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CHI SOTTOPONE AL PARLAMENTO IL PROGETTO DI LEGGE DI AUTORIZZAZIONE?
Il governo: l’art. 95 Cost. attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la gestione
della politica generale dello stato. Il Presidente della Repubblica non partecipa alla
formazione della volontà dello stato, ma si limita a manifestarla. L’atto del Presidente della
Repubblica deve essere, poi, controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la
piena responsabilità ( art.89 Cost. ).
NOTE: Un problema, che si pongono soprattutto i costituzionalisti, è se il Presidente della
Repubblica possa rifiutarsi di ratificare il trattato: secondo la maggior parte dei
costituzionalisti il Presidente della Repubblica non può rifiutarsi di sottoscrivere la ratifica,
ma può solo sollecitare il riesame prima della sottoscrizione.
- Scambio e deposito delle ratifiche. Una volta intervenuta la ratifica, questa deve
essere portata a conoscenza della o delle altre parti contraenti: nel caso dell’accordo
bilaterale abbiamo lo scambio delle ratifiche, mentre nell’accordo multilaterale abbiamo il
deposito delle ratifiche. Nel caso di accordo bilaterale, il trattato entra in vigore con lo
scambio delle ratifiche; nel caso di accordo multilaterale, invece, occorre verificare il testo
del trattato ( questo perché tra le clausole protocollari, normalmente, viene indicata qual è
la soglia minima di ratifiche che devono essere depositate perché il trattato entri in
vigore ).
ATTENZIONE: NON C’È NESSUN VINCOLO A LIVELLO INTERNAZIONALE CHE
VINCOLA I SOGGETTI DI DIRITTO A RATIFICARE UN TRATTATO FIRMATO: lo stato
non è obbligato a ratificare il trattato firmato, esso è libero di ratificare o meno il
trattato ed è libero di ratificarlo quando vuole. L’unico vincolo che può essere imposto
allo stato è quello di comportarsi con lealtà ( se lo stato, ad es., decide di non ratificare il
trattato sarebbe corretto che lo comunicasse alle altre parti ).
2) PROCEDURA IN FORMA SEMPLIFICATA. Questa sta semplicemente a sottolineare
che la stipulazione avviene con il venir meno di una o più fasi che caratterizzano l’accordo
in forma solenne. in passato, gli accordi in forma specifica erano considerati come accordi
di poco conto…tuttavia, oggi la stipulazione avviene in forma semplificata, per ovvi motivi.
L’ipotesi più frequente di accordi in forma semplificata sono due: a) la prima è relativa allo
scambio delle note diplomatiche; b) l’altra ipotesi è relativa all’accordo che entra
immediatamente in vigore come conseguenza della firma apposta dal plenipotenziario.
Quest’ultima ipotesi è quella che generalmente caratterizza l’accordo in forma
semplificata; infatti, in questo caso, la firma produce effetti giuridici, poiché obbliga gli stati
a comportarsi così come stabilito dal testo dell’accordo. Tuttavia, bisognerà andare a
vedere se oltre alla firma sono richieste anche altre procedure che sostanziano il
consenso dello stato. Questo perché se, per es., nel testo del trattato compaiono clausole
protocollari o finali che, oltre alla firma, prevedono la ratifica da parte degli stati contraenti,
è chiaro che la sola firma non sarà più sufficiente come elemento di manifestazione di
volontà ma, successivamente, occorrerà anche la ratifica. Non sempre, però, il testo ci
fornisce chiarimenti, occorrerà, quindi, allargare l’indagine e capire se dalla firma sorge un
vincolo per la parte contraente. Questa circostanza la possiamo verificare nei pieni poteri.
Inoltre, il principio di effettività ci può aiutare a capire se la firma ha valore di certificazione
o di consenso. Come? Attraverso il comportamento degli stati o dei soggetti che hanno
partecipato all’accordo.
3.3.2. LE RISERVE DEL TRATTATO
La Convenzione di Vienna del 1969 all’art. 2, lettera D, ci da la definizione di riserva: “ la
riserva indica una dichiarazione unilaterale qualunque sia la sua articolazione e
denominazione, fatta da uno Stato quando sottoscrive, ratifica, accetta o approva un
trattato o vi aderisce, attraverso la quale esso mira ad escludere o modificare l'effetto
giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione allo Stato medesimo”. Da
questa definizione ricaviamo quattro considerazioni: 1) la prima considerazione è che se
nel gergo comune ci riferiamo alle riserve come strumento idoneo a modificare la
partecipazione all’interno di un trattato, in realtà nella prassi concreta troviamo espressioni
diverse che producono il medesimo risultato ( per es, gli stati, spesso, qualificano atti
unilaterali volti a modificare il contenuto di un trattato multilaterale con l’espressione
dichiarazione interpretativa ); 2) le riserve hanno sempre carattere particolare: il loro scopo
è di modificare o escludere l’applicazione di talune clausole del trattato. Non sono lecite,
quindi, riserve di portata generale, per cui le riserve possono funzionare solo se indicano
con precisione la clausola dell’accordo rispetto alla quale si vuole modificare o escluderne
il contenuto; 3) la riserva può presentare due finalità: a) può escludere clausole
dell’accordo ( per es. le riserve eccettuative ); b) possono anche avere effetto
interpretativo, nel senso che attraverso la riserva si modifica la portata di una norma; 4) la
riserva, se posta in modo legittimo, determina un rapporto giuridico bilaterale tra lo stato
che presenta la riserva e lo stato che accetta tale riserva.
La disciplina delle riserve si è evoluta parecchio. Una tappa importate si è avuta con il
parere della Corte Internazionale di Giustizia del 1951, riguardante la Convenzione delle
Nazioni Unite del 1948 sulla prevenzione e repressione del genocidio. Questa
convenzione nulla dispone sulla riserva ( quindi non dice né che sono permesse né
che sono vietate ). Nel momento in cui alcuni stati manifestano il loro consenso alla
Convenzione del 1948, essi presentano alcune riserve. Il Segretario Generale delle
Nazioni Unite, non sapendo che pesci pigliare, si rivolge alla Corte Internazionale di
Giustizia e formula due domande: a) “nel silenzio del trattato, una riserva deve essere
accettato o rifiutata?”; b) “qual è il regime giuridico che si applica tra le parti contraenti
dell’accordo multilaterale?”.
La corte risponde che, innanzitutto, il silenzio del trattato non esclude l’apposizione della
riserva, ma ogni riserva presentata deve essere valutata sulla basa dello scopo e
dell’oggetto del trattato medesimo ( art. 19 Conv. Vienna 1969 ). Inoltre, se una riserva
non viene accettata da almeno un parte contraente dell’accordo, l’accordo tra le
parti contraenti non si forma. Valutare una riserva sulla base dell’oggetto e dello scopo
del trattato vuol dire fare un lavoro di interpretazione. In altri termini, occorre comparare il
contenuto della dichiarazione, che contiene la riserva, col contenuto del trattato. Lo scopo
del trattato è rappresentato dalle motivazione che hanno indotto le parti contraenti a
concludere quel determinato trattato. Questo scopo va ricercato nel c.d. “preambolo” del
trattato. L’oggetto del trattato, invece, si ricava dalla parte dispositiva del trattato, ovvero
dall’articolato del trattato, dalle diverse clausole ( in quest’ultimo caso, è chiaro che le
clausole che assumono più rilievo sono quelle che permettono di realizzare lo scopo del
trattato, ossia quei comportamenti in mancanza dei quali la ragione per la quale il trattato e
stato concluso non potrebbe mai essere conseguita. La riserva, quindi può vertere su
clausole di minore importanza, ma mai su quelle che costituiscono il nucleo duro del
trattato stesso. In sostanza, attraverso la riserva il trattato non deve “snaturato” ). CHI
PROCEDE A VERIFICARE LA COMPATIBILITÀ DELL’OGGETTO E DELLO SCOPO DEL
TRATTATO? Ogni stato partecipante all’accordo, i quali potranno autonomamente
procedere a tale verifica.
Nel 1951 la Corte Internazionale di Giustizia aveva stabilito una regola drastica: se
nessuno accetta la riserva lo stato riservante resta fuori dal trattato. la posizione della
Conv. di Vienna del 1969 è di maggiore flessibilità, poiché l’art. 20, lettera b, stabilisce che
“l’obiezione fatta da uno stato alla riserva presentata dal un’altra parte contraente
non esclude la formazione del vincolo negoziale tra lo stato riservante e quello
riservatario”. Questo significa che la semplice obiezione non produce effetti nel vincolo
negoziale tra lo stato riservante e quello riservatario. Affinché tale vincolo non si formi è
necessario che lo stato obbiettore dichiari che l’accordo in questione non entra in vigore.
Inoltre, l’art. 20 dice che “ se una riserva non è prevista dal testo dell’accordo, essa può
essere contestata”. Tale contestazione deve essere fatta entro 12 mesi dalla notifica della
riserva altrimenti, trascorsi tali mesi, la riserva verrà considerata come acettata.
Non è infrequente che alcuni stati presentino riserve incompatibili con lo scopo e l’oggetto
del trattato. in questo caso la riserve, secondo la Conv. di Vienna del 1969, non
dovrebbero produrre alcuni effetto. Secondo la posizione presa dai giudici internazionali,
una tale riserva dev’essere intesa come non presentata. Questo è il principio “utile per
inutile ne vitiatur”, per cui lo stato che presenta una tale riserva non ottiene nessun
risultato ( se vuole può diventare parte al trattato nella sua formulazione originaria, oppure
può presentare riserve compatibili ).
3.3.3 L’INTERPRETAZIONE DEL TRATTATO
In materia di interpretazione del trattato, abbiamo due metodi: a) metodo soggettivistico,
cioè quel metodo che va alla ricerca dell’effettiva volontà delle parti; b) metodo
oggettivistico, ovvero quel metodo che non va alla ricerca non dell’effettiva volontà delle
parti, ma va a cercare qual è il contenuto della volontà dichiarata. Il metodo soggettivistico
può essere usato quando esistono elementi certi che attestino che è quella la volontà delle
parti. Viceversa, quando non ci sono elementi certi il metodo soggettivistico ha sempre
natura restrittiva perché, nel dubbio, la norma deve essere interpretata in modo tale da
essere meno incisiva possibile. Il metodo oggettivistico, invece, è estensivo perché si
tratta di tirare fuori dalla norma dichiarata tutte le sue potenzialità.
L’interpretazione dei trattati è disciplinata dalla Conv. di Vienna del 1969 agli art. 31, 32 e
33. Art. 31: nonostante questo articolo venga definito come la regola generale di
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