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Inizialmente gli slogan sono nati con finalità promozionali, ma successivamente alcune imprese hanno richiesto
la registrazione degli slogan in quanto possono ricondurre immediatamente il consumatore a quel determinato
produttore. La corte di giustizia successivamente ha permesso la registrazione perché potrebbe essere anche un
marchio, perché il pubblico veda solo una formula di stimolo all’acquisto e non sia percepito come marchio. In
relazione allo slogan dell’Audi “all’avanguardia della tecnica” si è detto è anche una formula promozionale, con
valenza pubblicitaria ma il consumatore è arrivato ad associare questo slogan al prodotto Audi, quindi è un segno
distintivo della loro produzione. Ci possono però essere altri casi in cui lo slogan non ha valenza distintiva ma
svolge esclusivamente una funzione di messaggio pubblicitario, come per esempio: “di più per il tuo denaro”,
che non possiede alcuna valenza distintiva e che per tanto non è adatto ad essere registrato come marchio.
Alla fine anche lo slogan può essere considerato come un marchio, ma dipende dal significato che il pubblico
attribuisce e come lo vede, ed è quindi importante valutare il caso concreto. È una categoria di confine che
dipende dal significato attribuito dal pubblico. Se arriva a identificare una certa produzione lo slogan ha valenza
di marchio. Se non dice nulla sul produttore, non identifica un produttore quindi non ha capacità distintiva e non
costituisce marchio. Ci sono due criteri che la giurisprudenza si pone:
1 – tende a evitare classificazioni astratte, ma si cerca di dare un giudizio concreto e aderente al mercato, quindi
di valutare il caso e non escludere a priori.
2 – Il fatto che lo slogan sia anche messaggio pubblicitario non esclude che questo non possa essere visto come
un marchio. È infatti sufficiente che lo slogan abbia ANCHE un significato di marchio, non solo.
Questo discorso vale anche per quanto riguarda alcune forme particolari, che possono essere espressive di
caratteristiche tecniche del prodotto, ma se possiedono anche capacità distintiva possono essere considerati validi
marchi.
3. Campo dei segni figurativi determinate forme geometriche elementari: cerchio, quadrato, pentagono. I giudici
tendono a dire che in sé sono banali e semplici, diffuse che il fatto in sé di metterle su un prodotto senza alcuna
caratterizzazione non sono descrittivi, non costituiscono un marchio. Non comunicano al consumatore che il
prodotto sia di tizio o di caio.
Casi:
Forma dei prodotti: coca cola, penna bic, casse bang Olufsen
Colore dei prodotti: suola rossa delle scarpe di Louboutin, oppure punta rossa dei calzini
In generale, segni che appaiono agli occhi del pubblico come una mera proprietà del prodotto.
Tre oggetti:
Pastiglia lavastoviglie: Finish ed è marchio; packaging di un sapone: senza etichetta è abbastanza standard;
Forma identificata nella domanda di registrazione come “a farfalla” perché ricordava le ali di farfalla. È una caramella
tedesca che non ha ottenuto il marchio.
I giudici si sono trovati a chiedere come in sé sono identificativi di un produttore oppure dicono solo che il prodotto è
fatto in quel modo. Anche in questo caso è necessario valutare caso per caso con molta attenzione, in particolare
valutare due aspetti:
1. Quanto quella determinata forma sia inconsueta per quel tipo di prodotto o servizio, cioè se la forma si stacca
dalle forme comuni degli altri prodotti presenti sul mercato.
2. L’abitudine del consumatore ad una determinata forma, cioè la sua familiarità, ovvero se quella particolare
forma viene o meno riconosciuta.
Il giudice ha fissato come linea guida di queste forme un principio di questo tipo: se il consumatore vede quella forma
come una semplice proprietà del prodotto, elemento strutturale del prodotto non sono delle forme distintive. Non
funzionano come dei marchi. Se invece il consumatore riesce a ricollegare il prodotto alla sua origine allora è un
valido marchio. Bisogna vedere com’è declinato nei casi concreti. Nel caso dello stereo bang & olufsen in sé ha
valenza distintiva ma non è stato dato il marchio perché la forma dava un valore sostanziale al prodotto. Nei marchi di
forma ci sono dei requisiti di accesso più restrittivi e si escludono determinate forme anche se distintive perché creano
un monopolio molto forte. Sostanzialmente quando la forma ha una valenza estetica ma non solo, ossia
particolarmente qualificata che finisce per essere motivo di acquisto e preferenza del consumatore allora la
forma non può essere registrata come marchio.
Per la penna Bic e per la Coca cola questo requisito è stato superato. La suola rossa delle scarpe di Louboutin è anche il
suo marchio? È una cosa interessante anche per capire il marketing in questo settore. È un marchio. È stato portato
davanti ai giudici di diversi stadi come Bologna, Parigi e alla corte di New York e hanno detto cose diverse. Bologna ha
detto che è un valido marchio vista la sua celebrità, non esprime qualità tipiche della suola, è un segno arbitrario. La
corte di Parigi viceversa aveva detto di no, che non fosse proteggibile come segno. La corte Newyorkese ha detto che è
un valido marchio purché la tomaia sia di un colore diverso. È stata fatta questa precisazione perché nella causa
newyorkese Louboutin aveva fatto causa a YSL perché aveva venduto una scarpa tutta rossa, uniforme e non spiccava
solo la suola rispetto al resto della scarpa. La punta rossa del calzino non è un marchio. 17 marzo 2016
La percezione del pubblico può variare nel tempo. Oggi non vede un segno come un marchio, a seguito di una campagna
pubblicitaria la percezione cambia. La capacità distintiva si acquisita anche con l’uso. Finora abbiamo parlato
essenzialmente di cos’è la capacità distintiva, quali segni sono privi e quali la possiedono. Ora dobbiamo analizzare
l’art.13.2 e l’art.13.3 che analizzano il segno in una prospettiva dinamica, diacronica, di sviluppo nel tempo.
Si parla di acquisto di capacità distintiva con l’uso secondary meaning o riabilitazione del marchio quando ciò che
conta è quello che coglie e percepisce il pubblico quindi il significato che viene assegnato. Il significato varia nel
tempo, nelle circostanze. Lo stesso segno può essere visto in diverso modo al passare del tempo. Ho letto sui giornali
una certa notizia. La parola giornali è il nome generico. Se invece si dice che ho comprato il giornale il segno sta
identificando un marchio. Alla fine della scorsa lezione abbiamo parlato dello slogan “I’m loving it” della Mc Donald
che di per sé non vuol dire nulla, ma nello spot e abbinata al cibo e il consumatore lo percepisce come marchio del
prodotto anche se può essere che un segno che non abbia in sé valenza di marchio e sia quindi privo di capacità
distintiva. La parola giornale mantiene il suo significato primario ma a seconda del contesto assume un altro significato
distintivo. Quel segno diventa un marchio che identifica un certo imprenditore e servizio. Quali possono essere le
reazioni della legge di fronte a questi eventi?
La posizione fino alla riforma del 1992 era di chiusura perché i cambiamenti e i significati aggiuntivi non interessavano
soprattutto nel momento in cui sono stati registrati. I fatti sopravvenuti non importano, prima non era accettabile il
secondary meaning. Il codice attuale ha scelto una strada diversa che comporta una notevole flessibilità, dando rilievo ai
secondary meaning. Non si è insensibili agli sforzi di marketing e di comunicazione d’impresa che rendono un segno un
marchio. Si ammette un valido marchio anche il segno che non ha inizialmente intrinsecamente capacità distintiva
ma che la acquisisce grazie all’uso che ne ha fatto. Si traduce in due commi dell’art.13 della c.p.i. Anche un segno in
sé privo di capacità distintiva può divenire valido marchio se acquista questa capacità distintiva a seguito dell’uso che ne
è stato fatto (art. 13, commi 2 e 3, c.p.i.). L’uso di un segno come marchio porta il consumatore a percepire il segno anche
come una indicazione di provenienza del prodotto o servizio dal soggetto che ne ha fatto uso. È onere del titolare provare
l’acquisto di capacità distintiva. L’ipotesi del terzo comma riguarda un marchio che è stato registrato anche se al momento
del deposito non aveva capacità distintiva (che dovrebbe essere esaminata presso gli uffici quando viene depositata la
domanda) in sé sarebbe un marchio nullo perché al momento della domanda non ha capacità distintiva. In corso d’opera
il segno acquisisce la capacità distintiva, dopo la registrazione. La legge dice che in questo caso il marchio non può più
essere dichiarato e considerato nullo se ha acquisito la capacità distintiva prima che un soggetto faccia valere davanti al
giudice la nullità del marchio.
Esempio. Marchio registrato nel 2011 senza capacità distintiva, oggi nel 2015 un titolare fa causa di nullità. Il giudice, se
il marchio prima della domanda di nullità ha acquistato capacità la distintiva, non considera che all’atto della registrazione
non la avesse ma considera quando è stata fatta l’eccezione di invalidità in giudizio. È una norma molto importante nel
senso che evita di irrigidire e cristallizzare la situazione, rende flessibile e tiene conto della percezione del pubblico e
degli sforzi imprenditoriali di promozione e costruzione di avviamento del segno nella ordinaria attività. La norma, infatti,
è molto aperta. Mediante le indagini di mercato si valuta il grado di riconoscimento del marchio dei consumatori di
riferimento. Se almeno una frazione significativa riconosce il marchio si reputa che sia acquisito come marchio. Lascia al
giudice la valutazione caso per caso, la giurisprudenza non fissa delle %. In Italia non è percepito molto bene perché
spesso sono stati costruite delle indagini di mercato ad hoc per riconoscere come marchio. Se queste indagini sono fatte
in maniera decorosa sono lo strumento principe per riconoscere il segno come marchio.
Si guarda altresì la quota di mercato, gli investimenti fatti in pubblicità, per quanto tempo il marchio è stato sul mercato.
È interessante una affermazione della giurisprudenza avvenuta presso il tribunale di prima istanza dell’unione europea
che mette l’accento sull’aspetto della comunicazione d’impresa nei casi in cui l’acquisto del carattere distintivo è dato da
uno sforzo economico del titolare e giustifica che vengano meno le considerazioni che avrebbero escluso il segno d