Riassunto esame Diritto dell'Informazione, prof. Migliazza, libro consigliato Profili di Diritto Europeo, Parisi
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tenute in considerazione, anche promuovendo il diritto di questi
all’informazione (art.153 del Trattato CE). Nel mercato interno
comunitario vige il principio della libera circolazione dei servizi.
L’attività normativa delle istituzioni comunitarie viene affiancata
dall’attività ermeneutica della Corte di giustizia delle Comunità.
PRASSI NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE
II. Le regole della pubblicità televisiva nella Convenzione
3. europea sulla televisione transfrontaliera
L’art.10 della Convenzione europea sulla televisione
transfrontaliera (’89) non opera distinzione a seconda del fine (di
lucro o no) dell’attività di informazione e quindi la sua applicabilità
alla pubblicità commerciale è ormai affermata senza ombra di
dubbio.
L’applicazione di tale disposizione consente da un lato la protezione
della libertà di espressione e dall’altro lato riconosce al pubblico il
diritto di ricevere le emissioni televisive provenienti da
un’emittenza straniera senza alcuna ingerenza ingiustificata.
La Convenzione si applica a ogni servizio trasmesso o
ritrasmesso da organismi o per mezzo di strumenti tecnici soggetti
alla giurisprudenza di una Parte contraente.
La Convenzione detta alcuni principi concernenti la ricezione e la
ritrasmissione dei programmi televisivi in materia: essa interviene a
disciplinare il fenomeno pubblicitario e stabilisce che la pubblicità
deve essere leale e onesta. Gli art.12 e seguenti precisano i
requisiti che deve avere la pubblicità, la sua durata, la forma e la
presentazione della stessa. La pubblicità deve essere inserita tra
le trasmissioni; può interromperle, ma in maniera tale da non
comprometterne l’integrità e il valore. Una disciplina specifica è
dettata a protezione del minore.
La nozione di pubblicità e le sue caratteristiche nelle
4. direttive comunitarie 84/450 e 89/552
Il primo intervento comunitario in materia di disciplina
dell’attività pubblicitaria è costituito dalla direttiva 84/450 sulla
pubblicità ingannevole, che ha fornito la prima definizione della
nozione di informazione commerciale. Per essa la pubblicità è
qualsiasi forma di messaggio diffuso nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di
promuovere la fornitura di beni o servizi.
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È pertinente alla materia anche la direttiva 89/552 “Tv senza
frontiere” (modificata nel ’97): essa mira a garantire la libera
circolazione dei servizi di telediffusione all’interno della
Comunità, promuovendo la distribuzione e la produzione dei
programmi televisivi europei e riservando loro una quota
maggioritaria nel quadro dei programmi delle varie reti televisive
straniere. La direttiva stabilisce l’obbligo degli Stati membri di
assicurare la libertà di ricezione dei programmi provenienti dal
territorio di altri Stati membri.
La direttiva propone poi di coordinare le legislazioni degli Stati
membri delle Comunità in 2 settori. Incide innanzitutto in materia di
legge applicabile alla radiodiffusione televisiva: lo Stato membro
responsabile dell’attività televisiva viene determinato in rapporto al
luogo in cui si trova la sede sociale di tale attività.
Il messaggio pubblicitario è definito come quel messaggio
televisivo trasmesso a pagamento da un’impresa pubblica o privata
nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigiana o di
una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura di beni
o di servizi.
La direttiva pome anzitutto un principio di carattere generale: la
pubblicità deve essere inserita nell’intervallo fra diverse
trasmissioni; può essere trasmessa all’interno di uno stesso
programma a condizione che ne comprometta l’integrità e il valore.
Quando si tratta di trasmissioni sportive, la pubblicità può essere
inserita solo tra le parti autonome o negli intervalli naturali. La
trasmissione di opere audiovisive può essere interrotta una volta
per periodo completo di 45 minuti. I telegiornali e le rubriche di
attualità, i documentari, le trasmissioni religiose e quelle per i
bambini di durata inferiore a 30 minuti non possono essere
interrotti.
Con riferimento alla durata del messaggio pubblicitario, la
modifica apportata alla disciplina originaria (direttiva 97/36)
stabilisce che la proporzione di spot pubblicitari e spot di
televendita in una determinata ora non debba superare il 20%.
Infine, la direttiva prevede che gli Stati membri dell’Unione possano
adottare misure più restrittive nei confronti delle emittenti televisive
purché compatibili con il diritto comunitario.
La pubblicità ingannevole e comparativa
4.1.
È fondamentale tutelare la comunità contro la pubblicità
ingannevole.
La normativa comunitaria individua alcuni criteri riguardanti i
soggetti del messaggio e il suo contenuto.
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Nozione di pubblicità ingannevole nella direttiva 84/450: per
pubblicità ingannevole deve intendersi qualsiasi messaggio
pubblicitario che: a) possa indurre in errore le persone che
raggiunge; b) sia idoneo a pregiudicare il comportamento
economico di tali soggetti.
Parametri soggettivi. Nell’ordinamento italiano l’ingannevolezza
del messaggio viene valutata in relazione, oltre che alla figura
dell’operatore economico, anche al tipo di consumatore
(consumatore più sprovveduto, consumatore medio, consumatore
dotato di particolari conoscenze tecniche).
Parametri oggettivi. Occorre avere riguardo a fattori quali: a) le
caratteristiche dei beni o dei servizi: la loro disponibilità, la natura,
gli usi, l’origine, ecc.; b) il prezzo o il modo in cui questo viene
calcolato, nonché le condizioni alle quali i beni vengono fornito; c) la
categoria, le qualifiche e i diritti dell’operatore pubblicitario. Ognuno
di questi punti può rappresentare un tipo di inganno dell’operatore
pubblicitario.
Direttiva 97/55 sulla pubblicità comparativa: per pubblicità
comparativa s’intende qualsiasi messaggio che identifichi in modo
esplicito o implicito un concorrente o i beni e i servizi da esso
offerti.
La pubblicità comparativa è lecita se: a) non sia ingannevole; b)
confronti beni e servizi che soddisfano le stesse necessità; c)
confronti in maniera oggettiva una o più caratteristiche essenziali,
pertinenti, verificabili e rappresentative; d) non susciti confusione
sul mercato; e) non causi sfiducia o diffamazione di marchi, attività
o beni di un concorrente; f) nel caso si tratti di beni con una
denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi
la medesima denominazione; g) non tragga indebitamente
vantaggio dalla notorietà legata al marchio; h) non presenti un bene
o un servizio come un’imitazione o contraffazione di beni o servizi
protetti da un marchio.
Ai tribunali e agli organi amministrativi nazionali è attribuito il
potere di esigere che l’operatore pubblicitario fornisca la prova
dell’esattezza dei dati contenuti nella pubblicità.
Nel 2005 la direttiva 84/450 è stata modificata e ora prevede che la
pubblicità comparativa sia lecita qualora non sia ingannevole ai
sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29 contenenti le azioni
e le omissioni ingannevoli. 35
Sono considerate pratiche commerciali ingannevoli: a) l’impiegare
contenuti redazionali nei media per promuovere un prodotto
qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal
professionista senza che ciò emerga chiaramente; b) l’includere in
un messaggio pubblicitario un’esortazione ai bambini affinché
acquistino.
Le forme di pubblicità vietate
4.2.
La direttiva n.89/552 del diritto comunitario vieta la pubblicità
subliminale, consistente nell’inserzione nel corso di un programma
di alcuni fotogrammi al secondo che rappresentano il prodotto.
Sono pure vietate la pubblicità e la televendita clandestina
(presentazione orale o visiva di beni), qualora la stessa venga fatta
intenzionalmente dall’emittente per perseguire scopi pubblicitari.
Si fa inoltre divieto di vilipendere la dignità umana, offendere
convinzioni politiche o religiose, indurre a comportamenti
pregiudizievoli per la salute o la sicurezza.
Sono vietati i messaggi pubblicitari di tabacco e medicinali.
Il consumo di alcolici non deve essere messo in relazione a
migliori prodezze fisiche, essere collegato alla guida di autoveicoli,
generare l’impressione che contribuisca al successo sociale o
sessuale.
Infine la direttiva dispone una protezione specifica per il
minore.
Le nuove forme di comunicazione commerciale:
5. sponsorizzazioni, telepromozioni e televendite. La
pubblicità online
La dottrina è unanime nel ritenere che costituiscono forme di
pubblicità anche le sponsorizzazioni, le telepromozioni, le
televendite, oltre che la pubblicità indiretta (product placement) e la
pubblicità redazionale.
Sponsorizzazioni: ogni contributo di un’impresa non impegnata in
attività televisive nel finanziamento di un programma, allo scopo di
promuovere il proprio nome, marchio, immagine o prodotto.
La direttiva “Tv senza frontiere” fissa alcuni criteri da
rispettare: lo sponsor non può influenzare il contenuto e la
programmazione di una trasmissione sponsorizzata; i programmi
sponsorizzati devono essere chiaramente riconoscibili e indicare il
nome o il logo dello sponsor all’inizio o alla fine della trasmissione; i
programmi sponsorizzati non devono stimolare all’acquisto dello
sponsor. 36
I programmi televisivi non possono essere sponsorizzati da imprese
la cui attività principale sia la produzione o la vendita di tabacco; la
sponsorizzazione è permessa alle imprese che vendono medicinali
limitatamente alla promozione del nome o dell’immagine della
società. I telegiornali e i notiziari politici non possono essere
sponsorizzati.
Telepromozioni: presentazioni o promozioni, all’interno di un
programma televisivo, di prodotti o servizi dell’impresa che
presenta i programmi stessi.
Televendite: anch’esse devono essere chiaramente riconoscibili.
Ad esse si estende il divieto di tecniche subliminali e pratiche
clandestine.
Pubblicità on line: gli strumenti usati per fare pubblicità su
Internet sono differenti. La pubblicità in Tv cerca di convincere
l’utente all’acquisto di un prodotto mentre quella sul web è un
gateway tra 2 realtà: quella del sito su cui comprare l’inserzione e
quella del sito verso cui punta l’inserzione. Inoltre, l’Internet
advertising offre anche la possibilità di comprare i prodotti online.
La pubblicità in Tv dura 20/30 secondi; il messaggio via Internet
occupa spazi che rimangono visibili fino a quando l’utente non
decide di passare oltre. Anche sul web è illecita qualsiasi forma che
non sia palese, veritiera e corretta.
La giurisprudenza della Corte di giustizia delle
6. Comunità europee
Il contributo della Corte di giustizia è stato determinante
nell’opera di interpretazione delle norme comunitarie in materia di
attività pubblicitaria.
Una prima questione affrontata dalla Corte riguarda l’applicabilità
delle disposizioni sulla libera prestazione di servizi e sulla
libertà stabilimento anche all’attività di emissione di messaggi
televisivi: “in mancanza di espresse disposizioni contrarie nel
Trattato, il messaggio televisivo va considerato per natura una
prestazione di servizi”.
La Corte ha precisato che il fine della direttiva “Tv senza
frontiere” è quello di garantire la libera diffusione dei programmi
televisivi, imponendo agli Stati membri il compito di assicurare la
libertà di ricezione e di ritrasmissione, ma riconoscendo loro la
facoltà di prevedere norme più rigorose di quelle contenute nella
direttiva. 37
Quanto alla definizione delle qualificazioni tecnico-giuridiche, la
Corte ha chiarito la nozione di sponsorizzazione. Osserva che
l’espressione “forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente
al pubblico” (direttiva 89/552) ha portata esemplificativa, potendo
anche riferirsi alle telepromozioni, che necessitano anch’esse di una
durata più lunga dei classici spot.
La Corte affronta anche la questione della riconoscibilità dei
programmi sponsorizzati: ai sensi della direttiva 89/552 essi
devono recare il nome o il logotipo dello sponsor all’inizio e/o alla
fine del programma. L’interpretazione fornita dalla Corte è nel
senso di non impedire l’inserzione del nome o del logotipo in
momenti differenti.
I sistemi per valutare la liceità della durata e del numero
degli spot nei film sono 2: a) principio del lordo (la durata della
pubblicità viene conteggiata nel tempo di calcolo del numero delle
interruzioni); b) principio del netto (si usa solo la durata del
programma come base di calcolo). La Corte ha interpretato i principi
della direttiva nel senso della prevalenza del principio del lordo, ma
uno Stato può prevedere l’applicazione del principio del netto.
Pubblicità televisiva e tutela dei minori
7.
I minori costituiscono un facile bersaglio della pubblicità perché
rappresentano un enorme potenziale commerciale: sono facilmente
influenzabili e costituiscono degli ottimi promotori.
La pubblicità televisiva è ritenuta la più pericolosa per i minori
poiché sfrutta la chiave emozionale. Spesso il linguaggio utilizzato
nel messaggio fa leva sulla mancanza di analisi critica del minore
ponendolo così in una situazione di subordinazione nei confronti del
messaggio stesso. Tale pubblicità assume formule subdole: la
programmazione nella fascia pomeridiana, i club per bambini, le
attività promozionali basate su personaggi dei cartoni, ecc.
Programmazione controllata a tutela dei minori: a) le fasce
7.1. orarie di trasmissione; b) i contenuti dei programmi per
bambini; c) i messaggi pubblicitari e le televendite
Il legislatore comunitario ha provveduto a tutelare gli
utenti-minori dettando una specifica disciplina nelle direttive
89/552 e 84/450. Si tratta di una disciplina che riprende
largamente quanto dispone la Convenzione europea sulla Tv
transfrontaliera. Quest’ultima contiene alcune regole minime
sulla pubblicità rivolta ai minori: essa deve evitare di creare
pregiudizio ai loro interessi e deve tener conto della loro particolare
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sensibilità; vieta che la pubblicità di bevande alcoliche si rivolga ai
minori.
La direttiva 89/552 obbliga gli Stati membri ad adottare le misure
idonee a garantire che le trasmissioni televisive non contengano
programmi in grado di nuocere allo sviluppo fisico e mentale dei
minorenni, a meno che la scelta dell’ora della trasmissione
consenta di escludere che i minori seguano i programmi in
questione (fasce orarie).
Gli Stati membri devono anche vigilare a che le trasmissioni non
contengano alcun incitamento all’odio basato sulle differenze
(contenuti).
La direttiva stabilisce che la pubblicità non debba cagionare nessun
nocumento ai minori di età (pubblicità).
La cooperazione fra gli Stati membri dell’UE nei settori della
giustizia e degli affari interni assume un ruolo determinante, proprio
per il carattere transnazionale dei nuovi servizi che vengono offerti.
L’adattamento italiano al corpus normativo europeo
8.
Prima della definizione di pubblicità contenuta nella direttiva
84/450, nell’ordinamento italiano il fenomeno pubblicitario veniva
ricondotto alla disciplina del diritto d’autore e dei segni distintivi.
Con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, questo approccio
si dimostrò insufficiente.
In una seconda fase, la problematica viene affrontata con
strumenti di autodisciplina; la prima raccolta organica di
pratiche in materia risale al 1937. In Italia il primo Codice della
lealtà pubblicitaria è del ’66. A livello comunitario funziona
l’Alleanza europea per l’etica in pubblicità (AEEP), istituita al fine di
favorire la crescita di norme di autoregolamentazione sulla rete.
Si è oggi in una terza fase di sviluppo normativo, determinato dalla
spinta impressa dal diritto comunitario con le menzionate
direttive. L’attuazione delle norme sulla pubblicità commerciale,
contenute nella direttiva 89/552 è avvenuta con la legge
n.223/1990 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato: l’art.8 di questa legge disciplina in modo conforme al diritto
comunitario l’attività pubblicitaria.
La legge n.223/1990 ha previsto l’emanazione di un regolamento
recante norme sulla sponsorizzazione dei programmi radiotelevisivi.
Tra le forme di sponsorizzazione appaiono “la presentazione,
l’illustrazione e , comunque, il coinvolgimento a scopo pubblicitario
o promozionale, in modo diretto e specifico all’interno di un
programma del nome o marchio di un’impresa”. Oggi questo
regolamento è sostituito dal d.m. n.581/1993.
39
Le trasmissioni relative alle televendite devono essere chiaramente
riconoscibili ed essere distinte dal resto dei programmi in uno
spazio slegato da ogni altro contenuto editoriale. Devono avere una
durata di almeno 3 minuti. I prodotti offerti nelle televendite devono
essere descritti in maniera precisa nei loro elementi quantitativi e
qualitativi e le immagini televisive devono rappresentare
fedelmente gli oggetti. L’offerta deve essere chiara, rigorosa e
completa.
L’articolata disciplina in materia radiotelevisiva è stata emendata
dalla legge n.112/2004, legge Gasparri, che ha determinato
molte novità per il settore radiotelevisivo, nel tentativo di adeguarlo
alla tecnologia digitale, nonché al processo di convergenza tra la
radiotelevisione e gli altri strumenti di comunicazione. La legge
stabilisce limiti orari solamente per gli spot (18%); ogni altra forma
di pubblicità è soggetta esclusivamente ai limiti quotidiani (15%).
Si è aggiunto, di recente, il Testo Unico della Radiotelevisione
(2005). Esso contiene le disposizioni legislative in vigore in materia
radiotelevisiva, con le modificazioni necessarie al loro
coordinamento.
Nel Testo unico viene affermato che la disciplina del sistema
radiotelevisivo deve garantire la diffusione di trasmissioni
pubblicitarie e di televendite leali ed oneste, che rispettino la
dignità della persona, non evochino discriminazioni, non inducano a
comportamenti pregiudizievoli.
La direttiva 97/55 sulla pubblicità ingannevole e
comparativa stabilisce che “è comparativa qualsiasi pubblicità che
identifica un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente”.
Si evince come la valutazione della trasparenza del messaggio
presupponga, da un lato la reale sussistenza di una comunicazione
pubblicitaria e, dall’altro lato, che questa sia effettivamente
riconoscibile. È proprio con riferimento all’effettiva percezione del
messaggio promozionale che si colloca il product placement o
pubblicità/sponsorizzazione occulta, quale tecnica non riconoscibile.
La pubblicità redazionale è caratterizzata dal fatto che un
articolo solo in apparenza costituisce il risultato dell’attività
professionale del giornalista, mentre in realtà è stato predisposto
dall’impresa utente, senza che sia possibili percepirne la natura
commerciale. 40
La competenza specifica nella repressione delle forme di pubblicità
ingannevole è stata conferita all’Autorità garante della concorrenza
e del mercato.
Il Codice di lealtà pubblicitaria del 1966 prevedeva che “una
cura particolare deve essere posta nei messaggi che si rivolgono ai
bambini e agli adolescenti, o che possono essere da loro ricevuti.
Questi messaggi non devono contenere nulla che possa
danneggiarli e non devono inoltre abusare della loro naturale
credulità o mancanza di esperienza”.
La tutela dei minori nella programmazione televisiva è, inoltre,
contenuta nell’art.10 della recente legge n.12/2004 che
attribuisce forza di legge al Nuovo Codice di
autoregolamentazione Tv – minori (2002): il suo mancato
rispetto può comportare una pena fino alla revoca della licenza. Il
Nuovo Codice prevede 2 fasce orarie di trasmissione: una che tenga
conto delle esigenze di tutti (7/22.30) e una fascia per i minori
(16/19), con 3 livelli di protezione per gli spot pubblicitari.
Il decreto del Ministero delle Comunicazioni ha adottato il
regolamento recante disciplina dell’impiego di minori di anni 14 in
programmi televisivi. Il nuovo regolamento stabilisce le norme di
comportamento cui devono attenersi le emittenti televisive
appartenenti a Stati membri dell’UE sottoposte alla giurisdizione
italiana. L’impiego dei minori deve avvenire nel massimo rispetto
della dignità personale, dell’immagine, dell’integrità psicofisica e
della privacy.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
III. Recenti iniziative di modifica della normativa
9. comunitaria alla luce delle nuove tecniche pubblicitarie
Si stanno affacciando 3 nuove tecniche pubblicitarie:
Lo schermo diviso: diffusione simultaneo redazionale e del
- contenuto pubblicitario: uno o più spot possono apparire in una
finestra durante la messa in onda di un programma, che il
telespettatore può continuare a seguire. Tale tecnica non
confligge con la Convenzione europea sulla Tv transfrontaliera,
sempre che contenga una separazione chiara e riconoscibile
dei programmi e della pubblicità.
La pubblicità interattiva: con il flusso video trasmesso mette a
- disposizione dei telespettatori alcune opzioni, quali la
memorizzazione dello spot, il contatto con il fornitore, la
ricerca dei dettagli, ecc. Finché il telespettatore segue i
programmi senza dare alcun accesso alla situazione
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interattiva, la situazione è coperta dalla direttiva 89/552;
quando l’utente da impulso al servizio, si ricade nel campo di
applicazione della direttiva 2000/31 sul commercio elettronico.
La pubblicità virtuale: è caratterizzata dall’inserimento di
- messaggi pubblicitari nel corso delle trasmissioni, attraverso la
sostituzione virtuale dei pannelli pubblicitari esistenti o con
l’inserimento di immagini tridimensionali. Appare compatibile
con la direttiva Tv senza frontiere e con la Convenzione
europea sulla Tv transfrontaliera.
CAPITOLO 6: DIRITTO ALLA RISERVATEZZA E
TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
QUESTIONI INTRODUTTIVE
I. La nozione di diritto alla riservatezza
1.
La prima forma giuridica per garantire il rispetto della vita privata è
stata il “right to be alone”, ma si è presto rivelata non idonea.
Nella società attuale, infatti, è continuamente richiesto alle persone
di fornire dati sulle loro attività e preferenze ed è inimmaginabile
pensare di vietarne la raccolta o l’uso.
Il diritto alla riservatezza non è un diritto assoluto e soccombe di
fronte a un interesse pubblico.
Alla prima storica accezione si sono aggiunte ulteriori dimensioni
quali: il diritto di decidere liberamente quali informazioni che ci
riguardano fare circolare; il diritto di controllare in qualsiasi
momento queste informazioni.
Chi controlla le banche dati, ha potenzialmente un potere enorme
sui singoli. Da qui l’esigenza di regolamentarne la gestione.
La normativa nazionale ed internazionale persegue lo scopo di
disciplinarne la gestione cercando di contemperare da un lato il
diritto dei singoli a non vedere diffuse informazioni personali;
dall’altro la necessità di realizzare, attraverso il trattamento dei dati
stessi, finalità di utilità sociale o profitti economici.
Il fondamento normativo della competenza comunitaria
2. in materia
In Europa, la tutela della riservatezza è stata perseguita
innanzitutto nell’ambito del Consiglio d’Europa. In questa sede, le
istituzioni hanno adottato diverse raccomandazioni e su questa
base gli stati hanno stipulato la Convenzione sulla protezione
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delle persone rispetto al trattamento autorizzato di dati di
carattere personale (’81).
La Comunità europea è intervenuta nella materia solo in tempi
più vicini, sulla base della competenza ad essa attribuita dalle
disposizioni di cui agli artt. 95 e 268 CE. La prima norma
attribuisce al Consiglio il potere di adottare misure volte al
ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri le quali
abbiamo “un’incidenza diretta sul funzionamento del mercato
comune”. L’obiettivo è agevolare la realizzazione del mercato
comune. Le istituzioni comunitarie tendono comunque a perseguire
anche la tutela dei diritti fondamentali della persona.
L’art.268 CE funge invece da base normativa per l’adozione di
misure che regolamentino la materia con riferimento esclusivo al
trattamento dei dati da parte delle istituzioni e degli organismi
comunitari.
PRASSI NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE
II. La disciplina nel trattamento dei dati personali
3. nell’ambito del Consiglio d’Europa
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali non contiene una norma
dedicata alla tutela dei dati personali, perché si tratta di una
questione emersa di recente.
Ciononostante, la Corte di Strasburgo ha finito per applicare alla
diffusione di notizie private la norma di cui all’art.8 CEDU, che
riconosce il diritto di ogni persona al rispetto della sua vita
privata. In particolare, sono stati ricondotti alla disposizione: il
diritto alla segretezza dei dati sanitari; il diritto a che i dati presenti
in un registro di polizia non vengano usati per fini diversi da quelli
per cui sono stati raccolti; il diritto alla segretezza delle
conversazioni telefoniche; il diritto di conoscere eventuali
informazioni sul proprio conto da altri detenute.
Inoltre, la norma di cui all’art.8 tutela gli individui da eventuali
ingerenze anche in relazione ad atti ed eventi pubblici. Il diritto in
oggetto non è assoluto e possono esserci delle ingerenze della
pubblica autorità, ma devono: essere previste dalla legge;
perseguire uno scopo legittimo; essere necessarie in una società
democratica.
Nel 1981 venne elaborata la Convenzione sulla protezione delle
persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati di
carattere personale che ha lo scopo di garantire ad ogni persona
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fisica “il rispetto dei suoi diritti e delle sue libertà fondamentali, e in
particolare del suo diritto alla vita privata”. Sono protette solo le
persone fisiche e solo dal trattamento automatizzato dei dati. Gli
Stati possono estendere l’ambito di applicazione delle regole
convenzionali anche alle persone giuridiche e anche in riferimento
alle banche dati manuali.
Le disposizioni della Convenzione necessitano di una normativa
interna che vi dia attuazione. Nel Capitolo II della Convenzione sono
individuate le “qualità dei dati”, ossia le regole per un corretto
trattamento degli stessi. Essi devono essere: a) ottenuti ed
elaborati in modo leale e legale; b) registrati per fini determinati e
legittimi; c) adeguati, pertinenti e non eccessivi rispetto ai fini; d)
esatti e aggiornati; e) conservati per un periodo non superiore a
quello necessario.
Una tutela specifica è riservata ai dati sensibili (l’origine razziale,
le opinioni politiche, le convinzioni religiose, le abitudini sessuale e
la condizione di salute), che non possono essere sottoposti a
elaborazione automatica a meno che gli Stati non adottino
normative interne che prevedano idonee garanzie.
La Convenzione riconosce una serie di garanzie che consistono
nella possibilità di: conoscere l’esistenza e i fini della collezione,
nonché l’identità e la sede o la residenza del responsabile della
stessa.
Oltre a predisporre un regime armonizzato sulla tutela dei dati, la
Convenzione si propone di attuare la libera circolazione di essi tra
gli Stati aderenti.
Al fine di rafforzare la protezione garantita dalla Convenzione, nel
2001 è stato aperto alla firma un Protocollo addizionale alla
Convenzione, riguardante le autorità di controllo e il flusso
transfrontaliero di dati, entrato in vigore nel 2004. Esso introduce
da un lato l’obbligo per gli Stati di istituire delle Autorità di
controllo incaricate di assicurare il rispetto di leggi e regolamenti
adottati per dare attuazione alla Convenzione e dall’altro la
possibilità di trasferire dati solo verso Paesi terzi che assicurino un
livello di protezione adeguato.
Il trattamento dei dati personali nella normativa
4. dell’Unione Europea
La Comunità europea ha iniziato ad occuparsi di protezione dei
dati personali solo molto tempo dopo rispetto al Consiglio, nella
convinzione che per aversi, negli Stati membri, un livello di tutela
dei dati adeguato fosse sufficiente l’adesione degli Stati alla
Convenzione n.108 (trattamento dei dati). Tuttavia, la resistenza da
44
parte di alcuni Paesi a conformarsi agli Standard e l’accrescersi
degli scambi di informazioni hanno indotto la Commissione europea
a presentare 2 proposte: la prima destinata a porre un regime
generale da applicarsi in relazione a qualsiasi trattamento di dati
personali; la seconda specifica delle telecomunicazioni.
La disciplina quadro
4.1.
La disciplina dettata dalla direttiva quadro 95/46 rispecchia
quanto previsto dalla Convenzione del consiglio d’Europa e ne
amplia i contenuti.
Una prima differenza, tuttavia, risiede nel campo di applicazione:
la direttiva intende applicarsi al trattamento dei dati personali
contenuti in archivi strutturati, indipendentemente dal fatto che
siano automatizzati o meno. Come la Convenzione, vale solo per le
persone fisiche.
Dal campo di applicazione della direttiva sono inoltre esclusi i
trattamento di dati personali effettuati per l’esercizio di attività che
non rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario (es.
difesa, sicurezza pubblica, Stato).
Viene precisata la nozione di dati personali come “qualsiasi
informazione concernente una persona fisica identificabile”.
La direttiva riprende i principi fondamentali da seguirsi per un
corretto trattamento dei dati già espressi nella Convenzione del
Consiglio d’Europa: legalità, finalità, pertinenza, esattezza, ecc. È
necessario il consenso al trattamento da parte dell’intervistato
oppure che il trattamento sia previsto da un contratto o che sia
necessario per adempiere un obbligo o che serva per salvaguardare
un interesse vitale dell’interessato.
La disposizione ribadisce il divieto a priori del trattamento dei dati
sensibili. Tuttavia introduce un ampio numero di eccezioni, per cui
il divieto non si applica quando ad esempio: vi sia il consenso
esplicito dell’interessato, il trattamento sia necessario per assolvere
obblighi, il trattamento riguardi dati resi manifestamente pubblici
dalla persona interessata, ecc.
Tra le garanzie riconosciute agli individui spicca il diritto a essere
informati riguardo: all’identità del responsabile del trattamento; alle
finalità dello stesso; alle possibilità di accedere ai dati ed
eventualmente di rettificarli. Di estrema rilevanza è anche il diritto
di accesso.
La norma consente agli Stati di limitare le garanzie di cui sopra ma
solo quando ciò sia necessario alla salvaguardia della sicurezza
pubblica. 45
Di grande importanza a livello di garanzia è l’obbligo di
notificazione all’Autorità di controllo, che incombe sul
responsabile del trattamento, prima di procedere al trattamento dei
dati.
La direttiva impone agli Stati di istituire delle autorità di controllo
indipendenti, dotate di poteri investigativi e di intervento a cui, tra
l’altro, possono rivolgersi i singoli per le violazioni del diritto. I
rappresentanti dell’Autorità di controllo di ogni Stato membro con
l’aggiunta di un rappresentante della Commissione europea vanno a
comporre il Gruppo per la tutela delle persone con riguardo al
trattamento dei dati personali.
La direttiva guarda favorevolmente all’adozione, da parte delle
associazioni professionali e degli organismi rappresentanti i
responsabili del trattamento, di codici di autoregolamentazione.
La direttiva consente il trasferimento dei dati esclusivamente
verso Paesi terzi che assicurino un livello di protezione adeguato.
La disciplina specifica per il settore delle telecomunicazioni
4.2.
Nel 1997 è stata adottata la direttiva 97/66 sul trattamento dei
dati personali e sulla tutela della vita privata nelle settore
delle telecomunicazioni. A seguito degli sviluppi verificatisi negli
anni immediatamente successivi nel settore della comunicazione e
dell’informazione si rese necessario introdurre nuove norme
adeguate a tali cambiamenti. Di conseguenza, la direttiva in
oggetto è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2002/58
relativa al trattamento dei dati e alla tutela della vita privata nel
settore delle comunicazioni elettroniche.
Per ciò che concerne l’ambito di applicazione, una peculiarità
rispetto alla direttiva-quadro risiede nel fatto di riconoscere come
meritevoli di tutela anche gli interessi delle persone giuridiche.
Negli ultimi anni, vari Stati hanno introdotto normative che
consentono la conservazione di dati da parte dei fornitori di servizi a
fini di prevenzione, indagine e perseguimento dei reati. Da qui
l’esigenza di uniformare la materia individuando una serie di dati
relativi al traffico e all’ubicazione delle persone di cui è prevista la
conservazione per periodi non inferiori a 6 mesi e non superiori a 2
anni. La disciplina specifica per le istituzioni e gli organismi
4.3. dell’Unione
La direttiva che contiene la disciplina quadro in materia di
trattamento dei dati ha come unici destinatari gli Stati membri,
dunque non ha alcuna efficacia obbligatoria rispetto alle istituzioni e
46
agli organismi comunitari che, però, al momento dell’adozione della
stessa si impegnano a rispettarne i contenuti. Tale impegno è
diventato vincolante con il Trattato di Amsterdam, che ha
introdotto l’art.286 CE che estende la normativa comunitaria
in materia di trattamento dei dati anche alle istituzioni e agli
organismi comunitari.
Per rendere effettiva la disposizione, il Parlamento europeo e il
Consiglio hanno adottato il regolamento n.45/2001 concernente
la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati
personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari.
Le questioni che attengono alla sicurezza interna e
4.4. internazionale
Gli strumenti comunitari finora analizzati finora analizzati escludono
dal loro campo di applicazione i titoli V e IV del TUE, vale a dire: la
politica estera e di sicurezza comune e la cooperazione di polizia e
giudiziaria in maniera penale. Le attività ivi svolte non sono quindi
sottoposte alla disciplina comunitaria in materia di tutela della
riservatezza.
Europol. La Convenzione istitutiva di Europol persegue l’obiettivo
di realizzare e migliorare la collaborazione tra le forze di polizia
nazionali al fine di combattere alcune forme di criminalità. Per
questo motivo ha creato un sistema di stoccaggio e scambio di
informazioni e dati ad individui sospettati.
SIS. Il Sistema di Informazione Schengen (SIS) prevede la creazione
di un archivio comune a tutti gli Stati aderenti, nel quale si trovano
schedate le persone ricercate o sorvegliate.
SID. Il Sistema di Informazione Doganale (SID) mira, invece a
migliorare la cooperazione tra le amministrazioni doganali al fine di
contrastare traffici illeciti.
In tutte e 3 le Convenzioni è fatto obbligo agli Stati aderenti di
garantire un livello di protezione almeno equivalente a quello
individuato nella Convenzione n.108.
Il sistema Eurodac prevede una banca dati contenente informazioni
sui richiedenti asilo alla quale hanno accesso tutti gli stati.
L’art.8 della Carta europea dei diritti fondamentali
4.5.
L’inserimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea di una norma dedicata alla materia – l’art.8 – conferma
47
l’importanza che gli Stati dell’UE attribuiscono a tutela della
riservatezza. L’art.7 si occupa del “rispetto della vita privata e della
vita familiare” mentre l’art.8 della “protezione dei dati di
carattere personale”.
L’attuazione italiana delle norme europee
4.6.
La Convenzione n.108 del Consiglio d’Europa ha trovato vigore in
Italia nel ’97 con la legge n.98/1989. Il suo Protocollo non è invece
ancora in vigore nel nostro Paese perché non è stato depositato lo
strumento di ratifica.
Per quanto riguarda invece il quadro normativo comunitario, l’Italia
si è adeguata alla direttiva n.95/46 con la legge n.675/1996,
recentemente sostituita dal d.lgs. n.196/2003.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
III. Efficacia e derogabilità
5.
Il limite maggiore della disciplina europea risiede nell’amplissima
facoltà lasciata agli Stati di porre delle deroghe. C’è il rischio che il
diritto di ogni individuo alla riservatezza venga limitato mediante
l’adozione di discipline interne poco garantistiche.
Ogni atto in materia possiede necessariamente una duplice anima,
in quanto persegue 2 obiettivi: la tutela della libertà e dei diritti
fondamentali della persona e la realizzazione della libera
circolazione dei dati personali nel mercato comune.
Il problema della frammentazione dei quadri normativi
6. di riferimento
Un altro importante limite della disciplina attuale riguarda
l’esistenza di quadri normativi di tutela dei dati personali
differenti per la Comunità e per l’Unione Europea. Il problema
potrebbe essere risolto con l’entrata in vigore del Trattato che
adotta una Costituzione per l’Europa, estende l’applicazione
delle norme relative al trattamento dei dati di carattere personale a
tutte le attività che rientrano nel campo di applicazione dei diritto
dell’Unione e a tutte le situazioni, gli organi e gli organismi
dell’Unione.
Il trasferimento dei dati personali verso Paesi terzi. In
7. particolare: i rapporti tra Unione europea – Stati Uniti
d’America
Particolarmente attuale è il problema del trasferimento di dati
personali verso gli Stati Uniti, che hanno un sistema di tutela
48
diverso. La Commissione europea e gli Stati Uniti hanno approvato
un sistema di principi (Safe Harbor) al quale possono aderire le
imprese americane che vogliono accedere ai dati europei.
I maggiori problemi si pongono con riferimento al trattamento dei
dati dei passeggeri aerei in volo da e verso gli USA. Infatti, a seguito
degli attentati dell’11 settembre, il Governo statunitense ha varato
una legge che obbliga i vettori aerei che entrano ed escono dal
territorio USA a consentire il libero accesso ai dati dei passeggeri.
CAPITOLO 7: CONCORRENZA E LIBERALIZZAZIONE
NEL SETTORE DELL’INFORMAZIONE E DELLA
TELECOMUNICAZIONE
QUESTIONI INTRODUTTIVE
I. Premessa
1.
Nell’ordinamento comunitario non ci sono norme che regolino la
concorrenza in tema di informazione e comunicazione. Ciò significa
che condotte anticompetitive che emergano in questo particolare
settore non potranno che essere valutate alla luce delle regole
generali.
Una disciplina specifica riguarda il quadro regolatorio delle
telecomunicazioni per le quali esiste una normativa ormai
consolidata concernente il processo di liberalizzazione.
Le finalità del diritto comunitario della concorrenza
2.
Il diritto della concorrenza (o diritto atitrust) negli USA affonda le
proprie radici nel principio della repulsione contro i monopoli. La
prima disciplina organica della materia risale alla fine del XIX secolo
quando negli USA vennero adottati i primi provvedimenti legislativi
per contrastare i monopoli: lo Sherman Act (1890) e il Clayton
Act (1914). L’intero arsenale antitrust americano si può definire
come “consumer oriented”, in quanto è modellato sull’assunto
che la massimizzazione dei profitti delle imprese debba avere come
limite la massimizzazione del soddisfacimento del benessere dei
consumatori.
Le finalità della politica di concorrenza della Comunità europea
rispondono invece ad esigenze profondamente diverse. Le norme
sulla concorrenza si pongono infatti come strumenti al
conseguimento dell’obiettivo dell’integrazione dei mercati
europei, ossia all’abbattimento di ogni barriera che ostacoli
49
l’interscambio economico tra Stati membri. Gli interessi particolari
delle imprese e dei consumatori vengono posti in secondo piano.
Il ruolo della Commissione e le competenze delle
3. autorità nazionali
Fino all’entrata in vigore del regolamento n.1/2003 la
Commissione europea era l’unico organo investito del compito di
vigilare sull’osservanza del rispetto delle norme comunitarie in
materia di concorrenza.
Attualmente, la Commissione invece detiene in questo campo una
competenza concorrente con quella delle autorità antitrust
nazionali.
La Commissione ha comunque il potere di avocare a sé l’esame di
una fattispecie anche se già oggetto di valutazione da parte delle
autorità antitrust. Per ciò che concerne il rapporto con le autorità
giudiziarie nazionali, la Commissione ha il dovere di fornire tutte le
informazioni in suo possesso.
La Commissione può essere investita su richiesta degli Stati membri
di un caso di interesse nazionale, ma privo di dimensione
comunitaria. Le autorità antitrust nazionali possono specularmente
chiedere alla Commissione di rinviare loro un caso che abbia
dimensione comunitaria, ma che presenti una rilevanza nazionale.
Le decisioni della Commissione sono impugnabili dinanzi al
Tribunale di primo grado; le decisioni delle autorità antitrust
nazionali sono impugnabili dinanzi alle giurisdizioni nazionali.
QUADRO NORMATIVO E PRASSI APPLICATIVA
II. Le intese
4.
Le intese (o cartelli) rappresentano la forma più elementare di
comportamento anticoncorrenziale, tanto che la stessa
definizione del diritto della concorrenza come diritto antitrust deriva
dal fatto che verso la fine del XIX secolo negli USA furono costituiti
dei trusts con il compito di coordinare le condotte delle imprese
eliminando così la concorrenza tra loro.
L’art.81 CE dichiara incompatibili con il mercato comune tutti gli
accordi tra imprese. La norma precisa che tali accordi o decisioni
saranno automaticamente nulli, salvo che ricorrano gli estremi per
un’esenzione.
La nozione di impresa
4.1.
Nel concetto di impresa vanno ricomprese tutte le entità impegnate
in una attività economica. 50
La classificazione delle intese
4.2.
Il primo meccanismo che l’art.81 indica è l’accordo. In questa
categoria non rientrano solo contratti legalmente eseguibili, ma
anche accordi non vincolanti, come quelli in forma orale o quelli
non ancora formalmente conclusi. La Corte ha statuito che per
individuare una violazione dell’art.81 nel contesto di cartelli di
complessa configurazione non è necessario tracciare un’esatta
distinzione tra accordi e pratiche concorrenziali.
Il secondo meccanismo indicato all’art.81 è costituito dalle
decisioni di associazioni di imprese. Le associazioni di imprese
possono infatti adottare delle decisioni per le proprie associate che
contrastino con le regole di concorrenza.
L’ultimo meccanismo indicato nell’art.81 è rappresentato dalle
pratiche concordate. Si tratta di modalità molto difficili da
accertare, in quanto comportamenti convergenti sfuggono sovente
ad una chiara identificazione. Affinché possano ricorrere gli estremi
di una pratica concordata è indispensabile che ricorrano 2
elementi: la consapevolezza da parte delle imprese che il loro
comportamento vada a incidere sulla dinamica concorrenziale e la
presenza di contatti diretti o indiretti tra le parti.
L’oggetto e l’effetto delle intese
4.3.
Oggetto ed effetto vanno intesi come parametri alternativi e
non cumulativi. La Corte ha avuto modo di precisare che solo
quando l’oggetto dell’accordo non è chiaro si deve guardare ai suoi
effetti sulla dinamica concorrenziale.
Oggetto. L’art.81 riporta alcune tipologie di accordi che
comportano per se una restrizione della concorrenza, come: a) gli
accordi per fissare i prezzi di acquisto o di vendita; b) gli accordi per
limitale o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o
gli investimenti; c) gli accordi per ripartire i mercati o le fonti di
approvvigionamento; d) gli accordi per applicare nei rapporti
commerciali condizioni dissimili per prestazioni equivalenti; e) gli
accordi per subordinare la conclusione di contratti all’accettazione
di prestazioni supplementari.
Effetto. Quando non è possibile stabilire se l’oggetto di un accordo
sia come tale quello di restringere la concorrenza, si rende
necessario condurre un’analisi dei suoi effetti sul mercato.
Ci sono però alcuni accordi che non cadono nella proibizione
dell’art.81 perché non hanno impatto significativo sulla dinamica
concorrenziale o sul commercio comunitario.
51
L’ultimo parametro alla cui stregua valutare un accordo è
rappresentato dal pregiudizio per il commercio comunitario.
Quando un accordo non produce alcun effetto sull’interscambio
all’interno della Comunità non troverà infatti applicazione l’art.81.
Le esenzioni
4.4.
Per ottenere l’esenzione i seguenti parametri devono essere
soddisfatti complessivamente:
Miglioramento della produzione o della distribuzione di beni: si
tratta di un beneficio che deve essere potenzialmente rivolto a tutta
la Comunità.
Benefici per gli utilizzatori: imputazione agli utilizzatori di una
congrua parte degli utili che derivano da queste restrizioni alla
concorrenza. Ciò che conta è che le limitazioni derivanti
dall’accordo non siano tali da eliminare la concorrenza.
Indispensabilità delle restrizioni: devono essere indispensabili
per raggiungere gli obiettivi previsti. Questo parametro va valutato
alla luce del criterio di proporzionalità.
Salvaguardia della concorrenza: bisogna evitare che le imprese
abbiano la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte
sostanziale dei prodotti in questione. La Commissione non concede
infatti un’esenzione qualora le imprese interessate detengano una
rilevante quota di mercato.
L’esenzione individuale si basa sulla valutazione di un accordo
alla luce dei criteri della norma in esame e può venire applicato sia
dalla Commissione che dalle autorità nazionali nel quadro di una
procedura concernente la verifica della compatibilità di un’intesa.
Le block exemptions operano invece in modo automatico.
La prassi applicativa
4.5.
Il settore delle tlc è stato particolarmente interessato da intese.
Trattandosi di una rete, gli operatori devono necessariamente
entrare in contratto gli uni con gli altri.
Tali accordi possono essere verticali (tra operatori posti a diversi
livelli della catena produttiva) sia orizzontali (tra operatori allo
stesso livello).
Fissazione dei prezzi
a) 52
È una delle violazioni più gravi. L’armonizzazione delle tariffe
dovrebbe essere attuata solo nella misura in cui sia compatibile con
le regole comunitarie.
Gli accordi di accesso
b)
Sono essenziali per l’interoperabilità delle reti e possono avere
importanti effetti positivi sulla dinamica della concorrenza perché
consentono di migliorare l’accesso al mercato a valle della rete.
Taluni accordi possono però dare adito a effetti contrari alla
concorrenza, in quanto finiscono con il contribuire a fissare i prezzi,
ripartire i mercati o escludere i terzi.
Accordi di condivisione dell’infrastruttura
c)
Gli operatori che hanno ottenuto la licenza per fornire i servizi di
telefonia mobile tendono a stabilire accordi di cooperazione tra di
loro. Questi accordi possono però incidere negativamente sulla
dinamica della concorrenza se finiscono con l’arrecare danno ai
consumatori.
Accordi sugli standard tecnici e qualitativi
d)
La Commissione vede con favore gli accordi tra operatori del settore
delle tlc e i produttori degli apparecchi telefonici in quanto
favoriscono la promozione di servizi paneuropei di tlc mediante la
creazione di uno standard comune. Tuttavia, gli accordi di
standardizzazione possono però sortire effetti negativi se si
risolvono surrettiziamente in una esclusione dei terzi dal mercato.
Accordi di scambio di informazioni confidenziali
e)
Gli accordi tra operato del settore delle tlc concernenti lo scambio di
informazioni sono visti favorevolmente dalla Commissione nella
misura in cui contribuiscano al miglioramento del funzionamento
della rete. Gli stessi accordi si configurano però come una
violazione dell’art.81 se riguardano lo scambio di informazioni
confidenziali.
Gli accordi tra gli operatori di rete di telefonia mobile
f)
Gli operatori di reti mobili e i fornitori di servizi di telefonia mobile
tendono a entrare in accordi roaming tra di loro al fine di consentire
agli utilizzatori di servizi di telefonia mobile di poter utilizzare i loro
apparecchi su reti differenti. Questi accordi presentano vantaggi
indubbi per l’utenza, ma possono comportare la ripartizione dei
mercati o la fissazione dei prezzi. 53
L’abuso di posizione dominante
5.
L’art.82 rappresenta la seconda colonna su cui si regge l’edificio
antitrust del Trattato CE. Tale norma intende reprimere la condotta
unilaterale di imprese in posizione dominante sul mercato, che
pongano in essere comportamenti abusivi.
Il soggetto che pone in essere tale condotta deve essere
un’impresa.
Il mercato rilevante
5.1.
La definizione di mercato rilevante del prodotto è basata sulla
nozione di sostituibilità dei prodotti. Uno o più beni o servizi sono
considerati nello stesso mercato del prodotto se presentano delle
peculiarità tali da renderli tra loro sostituibili. Per misurare il grado
di sostituibilità è necessario fare riferimento ai parametri di
elasticità della domanda (la domanda è elastica se ad un piccolo
aumento di prezzo corrisponde un considerevole spostamento di
acquirenti verso un altro prodotto) e di elasticità dell’offerta.
La definizione di mercato geografico rilevante serve a stabilire
quali altre imprese concorrenti nello stesso segmento merceologico
operino in una data area geografica.
La posizione dominante
5.2.
Una posizione dominante si identifica con il potere economico di
un’impresa di agire sul mercato in modo indipendente dai suoi
concorrenti e clienti, compromettendo la concorrenza su quel
mercato.
Un chiaro indice di dominio è dato dalla presenza di un monopolio
legale. Normalmente la sola quota di mercato non basta non basta
ad individuare una posizione dominante, ma quando tale quota è
superiore al 50% è considerata un sicuro indice di dominio. In caso
di quote inferiori, bisogna considerare altri parametri, come le quote
dei concorrenti e le barriere all’entrata.
Tra le barriere di tipo assoluto ci sono marchi, brevetti e altri diritti
di proprietà intellettuale, che conferiscono al titolare lo
sfruttamento esclusivo di un determinato prodotto, nonché
concessioni e licenze pubbliche che legalmente circoscrivono
l’ingresso ad un mercato. Le barrire relative possono consistere
nella superiorità tecnologica, nell’accesso ai canali finanziari e nei
comportamenti anti-concorrenziali.
54
Lo sfruttamento abusivo
5.3.
Perché l’art.82 trovi applicazione, occorre che un’impresa tenga
determinati comportamenti che consistano nello sfruttamento
della propria posizione dominante: a) imporre prezzi o altre
condizioni inique; b) limitare la produzione, gli sbocchi o lo
sviluppo tecnico a danno dei consumatori; c) applicare nelle
relazioni commerciali condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti; d) subordinare la conclusione di contratti
all’accettazione da parte delle controparti di prestazioni
supplementari.
Gli abusi possono essere ricondotti lungo due direttrici: lo
sfruttamento vero e proprio e le pratiche anti-concorrenziali.
Il primo tipo è identificabile con il comportamento del
monopolista, che non ha interessa a promuovere prodotti o servizi
o migliorare l’efficienza.
Le ipotesi più frequenti sono però quelle connesse a condotte
anti-concorrenziali mirate a colpire i concorrenti potenziali,
impedendo loro di entrare nel mercato, o i concorrenti attuali,
facendoli uscire dal mercato. I price abuses riguarda vendite sotto
costo, sconti fedeltà e prezzi differenti per prestazioni equivalenti. I
non price abuses riguardano, ad esempio, il rifiuto di
contrattare.
Uno sviluppo del principio del rifiuto di contrattare è rappresentato
dalla dottrina dell’accesso alle infrastrutture essenziali. Il
titolare di un’infrastruttura è chiamato a determinare condizioni per
consentire l’accesso a terzi allo scopo di garantire il mantenimento
della concorrenza su un mercato posto a valle delle medesima. Il
rifiuto all’accesso può essere giustificato solo sulla base della
capacità dell’infrastruttura e delle condizioni economiche del
richiedente.
La prassi applicativa
5.4.
Abusi sui prezzi
1) Prezzo eccessivo: è quando si configura come esagerato
a) rispetto al valore economico della prestazione fornita.
Prezzi predatori: è quando un’impresa in posizione
b) dominante vende un prodotto sottocosto allo scopo di
scoraggiare l’accesso al mercato da parte di imprese rivali o di
estrometterle.
Abusi non legati ai prezzi
2) Estensione del dominio nei mercati vicini: il profilo
a) dell’estensione della posizione di dominio da un mercato in cui
55
un’impresa detiene una posizione dominante a un mercato in
cui essa opera a regime concorrenziale è sanzionabile ai sensi
dell’art.82.
La Corte di giustizia ha avuto modo di stabilire che costituisce
abuso il fatto che un’impresa in posizione dominante su un
determinato mercato riservi a sé o a un’altra impresa
appartenente al proprio gruppo un’attività ausiliaria su un
mercato contiguo ma distinto.
Rifiuto di contrattare: violano l’art.82 le emittenti televisive
b) che si avvalgono del diritto d’autore conferito dalla normativa
nazionale per impedire a un’altra impresa la pubblicazione di
informazioni qualora: a) tale comportamento ostacoli
l’emergere di un nuovo prodotto, b) il rifiuto non sia
giustificato dall’attività di trasmissione televisiva, c) l’impresa
intenda con il suo comportamento riservarsi il monopolio su un
mercato contiguo.
L’accesso alle infrastrutture: nel settore delle tlc, i mercati
c) dei servizi sono inizialmente caratterizzati da un numero
limitato di concorrenti e quindi un rifiuto a concedere l’accesso
avrà in genere effetti sfavorevoli. L’accesso deve però risultare
indispensabile allo scopo di permettere la concorrenza.
Le concentrazioni fra imprese
6.
Il Trattato CE non prevede alcuna norma in tema di concentrazione
tra imprese. Questa lacuna venne colmata nell’89 con il
regolamento n.4064/89, sul controllo delle operazioni di
concentrazione tra imprese. Tale regolamento è stato recentemente
sostituito dal regolamento n.139/2004.
La nozione di concentrazione
6.1.
Il regolamento n.139/2004 parla di 3 modalità attraverso cui
un’operazione di concentrazione si può realizzare. Il metodo più
semplice è quello della fusione, che si verifica quando 2 o più
imprese si fondono in una nuova impresa.
Un altro metodo è quello dell’acquisizione del controllo, che ha
luogo quando una o più persona che già controllano almeno
un’impresa, acquisiscono il controllo dell’insieme o delle parti di una
o più imprese, con qualunque mezzo. Si ha un controllo quando si è
in presenza di diritti, di contratti o di altri mezzi che attribuiscano a
determinati soggetti la possibilità di esercitare un’influenza
determinante all’attività di un’impresa.
Il controllo può normalmente definirsi esclusivo quando
un’impresa acquisisce la maggioranza del capitale e dei diritti di
56
voto di una società. Il controllo può essere congiunto quando due o
più persone o imprese hanno la possibilità di esercitare
congiuntamente un’influenza determinante sulla vita di un’altra
impresa.
Il terzo modo di effettuare una concentrazione è dato dall’impresa
comune, ossia da un’impresa controllata congiuntamente da 2 o
più imprese. Il punto di discrimine per stabilire se una joint venture
abbia natura concentrativa oppure cooperativa è dato da una
modifica duratura nella struttura delle imprese interessate.
La dimensione comunitaria e il sistema dei rinvii
6.2.
L’art.1 del regolamento 139/2004 enuncia alcune soglie che
devono essere oltrepassate affinché una concentrazione possa
dirsi di interesse comunitario: a) il fatturato totale realizzato a
livello globale da tutte le imprese interessate all’operazione deve
essere superiore a 5mrd di €; b) il fatturato totale realizzato
singolarmente a livello comunitario da almeno 2 delle imprese
interessate deve essere superiore a 250mln di €.
La competenza esclusiva in capo alla Commissione soffre però di
alcune eccezioni. La clausola olandese (art.22) stabilisce che la
Commissione possa applicare il regolamento n.139/2004 a una
concentrazione che, priva di dimensione comunitaria, rischi di
incidere significativamente sulla concorrenza in territorio di uno o
più Stati richiedenti.
Una seconda eccezione (clausola tedesca) consiste nel rinvio alle
autorità antitrust degli stati membri.
I parametri di valutazione
6.3.
Alcuni criteri valutativi di cui la Commissione deve tener conto
nell’esame di un’operazione di concentrazione: necessità di
preservare e sviluppare una concorrenza effettiva sul mercato
comune; alcuni indici significativi di dominio, come la posizione di
mercato delle imprese partecipanti alla concentrazione, il loro
potere economico e finanziario, la possibilità di scelta dei fornitori e
degli utilizzatori, il loro accesso alle fonti di approvvigionamento,
l’esistenza di ostacolo all’entrata.
La prassi applicativa
6.4.
La prassi della Commissione in materia di tlc si enuclea
attorno a 3 settori.
Le reti di telecomunicazione
a) 57
La liberalizzazione e la globalizzazione hanno avuto come effetto la
conclusione di accordi che si sostanziano perlopiù in joint ventures
di natura concentrativa tra operatori presenti in diversi segmenti
delle tlc. (casi a pag.200/201)
La telefonia mobile
b)
Il mercato della telefonia mobile è un settore che per caratteristiche
tecniche è soggetto a forti pressioni concentrative. Nel caso
Vodafone/Airtouch la Commissione (nel ’99) assunse un
atteggiamento negativo per ragioni di ordine strutturale: il fatto che
entrambe le imprese avessero delle joint ventures con altri grandi
concorrenti avrebbe avuto come risultato la creazione di legami
strutturali fra 2 dei 3 maggiori operatori nel mercato tedesco (in
caso di acquisizione).
In un’altra operazione con protagonista Vodafone, la Commissione
(nel 2000) subordinò l’approvazione della concentrazione
all’impegno di consentire l’accesso al circuito da parte dei
concorrenti.
Le trasmissioni televisive
c)
L’avvento della tecnologia digitale richiede un ampio investimento
di capitali. Le imprese tendono dunque a effettuare delle
concentrazioni di vario tipo per fare fronte a questa situazione. (casi
a pag.202)
Gli obblighi gravanti sugli Stati
7.
Il Trattato non contiene norme antitrust rivolte solamente alle
imprese. Alcuni obblighi sono infatti specificamente rivolti anche
agli Stati membri.
Uno Stato viola gli obblighi del Trattato tutte le volte in cui mantiene
in vigore una legislazione che priva le regole comunitarie di
concorrenza della loro efficacia. Uno Stato membro può essere
ritenuto responsabile del comportamento anticompetitivo delle
proprie imprese solamente quando, in presenza di una
legislazione nazionale anticoncorrenziale, ci sia una effettiva
violazione delle norme di concorrenza comunitarie.
Le imprese pubbliche sono quelle in cui le pubbliche autorità
possono esercitare un’influenza determinante in base ai diritti di
proprietà, alla partecipazione azionaria o alle regole statutarie. Le
imprese a cui sono conferiti diritti speciali o esclusivi possono
essere invece sia pubbliche che private. Il diritto esclusivo consiste
generalmente in un monopolio legale; mentre il diritto speciale è
qualificabile come il diritto allo svolgimento di una determinata
58
attività in una specifica area geografica attribuito in un numero
limitato di soggetti senza rispettare criteri di obiettività,
proporzionalità e non discriminazione.
Gli Stati membri sono responsabili dei comportamenti delle imprese
che si trovano nella propria giurisdizione solo quando sussista un
nesso causale tra l’intervento dello Stato e la condotta dell’impresa.
Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse
economico generale o aventi natura di monopolio fiscale
soggiacciono alle norme del Trattato, ma solo nella misura in cui ciò
non sia d’ostacolo al perseguimento nella missione di pubblico
servizio.
Il quadro regolatorio delle comunicazioni elettroniche
8.
Il settore delle tlc rappresenta un modello di liberalizzazione, in
quanto è stato il primo dei settori rientranti nella previsione
dell’art.86 n.2 CE ad essere assoggettato alla disciplina sulla
concorrenza e quindi ad essere sottoposto ad un radicale processo
di liberalizzazione.
L’attuale cornice normativa è stata profondamente innovata nel
2002 e comprende ora la direttiva 2002/21 (direttiva quadro), la
direttiva 2002/19 (direttiva accesso), la direttiva 2002/77 (direttiva
liberalizzazione) e diverse altre. Tutti questi strumenti giuridici si
riferiscono ora a “reti e servizi di comunicazione elettronica”.
La liberalizzazione
8.1.
Il primo strumento con cui la Commissione è intervenuta nella
liberalizzazione del settore era costituito dalla direttiva 90/388 che
imponeva agli Stati membri l’abolizione dei diritti speciali ed
esclusivi per la fornitura dei servizi di tlc.
Attualmente la materia è disciplinata dalla direttiva
liberalizzazione che impone agli Stati di rimuovere ogni diritto
speciale o esclusivo concernente l’installazione e/o la fornitura di
reti di comunicazione elettronica o la fornitura di servizi di
comunicazione al pubblico.
L’art.3 della direttiva liberalizzazione richiede agli Stati di
adoperarsi affinché le imprese pubbliche verticalmente integrate
che forniscono reti di comunicazione elettronica e che occupano
una posizione dominante non operino una discriminazione a
vantaggio delle attività da loro esercitate.
L’accessibilità alle infrastrutture
8.2.
Uno dei punti qualificanti della liberalizzazione del settore delle
comunicazioni elettroniche riguarda il profilo dell’accessibilità
59
delle infrastrutture. La questione dell’accessibilità si può porre
sia tra operatori di mercato che tra questi ultimi e gli utilizzatori
finali.
Per ciò che concerne i rapporti tra operatori, l’art.3 della direttiva
accesso impone come regola generale la soppressione di
qualunque restrizione di natura statuale che impedisca alle
imprese di negoziare tra loro accordi sull’accesso o
sull’interconnessione.
Dalla soppressione delle restrizioni statali discendono 2
conseguenze. Gli Stati, da un canto, sono chiamati a revocare i
provvedimenti che impongono agli operatori del settore di praticare
termini e condizioni differenti in rapporto a diverse imprese per
servizi equivalenti. Le imprese, dal canto loro, hanno il diritto di
negoziare l’interconnessione reciproca al fine di garantire la
fornitura e l’interoperabilità dei servizi di tutta la comunità.
Gli obblighi in capo ai soggetti con significativo potere di
8.3. mercato
Ai sensi della direttiva accesso, le autorità nazionali del settore
possono imporre obblighi di accesso e di interconnessione a tutti gli
operatori che controllano l’accesso agli utenti finali allo scopo di
garantire una prestazione ottimale del servizio di comunicazioni
elettroniche, a prescindere dal loro potere di mercato (art.5).
Le medesime autorità nazionali sono invece tenute a imporre una
serie di prestazioni di carattere obbligatorio qualora un operatore
venga designato come detentore di un significativo potere di
mercato (art.8).
Il mercato rilevante
8.4.
Per ciò che riguarda specificamente il profilo del mercato
rilevante, la direttiva quadro all’art.15 prevede che sia la
Commissione, previa consultazione con le competenti autorità
nazionali, a individuare quei mercati nel campo delle comunicazioni
elettroniche, le cui caratteristiche siano tali da giustificare
l’imposizione di particolari obblighi.
La Commissione nel 2003 ha adottato la raccomandazione
n.2003/311 relativa ai mercati rilevanti nel settore delle
comunicazioni elettroniche. Nel definire i mercati, la
raccomandazione enuncia 3 criteri guida: la presenza di forti
ostacoli non transitori all’accesso, di carattere strutturale,
normativo o regolatorio; la mancanza di una concorrenza effettiva
per un dato periodo; l’insufficienza del diritto alla concorrenza, in
60
assenza di una regolamentazione ex ante, a correggere le carenze
di questi mercati.
La posizione dominante
8.5.
Ai fini dell’imposizione degli obblighi previsti dalla direttiva quadro
(art.15) la Commissione nel 2002 ha pubblicato le Linee direttrici
concernenti la valutazione del significativo potere di
mercato. La nozione del significativo potere di mercato coincide
sostanzialmente con quella di posizione dominante.
Il potere di mercato è il potere dell’impresa di aumentare i prezzi
limitando la produzione, senza che questo si rifletta negativamente
sulle vendite o sui ricavi.
Il criterio base per stabilire l’esistenza di una posizione dominante è
dato dalla quota di mercato: una quota superiore al 50% è sicuro
indice di dominio, mentre una quota inferiore al 25% è difficile che
lo sia. I criteri per calcolare la quota di mercato dipendono dalle
caratteristiche del mercato rilevante. Nel caso dell’interconnessione
un parametro più realistico è quello dei proventi del servizio di
terminazione di chiamata, in quanto il riferimento ai ricavi invece
che ai minuti consente di tener conto del valore dei minuti di
chiamata.
Tuttavia, la misurazione di quote di mercato non è indice sufficiente
a stabilire la posizione di dominio. La Commissione nelle sue Linee
direttrici indica altri parametri, come la dimensione globale
dell’impresa, il controllo di infrastrutture di difficile duplicazione, la
superiorità tecnologica, uno scarso contropotere da parte degli
acquirenti, nonché barriere all’ingresso.
CAPITOLO 8: TELECOMUNICAZIONI E SERVIZIO
PUBBLICO
QUESTIONI INTRODUTTIVE
I. Il servizio pubblico
1.
L’ordinamento comunitario, determinando un nuovo assetto del
mercato, ha ridisegnato anche quelli che storicamente erano gli
obiettivi e gli strumenti del “servizio pubblico”: tutti quei settori
che per rilievo sociale delle attività devo svolgersi sotto il controllo
di un unico soggetto che ne assicuri la fornitura secondo principi di
uguaglianza, uniformità, universalità e trasparenza.
Per garantire tali condizioni di erogazione del servizio pubblico per
lunghi periodi tali settori sono stati sottratti al regime di libero
61
mercato, riservandoli ad un unico soggetto, gestore del servizio.
Non era sempre lo stato a provvedere in via diretta alla gestione
del servizio pubblico attraverso gli “enti pubblici economici”; la
gestione del servizio poteva essere affidata a soggetti privati,
attraverso la “concessione”. Quello delle telecomunicazioni è uno
di questi settori: il soddisfacimento dell’interesse pubblico
all’interconnessione di tutti i cittadini a una rete che consenta
loro di comunicare presuppone l’unicità della rete infrastrutturale
nonché l’adozione di determinati standard tecnici. Tali forme di
gestione erano rese necessarie dalla particolarità dei mercati
interessati, dove l’obbligo di fornire un servizio destinato al
soddisfacimento di un interesse collettivo veniva giustificato
attraverso riconoscimento dell’esistenza di un “monopolio
naturale”, risultando altrimenti la gestione inefficiente e
antieconomica.
Per mezzo dei “cross subsidy” il gestore poteva realizzare forme di
sovvenzionamento incrociato sia tra aree geografiche che tra
categorie di utenti, riuscendo così a contemperare l’esigenza di
fornire comunque il servizio a tutti coloro che ne facessero richiesta,
con la necessità di mantenere comunque i prezzi ad un livello
ragionevole.
Il funzionamento di tale meccanismo, oltre all’unicità
dell’operatore, presupponeva un rigido sbarramento del
mercato poiché se fossero entrati dei competitors non avrebbero
dovuto generare risorse da dirottare altrove e avrebbero potuto
offrire prezzi più bassi rispetto al Monopolio di Stato.
Dal servizio pubblico ai servizi di interesse generale
2.
Lo scenario delineato ha subito un profondo mutamento con la
normativa comunitaria che, determinando un nuovo assetto di
mercato, ha imposto una riconsiderazione del ruolo di servizio
pubblico e delle modalità per il suo esercizio. La liberalizzazione
del mercato e l’introduzione di un regime di piena concorrenza
hanno avuto un impatto dirompente sui principi e sugli strumenti
attraverso cui era esercitato il servizio pubblico, imponendo una
rivisitazione al nuovo quadro normativo.
La necessità di procedere a una ristrutturazione dei monopoli
nazionali si legava al riconoscimento di un’applicazione
generalizzata delle normativa antitrust, che si rivolgeva a tutti gli
operatori anche di origine statale. Nel Trattato la nozione di
servizio pubblico viene sostituita da quella di “servizio di
interesse generale”, per sottolineare la missione di interesse
collettivo e non la natura dell’ente erogatore.
62
I servizi di interesse generale oggetto di due distinte Comunicazioni
Della Commissione (1996 e 2000) vengono considerati un elemento
chiave del modello europeo di società perché arricchiscono la
qualità della vita dei cittadini, contribuiscono alla concorrenzialità
dell’industria europea e sono un fondamentale strumento di
integrazione perché rafforzano la coesione nell’UE.
Il Trattato istitutivo della Comunità non regolamentava tali servizi
ma si limitava a disciplinarli con riferimento ai servizi di interesse
economico come possibile deroga all’applicazione della normativa
antitrust. Successivamente si è posta la necessità di farne un
richiamo più preciso attraverso l’introduzione, con il Trattato di
Amsterdam, di una nuova norma ad hoc, in cui si specifica che “in
considerazione dell’importanza dei servizi di interesse economico
generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonché del loro
ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la
Comunità e gli stati membri provvedono affinché tali servizi
funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di
assolvere i loro compiti” (art. 16 CE).
La determinazione dei servizi di interesse economico
generale è a discrezionalità dei singoli stati i quali, alla luce
anche del principio di sussidiarietà, potranno orientarla anche in
funzione delle scelte politiche interne, ma sempre in conformità con
i principi generali del Trattato.
Per esigenze di certezza giuridica la Commissione in un recente
Libro Verde sui servizi di interesse generale (2003) ha auspicato la
creazione di un quadro giuridico armonizzato per una
regolamentazione complessiva di tali servizi.
PRASSI NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE
II. I servizi di interesse economico generale e la politica
3. comunitaria di concorrenza
Nel contesto della normativa antitrust, i servizi di interesse
economico generale hanno avuto una disciplina derogatoria
rispetto a quella generale, riflettendo il Trattato proprio l’incertezza
che deriva dalla necessità di contemplare le ideologie liberiste di un
mercato completamente deregolato, con l’esigenza di stampo
interventista di assicurare comunque la fornitura del servizio
pubblico.
Art 82 CE: un’impresa titolare per legge di una situazione di
monopolio può essere considerata in posizione dominante, e
anche il territorio di un solo stato membro sul quale il monopolio si
estende può essere considerato una parte sostanziale del mercato
63
comune, tale comunque da conferire a un simile comportamento
una connotazione illecita.
Art 86 CE: riconosce la possibilità di limitare l’applicazione della
normativa di concorrenza alle imprese incaricate della gestione di
servizi di interesse economico generale, che non sono forniti
dietro pagamento di un corrispettivo. Lo stato svolge attività non
lucrative in quanto espressione diretta dei pubblici poteri (es.
giustizia-sicurezza) o attraverso i quali vengono perseguiti interessi
sociali (es. scuola) i quali, non avendo non alcun collegamento con
il mercato vengono generalmente esclusi dall’ambito di
applicazione delle normativa di concorrenza.
Il conferimento dei diritti esclusivi a imprese che gestiscono
servizi di interesse economico generale può considerarsi legittimo
nella misura in cui le istituzione della concorrenza siano necessarie
per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle
imprese titolari dei diritti esclusivi.
Il servizio universale
4.
Servizio universale: insieme minimo di servizi di qualità
predeterminata a prezzi accessibili a tutti.
La liberalizzazione del mercato aveva creato un contesto
frammentario in cui accanto ai tradizionali gestori pubblici si
presentavano competitors privati nell’erogazione del servizio e tutti
i soggetti dovevano orientare le proprie scelte sulla base di
valutazioni di convenienza, ponendo così il problema di assicurare
la fornitura del servizio anche agli utenti non convenienti (zone
remote, disagiate o non remunerative).
Il servizio universale assicura il soddisfacimento di un interesse
generale all’universalità del servizio a prezzi ragionevoli.
La necessità di imporre la fornitura di un servizio basilare a tutti
deriva dall’incapacità delle dinamiche concorrenziali a spingere gli
operatori a fornire servizi alle zone non remunerative. Ciò ha
determinato la necessità di un intervento esterno.
La direttiva 2002/22
5.
Già negli anni Novanta la Comunità ha iniziato a determinare la
nozione di servizio universale, che ha poi avuto compiuta
realizzazione con l’emanazione della direttiva 2002/22, inserita
nel “pacchetto telecomunicazioni”.
64
Gli oneri di universalità addossati ai gestori possono incidere sui
costi sostenuti, alterando la posizione dell’impresa sul mercato. Gli
obblighi del servizio universale devono essere assicurati quando il
mercato non riesce a garantire l’erogazione dei servizi essenziali e
devono creare la minor distorsione possibile della
concorrenza.
La normativa identifica come obiettivo del servizio universale
garantire la disponibilità in tutta la Comunità di servizi di buona
qualità accessibili al pubblico. La direttiva impone che il servizio
universale venga messo a disposizione di tutti a un determinato
livello qualitativo e ad un prezzo accettabile, lasciando poi ai
singoli Paesi l’onere di stabilire una normativa di dettaglio e il
metodo per garantirne l’attuazione.
Circa poi il contenuto del servizio universale, la direttiva individua i
servivi essenziali, quali la fornitura del servizio telefonico e un
accesso efficacie ai servizi internet, nonché le chiamate gratuite ai
numeri di emergenza e i servizi speciali per i disabili.
In relazione al proprio tariffario, alle autorità nazionali di
regolamentazione viene affidato il compito di monitorarne
l’evoluzione e il livello, assicurando la trasparenza e la non
discriminazione nell’applicazione delle tariffe.
Il contenuto del servizio universale risulta un dato estremamente
dinamico e in continua evoluzione. Per questo è prevista la
necessità di un periodico riesame dell’universalità, effettuato
sulla base degli sviluppi sociali, economici e tecnologici.
Uno degli aspetti più significativi della disciplina riguarda la
designazione delle imprese destinate alla fornitura del servizio
universale, che non è sempre affiato ad un’unica azienda.
L’adattamento dell’ordinamento italiano alle norme
6. comunitarie. Il “Codice Delle Comunicazione
Elettroniche”
Il recepimento in Italia della direttiva 2002/22 è avvenuto
tramite il d.lgs 259/3003 meglio conosciuto come “Codice delle
comunicazioni elettroniche”.
Il codice rimette all’autorità nazionale di regolamentazione (Autorità
per le garanzie nelle telecomunicazioni) l’onere di designare le
imprese destinate a fornire il servizio universale, limitandosi a
riferire che nel fare ciò essa deve adottare un sistema “efficacie,
obiettivo, trasparente e non discriminatorio, in cui nessuna
impresa è esclusa a priori” (art.58).
Il finanziamento del servizio universale
7. 65
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