ambigua e potrebbe far pensare all’invalidità di tale accordo successivo contrario al primo accordo; in realtà, l’art. 41 risolve il problema solo in termini di illiceità e di responsabilità internazionale degli Stati contraenti.
dell'accordo successivo verso le altre parti del trattato multilaterale. Frequenti, onde evitare alla radice incompatibilità, sono le c.d. dichiarazioni di 'compatibilità' o di 'subordinazione' contenute in un trattato nei confronti di un altro o di una serie di altri trattati. Il par. 2 dell'art. 30 afferma che "quando un trattato precisa che esso è subordinato ad un trattato anteriore o posteriore o che esso non deve essere considerato come incompatibile con siffatto trattato, le disposizioni di quest'ultimo prevalgono". Ciò non toglie che le parti si impegnino ad intraprendere tutte le azioni (lecite) idonee a sciogliersi dagli impegni incompatibili: il negoziato costituisce lo strumento cui si fa più ricorso a fini di armonizzazione di norme convenzionali tra loro incompatibili. Un esempio importante di clausola di compatibilità è l'art. 307 del Trattato CE: "Le disposizioni
del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1.1.1958o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra. Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili col presente Trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta...". LE RISERVE NEI TRATTATI La riserva indica la volontà dello Stato di non accettare certe clausole del trattato o di accettarle con talune modifiche, cosicché tra lo Stato autore della riserva e gli altri Stati contraenti, l'accordo si forma solo per la parte non investita dalla riserva, laddove il trattato resta integralmente.Applicabile tra gli altri Stati. Al genereriserva appartiene anche la c.d. dichiarazione interpretativa la quale mira a specificare o chiarire il senso olo scopo attribuito al trattato o ad alcune sue disposizioni.
Riserva e dichiarazione interpretativa hanno senso nei trattati multilaterali ed hanno lo scopo di facilitare lapiù larga partecipazione ai trattati stessi.
Secondo il diritto internazionale classico, la possibilità di apporre riserve doveva essere tassativamenteconcordata nella fase della negoziazione, e quindi doveva figurare nel testo del trattato predisposto daiplenipotenziari; in mancanza, si riteneva che uno Stato non avesse altra alternativa che quella di ratificare omeno il trattato. Due erano i modi per apporre riserve: o i singoli Stati dichiaravano al momento dellanegoziazione di non voler accettare alcune clausole e quindi nel testo si faceva menzione di tale riserva;oppure il testo prevedeva genericamente la facoltà di apporre riserve al
momento della ratifica odell’adesione, specificando quali articoli potessero formare oggetto di riserva. La formulazione di riserve nonpreviste dal testo comportava l’esclusione dello Stato autore della riserva dal novero dei contraenti edequivaleva piuttosto alla proposta di un nuovo accordo. L’istituto si è notevolmente evoluto. Tappafondamentale è stato il parere (1951) della Corte Internazionale di Giustizia reso all’Assemblea generaledell’ONU: questa chiedeva se, non prevedendo la Convenzione sulla repressione del genocidio (1948) lafacoltà di apporre riserve, gli Stati potessero ugualmente procedere all’apposizione di riserve al momentodella ratifica. La Corte affermò che una riserva può essere formulata all’atto di ratifica anche se la relativafacoltà non è espressamente prevista nel testo del trattato purché essa “sia compatibile con l’oggetto e loscopo del trattato”,
purché essa, dunque, non riguardi clausole fondamentali. Un altro Stato contraente puòcomunque contestare la riserva, sostenendone l’incompatibilità con l’oggetto e lo scopo del trattato, nel qualcaso, se non si raggiunge un accordo sul punto, il trattato non può ritenersi esistente nei rapporti fra lo Statocontestante e lo Stato autore della riserva. Anche l’art. 19 della Convenzione di Vienna del 1969 codifica ilprincipio che una riserva può sempre essere formulata purché non sia espressamente esclusa dal testo deltrattato e purché non sia incompatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato medesimo.L’art. 20 invece, stabilisce che la riserva non prevista dal testo del trattato possa essere contestata e che setale contestazione non è manifestata entro dodici mesi dalla notifica della riserva alle parti contraenti, questasi intende accettata. Lo Stato contestante deve, inoltre, manifestare
Espressamente l'intenzione di impedire che il trattato entri in vigore nei rapporti fra i due Stati. Altra innovazione riguarda la possibilità che uno Stato formuli riserva in un momento successivo rispetto a quello in cui aveva ratificato il trattato purché nessuna delle altre parti contraenti sollevi obiezioni.