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Solo se il segno è di per sé idoneo a svolgere la funzione distintiva dell’origine
imprenditoriale dei beni contrassegnati, è possibile ipotizzare che il segno acceda alla
tutela specializzata. Se un segno non sia neppur astrattamente idoneo a svolgere una
funzione distintiva ricorre l’impedimento assoluto alla registrazione. Si può desumere il
principio dell’estraneità del marchio dal prodotto. Perché un’entità svolga una funzione
distintiva occorre che essa sia connessa al bene cui si riferisce ma al contempo che
essa sia almeno concettualmente separabile da esso senza che la natura di
quest’ultimo sia modificata quando si prescinda dall’entità-segno. Se così non fosse, il
marchio non sarebbe più segno distintivo ma componente intrinseco del bene. Ciò non
significa che il marchio debba consistere in una componente materialmente staccabile
dal prodotto: un’etichetta, adesivo. Significa che l’entità deve valere ad individuare
all’interno di quella classe di prodotti non una sottoclasse dotata di una particolare
caratteristica merceologica ma una sottoclasse individuata in funzione dell’origine
degli esemplari così contrassegnati da un’impresa piuttosto che un’altra. Sono
registrabili come marchi anche sequenze di suoni ad es. i jingles, ed anche il celebre
tema musicale beethoviano “per elisa”, che è rappresentabile con precisione su di uno
spartito musicale. Una considerazione particolare merita la questione della
registrabilità come marchio di tre entità: i colori, le lettere e le cifre. Le combinazioni e
tonalità cromatiche ed i colori sono considerati registrabili come marchi. Non vi è
ragione per consentire ad un particolare operatore di monopolizzare per la sua
produzione un colore base. Diverso è il caso in cui il prodotto si presenti come
caratterizzato da particolari combinazioni di colori. Ad es. il dentifricio che fuoriesce
dal tubetto con strisce di colore diverso. Non vi è ragione nemmeno di dubitare della
registrabilità come marchio di cifre composte da parecchi numeri (ad es. 4711 per
l’acqua di colonia) o di combinazioni di lettere (ad es. il monogramma JPS per
sigarette). Singole lettere o cifre basse sono da considerarsi liberamente utilizzabili da
chiunque. Esse pertanto in sé non sono appropriabili come marchi ma possono essere
registrate e protette solo nella specificità della loro caratterizzazione grafica, dalla
quale possono ricevere quella capacità distintiva che loro altrimenti mancherebbe.
L’assenza di capacità distintiva
Si è visto che la registrazione come marchio conferisce il monopolio dell’uso del segno
corrispondente in relazione a certe classi di beni e che tale protezione può essere
prolungata indefinitamente, perché la registrazione può essere rinnovata quante volte
il titolare desideri. In questo caso ci si trova al cospetto di un monopolio di durata
illimitata sì, ma riferito solo ai segni, non ai beni e servizi da essi contraddistinti. E in
linea di principio non vi sono ostacoli alla creazione di nuovi segni: le imprese
concorrenti possono creare ed adottare nuove parole e nuove figure in numero infinito.
Il principio ora enunciato non vale incondizionatamente. Non tutte le entità sono
registrabili come marchi, ma solo quelle che siano idonee a distinguere nell’ambito di
un genere merceologico una sottoclasse di beni, individuandoli come provenienti dal
titolare del marchio. Vi è poi una ragione specifica per impedire che un segno privo di
capacità distintiva, come ad es. è nel caso di una denominazione generica, sia
registrato come marchio. Se una parola che nel linguaggio merceologico designa una
categoria merceologica (ad es. miele) potesse essere appropriata come marchio da un
solo operatore, tutti gli altri soggetti sarebbero costretti a ricorrere a locuzioni goffe
(alimento dolce prodotto dalle api?) per descrivere il bene da essi prodotto. Essi
sarebbero quindi svantaggiati: la loro comunicazione risulterebbe meno efficace e più
costosa del titolare del marchio. Per queste ragioni non si dà registrazione di marchio
se non vi sia capacità distintiva. Il diritto europeo ci dice che possono esistere segni
che, pur rientrando in astratto nella definizione di marchio, possono essere privi di
carattere distintivo. Si tratta in questo caso di condurre una verifica che va di volta in
volta ragguagliata ai beni destinati ad essere contraddistinti dal segno. Questo
accertamento ha soprattutto ragione di essere quando la registrazione abbia per
oggetto segni nuovi, come è nel caso degli odori, dei suoni, dei colori e della forma del
prodotto o della confezione. Infatti mentre il pubblico è abituato a percepire i segni
denominativi e figurativi come indicazione della provenienza dei beni, lo stesso non si
può asserire quando si trovi di fronte ad un colore, ad un odore, ad uno slogan
promozionale, a suoni. In questi casi si tratta di far riferimento alla percezione del
pubblico per verificare se esso percepisca tali entità come caratteristiche del bene o
come indicazioni della sua provenienza da una certa impresa. L’accertamento
corrispondente va compiuto, facendo riferimento di regola ad un parametro medio di
consumatore, normalmente informato. Perché l’entità sia ritenuta dotata di carattere
distintivo non è richiesto un grado particolarmente elevato di originalità, creatività, per
le forme però è richiesto che esse si discostino in misura significativa dalla
configurazione abituale del prodotto.
Marchi di fantasia = è possibile usare come segni parole o disegni totalmente di
fantasia (ad es. la parola fanta) o quado si scelga un segno che pur avendo nel
linguaggio comune un proprio significato, non presenti aderenza con il bene
contraddistinto (ad es. puma).
Marchi espressivi = nascono dall’esigenza di evocare nel pubblico delle
caratteristiche del prodotto. Così la parola comune può essere alterata, combinata
altre (ad es. bergasol per contraddistinguere una crema solare al bergamotto).
Marchi geografici = il nome di una località geografica è considerato indicazione
descrittiva se richiama anche solo potenzialmente aspetti rilevanti per le
caratteristiche del bene. Per gli agrumi la provenienza geografica da una località
siciliana è descrittiva di u carattere merceologicamente rilevante, per il cuoio potrà
essere altrettanto rilevante la provenienza da una zona della toscana. Queste ipotesi
contengono u divieto di registrazione come marchio individuale, ma il precetto
consente la registrazione come marchio collettivo. Può essere però che il toponimo sia
prescelto solo come nome di fantasia e non perché il bene vi sia prodotto. Se il nome
non abbia alcuna influenza sulle caratteristiche qualitative del bene, non vi è nessun
ostacolo alla sua registrazione come marchio. Il segno “cortina” può essere registrato
per una marca di sigarette, la parola “montblanc” per penne. Vi sono però altre
fattispecie: quelle in cui il segno faccia credere che il bene provenga da una località
diversa da quella in cui è effettivamente prodotto. In questo caso l’impedimento alla
registrazione proviene dal divieto di segni ingannevoli.
Segni divenuti di uso comune = vi sono parole o figure che con il tempo hanno
finito per venire associate ad intere classi di beni, si pensi all’uso generalizzato della
croce per i farmaci e gli articoli sanitari, della saetta per i dispositivi elettrici, pur non
essendo esse descrittive di loro caratteristiche. Proprio perché si tratta di segni che
non sono idonei a differenziare la produzione dell’impresa X da quella dell’impresa Y
ma divenuti di uso generale per quel genere di beni, essi non sono appropriabili in via
esclusiva da nessun imprenditore.
Perdita della capacità distintiva = l’impiego del marchio della cui registrazione si
tratta, si snoda lungo un certo periodo di tempo, le vicende antecedenti e anche
successive alla domanda di registrazione possono divenire rilevanti per valutare la
capacità distintiva del marchio. A questo riguardo la legge prevede due fenomeni fra
di loro opposti e simmetrici: il secondary meaning e la volgarizzazione.
- Secondary meaning = può essere che al momento della domanda di
registrazione un segno abbia un significato generico. Tuttavia, esso può essere
validamente registrato in due ipotesi: quella in cui, in seguito all’uso del segno
fatto dal registrante prima della domanda, il segno medesimo abbia acquistato,
oltre suo significato generico, anche uno specifico carattere distintivo di
riferimento all’impresa titolare e quella in cui addirittura il segno inizialmente, al
momento della domanda, manchi del tutto di carattere distintivo ma questo
venga acquistato in un momento successivo ma anteriore alla data in cui un
terzo abbia richiesto la declaratoria della nullità della registrazione. (ad es. “il
giornale” fondato da Montanelli). Il titolare potrà assolvere l’onere della prova,
che su di lui incombe solo egli dimostri che sia mutata la percezione che il
pubblico ha del segno e questa evidenza può essere raggiunta attraverso lo
strumento delle indagini demografiche.
- La volgarizzazione = un marchio dotato di capacità distintiva al momento
della registrazione, può progressivamente assumere il significato di
denominazione generica che designa l’intera classe dei beni, oppure può anche
perdere la capacità distintiva di cui esso fosse inizialmente dotato. Il fenomeno
sembra interessare i prodotti nuovi e brevettati. Per un certo periodo questi
sono protetti da una privativa industriale, e finchè solo il titolare dell’esclusiva
di produzione offre sul mercato il bene in questione, non si profilano difficoltà.
Queste insorgono quando la privativa viene a scadere e sul mercato insorgono
altri fabbricanti: e se fosse loro impedito di ricorrere al segno anche quando
questo fosse nel frattempo divenuto esclusivamente denominazione generica
del prodotto, essi subirebbero uno svantaggio concorrenziale ingiustificato.
Stessa sorte tocca a un marchio che pur riferendosi ad un prodotto brevettato,
raccolga tanto successo fra il pubblico da finire per designare per antonomasia
quel tipo di prodotto. In entrambi i casi la legge dispone la decadenza del
marchio per volgarizzazione. Non si dà oggi decadenza per volgarizzazione se il
segno non sia divenuto denominazione generica per il fatto dell’attività o
inattività del titolare. Per evitare la decadenza per propria attività il titolare deve
ora avere cura, specie quando lanci sul mercato un nuovo pro