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OMOLOGAZIONE
Il piano una volta raggiunto l’approvazione della legge è sottoposto
all’omologazione del tribunale. Il piano può avere tanti contenuti molto diversi
tra di loro e consente di intervenire sulla struttura dell’impresa e stesso del
capitale. Un modo per abbassare l’entità del passivo è quello di attribuire ai
creditori anziché cash quindi denaro, le partecipazioni del capitale. C’è rischio,
ma anche possibilità di successo.
Nell’omologare il piano il giudice non entra nel merito, nel contenuto del piano
che effettivamente consente il recupero dell’equilibrio della procedura, ma si
limita a prenderne atto. Qualora uno o più creditori impugnano la procedura di
omologazione, il giudice valuta anche la convenienza, ma è un giudizio che ha
un parametro chiaro, perché può comunque omologare il piano malgrado
l’opposizione se questo garantisce ai creditori dissenzienti un trattamento non
inferiore rispetto a quelle altre trattative applicabili. Il ruolo del giudice non è
gestorio, ma è quello di garantire il rispetto della legge.
LE RIFORME RECENTI
Una riforma importante del 2005-2006 il cui obiettivo è stato quello di
riformare, di trovare un equilibrio tra tutela ex ante, quindi tutela molto
sbilanciata a favore dei creditori, e l’efficienza ex post, che guarda all’obiettivo
della massimizzazione del valore consentendo un’allocazione delle risorse. Per
migliorare una possibilità di scelta tra le soluzioni che possono meglio
perseguire questi due obiettivi; il primo principio è stato quello di attribuire
maggiore spazio all’autonomia negoziale, cioè di un maggior potere dei
creditori e di un progressivo arretramento della figura del giudice, una scrittura
del concordato preventivo perché è sparito quel giudizio di meritevolezza
dell’imprenditore, la possibilità di attivare la procedura anche senza avere un
piano con la possibilità di averlo successivamente, questo strumento per cui si
approva anche in presenza di minoranza e dissenzienti di creditori e da ultimo
con una proposta approvata nel 2015, la possibilità per i creditori di presentare
proposte concorrenti rispetto a quella del creditore.
Abbiamo detto che la guida della scelta se attivare la procedura rimane in capo
al debitore proprietario dell’impresa, il problema però in molti casi è che poiché
il debitore è quello che ha le informazioni ed anche quello che può occultarle
per estrarne surplus a vantaggio dei creditori, ad esempio può presentare un
falso attivo di bilancio per far fare maggior sacrifici ai creditori e tenere una
parte di valore per se, è chiaro che se solo i creditori hanno in mano la
situazione, i debitori possono solo prendere o lasciare non possono arrivare ad
un piano. L’idea è stata quella di consentire ai creditori difronte ad un pino che
non li soddisfi di presentare un piano concorrente, ma per presentarlo devono
avere delle informazioni adeguate e essere messi in grado di leggere la
documentazione dell’impresa e infatti possono fare un’istanza, questa
possibilità però non è sempre consentita. La salvaguardia che si è prevista è
quella che scappa dalla possibilità di proposte concorrenti se il debitore non
promuove almeno un certo ammontare di soddisfacimento dei crediti pari al
40% se si tratta di un concordato liquidatorio o 30% se si tratta di un
concordato in continuità.
Qui è importante una distinzione: Il concordato che mira al superamento della
crisi, ma essenzialmente ad una liquidazione dell’impresa, solo che è una
liquidazione fatta nell’accordo delle parti e un concordato in continuità che è la
soluzione favorita dal legislatore cioè l’idea è che il processo di ristrutturazione
ha senso soltanto se l’obiettivo è quello di una continuazione dell’impresa in
capo al debitore originario. In realtà l’esperienza concreta hanno dimostrato
che nella pratica valgono i concordati liquidatori. I concordati liquidatori che
spesso danno luogo a un soddisfacimento limitato delle pretese dei creditori, il
problema è che qui l’impresa non da via alla procedura concordata di
ristrutturazione per tempo, riducendo così il valore dell’impresa, e quindi
l’unica soluzione possibile è quella del concordato liquidatorio in cui i creditori
accettano un sacrificio, ma si procede comunque alla liquidazione d’impresa.
Le recenti riforme questo istituto verrà ridotto nella sua applicazione. Per
quanto riguarda l’insolvenza dei debitori abbiamo visto che anche il fallimento
è stato già rivoluzionato da questo punto di vista, non soltanto perché sono
state attuate le sanzioni in precedenza, ma anche perché è stato attivato un
nuovo istituto che gli americani chiamano fresh start.
Nel nostro istituto si chiama processo di esdebitazione e ha lo scopo principale
di favorire l’assunzione del rischio imprenditoriale, perché quello che
succedeva in passato con la vecchia procedura è che al termine ripartito il
ricavato della vendita dell’attivo tra i creditori quei creditori che rimanevano
insoddisfatti conservavano intatte le proprie ragioni nei confronti dei debitori,
quindi una volta raggiunta la procedura potevano continuare ad aggradire il
patrimonio e questo scoraggia l’iniziativa economica.
Con l’istituito dell’esdebitazione il debitore che però soddisfa alcuni requisiti, in
particolare deve essere un debitore che ha collaborato in modo attivo con gli
organi della procedura, che non ha occultato o falsificato parte dell’attiva, che
non abbia voluto l’esdebitazione nei 10 anni anteriori. Solo il debitore che ha
questi requisiti può accedere, facendo un’istanza al tribunale, all’esdebitazione.
Questo comporta una liberazione integrale dei debiti presenti e una possibilità
di intraprendere delle nuove iniziative.
Quanto alla efficienza ex post. Un aspetto importante di cui si è occupato la
precedente riforma, è quello di semplificare la procedura fallimentare ed anche
di ridurne i costi e di promuovere il maggior ricavato possibile. Varie sono le
norme proposte al riguardo, norme soprattutto quella del 2015 relativa alla
riduzione dei tempi di procedura e la volontà di migliorare il recupero dei
creditori diviene un approccio più di mercato rispetto alle vendite. Questo vale
per una procedura fallimentare attraverso l’introduzione di possibilità di
delegare le vendite a soggetti privati: avvocati e notai, e questo fa si che
possano eseguire delle procedure più snelle dell’asta fallimentare che produce
un deprezzamento dei beni. Quindi questo è nell’ottica di massimizzazione del
valore. Ma anche nella procedura di concordato preventivo sono state
introdotte delle misure che consentono delle offerte concorrenti che è una cosa
diversa dalle proposte concorrenti. Le proposte concorrenti riguardano la
possibilità di presentare dei piani di ristrutturazione in alternativa a quello
proposto dal debitore, mentre l’offerta concorrente riguarda il processo di
vendita, perché quello che succedeva in passato è che il creditore presentava
un piano concordatario con una parziale cessione e riduzione dell’attività con
un’offerta già chiusa. Questo agevola, ma potrebbe escludere dalla
partecipazione alla procedura soggetti che potrebbero offrire di più rispetto a
quanto offre il soggetto individuato.
Il tribunale può aprire un’asta competitiva dove possono partecipare altri
soggetti di mercato, qualora ritenga che si possa offrire di più. La
massimizzazione del valore è sempre il punto principale.
È stato inoltre dato maggiore spazio agli accordi stragiudiziali, abbiamo detto
che un’ipotesi della crisi è quella fatta in via negoziale con l’accordo fra debitori
e creditori, gli accordi sono difficili quando ci sono accordi con i quali
interloquire, ma quello che la legge ora offre dopo aver riformato le procedure
è quello di dare una certa stabilità agli accordi stessi.
Sarà introdotta poi una disciplina per i rapporti di ristrutturazione che non sono
vincolanti per i creditori dissenzienti, ma che consentono una composizione
della crisi con un rilevante numero di creditori, e se l’accordo raggiunto viene
poi omologato dal tribunale questo è un accordo stabile che ha effetto anche
sugli altri in quanto vincola alcune risorse pur non determinando nessun
obbligo. 22:40
Questo quadro notevolmente migliorato ha prodotto degli effetti positivi che
non è semplicissimo valutare in concreto, ma si è visto che rispetto al passato
sono aumentate le procedure di ristrutturazione e si è avuto un incremento non
sostanziale degli accordi di ristrutturazione, ma una contrazione sembra essersi
rilevata nella durata delle procedure che in realtà ci vedono ancora in una
posizione ancora svantaggiosa rispetto ad altri paesi. In Italia la procedura
fallimentare ha una durata di 6 anni. Probabilmente gli effetti ancora non sono
totalmente percepibili, perché non ci sono dati per poter valutare
appropiatamente il termine delle procedure, perché soprattutto se guardiamo
alle procedure di ristrutturazione ciò che occorre far capire, per vedere se la
ristrutturazione è andata in porto è anche vedere la capacità di sopravvivenza
dell’impresa dopo che si è chiusa la procedura.
La banca d’Italia sta effettuando delle indagini sotto questo punto di vista. Si è
però in una fase di assestamento perché molte delle riforme più possono avere
impatto sulla buona performance delle procedure sono collegabili agli anni
2012- 2015 quindi è ancora difficile vederli in concreto. Sul piano delle regole
però i rapporti internazionali ci hanno riconosciuto di aver fatto degli sforzi
importanti, in particolare c’è un rapporto “doing business” quello pubblicato
dalla banca mondiale che guarda in particolare a quanto è favorevole il sistema
economico di un paese rispetto a fare impresa in quel paese. Tutto questo per
dire che una buona normativa fallimentare è davvero una normativa
essenziale, proprio per valutare la capacità di un paese di attrarre investimenti
e imprese nel suo ambito.
L’importanza della normativa fallimentare. Si è visto quanto questa conti nei
periodi di crisi, perché nel periodo ad esempio della crisi finanziaria globale del
2009 che ha caratterizzato il mercato finanziario e le banche, è chiaro c