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JURISPRUDENCE.
3.2.1. Dalla Science of Legislation di Jeremy Bentham alla Jurisprudence di John
Austin (Pag.191-201)
Jeremy Bentham, tra Settecento e Ottocento, fu il primo anglosassone sistematizzare il
diritto, che considerava carattere distintivo della moderna scienza giuridica. Mise a
punto quello che definiva il pannomion: un sistema legale in cui non vi è nessuna zona
d’ombra, niente è privo di regole applicabili. Questo progetto si sarebbe dovuto
sostanziare in una ponderosa opera di codificazione. Egli, al pari di Hobbes, si schierò
nella fazione che affidava al sovrano politico il ruolo di master, affermando che i giuristi
non erano stati incapaci di dar vita ad un ordinamento caratterizzato da chiarezza,
sistematicità, completezza. La teoria di Austin (il quale voleva liberare il diritto dalla
tradizionale commistione con religione e morale) era molto simile a quella di Bentham,
nelle quali i punti principali erano l’utilitarismo e il positivismo, con la netta distinzione
tra il diritto vigente e quello che “dovrebbe essere”. Inoltre, Bentham portava avanti tale
teoria riferendosi al termine “law”, unico nella lingua inglese, che quindi indicava sia il
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diritto quanto la legge, e dunque il diritto è un insieme di leggi, cioè di comandi
consapevolmente posti da un legislatore umano. Muovendo dalle tesi giuspositivistiche
di Bentham, Austin intendeva elaborare una rigorosa scienza giuridica che, come le
scienza naturali, si fondasse sull’osservazione empirica e fosse caratterizzata da un
apparato sistematico. Per far questo era necessaria la riduzione della dimensione
normativa del diritto a un dato fattuale, i termini giuridici normativi in un linguaggio
descrittivo, dove il fulcro era la nozione di “comando”. Comando che deve essere
seguito, pena una “sanzione”, che sottoscrive un “dovere” di soggettivarsi all’inflazione
di un male per la sua disobbedienza. Una volta fondato empiricamente lo studio del
diritto, egli sviluppa la sistematizzazione concettuale delle norme per genus e
differentiam, che costituisce il perno di The Province of Jurisprudence Determined.
Austin distingue il diritto positivo da quello “divino” e dalla “morale positiva”. Il primo
si caratterizza per essere emanato da un soggetto umano superiore, il sovrano di una
società politica indipendente. La sovranità è caratterizzata da due tratti distintivi: la
società, il popolo, è unitamente sottomesso o riconosce l’obbedienza del sovrano, e
questi non risponde a nessuno sopra di sé. Il diritto positivo, l’insieme delle leggi
propriamente dette, vero oggetto delle Jurisprudence austiniana, è dunque l’insieme dei
comandi rivolti dal sovrano ai membri di una comunità, che obbligano a tenere un
determinato comportamento e che espongono a ricevere una sanzione in caso di
violazione di questo. Le “leggi divine”, invece, sono leggi, in senso proprio, in quanto
comandi, ma non sono un prodotto umano, ed essendo formate per utilità generale, sono
un facile strumento per valutare le norme del diritto positivo e come dovrebbero essere.
La “moralità positiva”, infine, è l’insieme dei comandi veri e propri, non emessi dal
sovrano e non previsti di sanzione, e di semplici consuetudini, prodotte dai consociati e
sanzionate con la disapprovazione sociale. In essa sono presenti norme morali in senso
ordinario ma anche altre, come le “leggi dell’onore”, dei club, ma soprattutto il diritto
internazionale e costituzionale. Bentham, a di Austin, criticava il diritto vigente,
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utilizzandolo come principio per vedere come il diritto “dovrebbe essere”, e si rivolgeva
ai legislatori non ai giuristi. Egli, si diceva, “teorizzava sulla legislazione”, in quanto
dolore e piacere dell’uomo sarebbero potuti essere calcolati in un felicific calculus, qual
chiave per una “scienza della legislazione” (Austin segue la “scienza del diritto”). La
materia di Austin era la giurisprudenza, quella di Bentham la legislazione. La
distinzione dell’opera di Austin da quella di Bentham tende a collocare le tesi di
quest’ultimo in un tempo remoto, nel quale si necessitava ancora di un’opera distruttiva
e non costruttiva; mentre nella seconda metà dell’Ottocento serviva un’opera costruttiva
(tipica di Austin). La giurisprudenza espositiva di Austin e quella censoria di Bentham
vennero così distinte teoricamente e alla Jurisprudenze austiniana fu riconosciuta la
supremazia sulla giurisprudenza censoria e questo significò che alle forme giuridiche fu
riconosciuto un primato rispetto ai contenuti normativi del diritto. Maine afferma che
Bentham si occupa del diritto come potrebbe e dovrebbe essere, Austin si occupa del
diritto come è. La differenza principale fra Bentham e Austin era che questi non
demonizzò il common law, ma ne fece la base per sviluppare l’opera di sistemazione
concettuale.
3.2.2. I fondamenti del paradigma moderno del common law (Pag.202-212)
Austin si interessò allo studio teorico del diritto positivo. La scienza che definiva
General Jurisprudence consisteva nello studio comparativo dei sistemi legali al fine di
scoprire i principi che stavano alla loro base. Austin però afferma che alcuni principi,
oggetto della giurisprudenza generale, sono considerati necessari, perché sono gli
elementi costitutivi di ogni sistema giuridico. Sull’astrazione e l’analisi di tali principi,
afferma Mill, si pone il merito della Jurisprudence, le quali nozioni chiave non devono
essere relativizzate né storicizzate. Hart disse, al riguardo, che egli inconsapevolmente si
avvicinava alle dottrine giusnaturaliste che disprezzava. La scuola storica, che si
sviluppò insieme all’approccio austiniano, con apogeo tra il 1889 e il 1914, tra i cui
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esponenti vi erano Pollock, Maine, Bryce, rappresentarono l’alternativa a Austin e
Bentham; ma pur criticando il suo utilizzare finzioni per garantire la continuità, non
misero mai in discussione l’impresa giuridica di Austin. Bentham e Austin sono vicini,
con il loro progetto, a quello di Blackstone (che Bentham colloca sullo stesso piano di
Austin), che raccomanda lo studio del diritto romano e naturale in relazione al nostro
diritto. Il carettere “naturale” era essenziale a tutti e tre, permettendo di presentare le
diverse teorie giuridiche come espressione di una logica sovra-storica, così permettendo
la continuità delle forme, mettendo in secondo piano il contenuto. L’idea di Austin si
basava sul fatto che il common law si adatta ai cambiamenti sociali, senza bisogno di un
ricorso alla produzione legislativa. Questo atteggiamento permise la penetrazione delle
idee austiniane nel mondo inglese che, ruotando da secoli attorno alle decisioni dei
tribunali, aveva reso avvocati e giudici refrattari sia alla teoria imperativistica del diritto,
sia alla codificazione. Bentham e Austin vanno però contro di lui nella tesi classica cui i
giudici compiono una mera dichiarazione di consuetudini preesistenti. In The Province
of Jurisprudence Determined, Austin parla della “oscura teoria” dei giuristi tedeschi,
secondo cui le norme del diritto consuetudinario obbligano giuridicamente, a
prescindere dal sovrano o dallo Stato, per il solo fatto che i cittadini le osservano e le
rispettano; perché rese effettive dalle Corti, anche se esisterebbero anche soltanto perché
i sovrani le adottano spontaneamente. Quello che rende oscura questa teoria è il fatto che
le norme consuetudinarie non sono il prodotto del sovrano o dello Stato, ma sarebbero
diritto positivo, e questo è per lui inconcepibile. Dovrebbe essere qualcosa di miracoloso
fatto da nessuno, ma Austin inserisce il common law in una concezione rigorosamente
giuspositivistica, che assume il diritto esclusivamente come un prodotto umano.
Bentham eliminerebbe totalmente il diritto giurisprudenziale, ma sebbene non
concepisca questa sua visione (Austin) è d’accordo al che le decisioni dei giudici siano
creatrici diritto in senso stretto. La teoria di Austin si basa su due presupposti: da un lato
il diritto consuetudinario, pur non essendo diritto positivo in quanto non è prodotto del
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sovrano, è imperativo; dall’altro, tutto il diritto di creazione giudiziale che, pur prodotto
dalle Corti, è riconducibile, attraverso queste, al Sovrano o allo Stato. Il diritto sorge
dunque dalla consuetudine (o moralità positiva), passa per una riformulazione giudiziale
e in fase successiva diviene diritto vero e proprio. Secondo la teoria classica, il diritto,
nella fase consuetudinaria, deriva dai consociati; nella fase giudiziale, viene dichiarato e
non creato dalle Corti. La consuetudine, essendo una regola di condotta che i cittadini
osservano spontaneamente, e non in esecuzione di una legge, si trasforma in diritto
positivo, quando viene fornita di sanzione e viene adottata dalle Corti. In questo modo la
teoria di Austin e quella dottrina classica del common law vedono annullata la loro
distanza. Mentre per Blackstone, Hale e Coke, il common law era applicato dai giudici
in quanto consuetudini giuridiche, per Austn i giudici ricevono in diritto le consuetudini
pregiuridiche, e cioè le norme che si trovano nella moralità positiva. Austin, inoltre,
riprendendo le tesi hobbesiane, eleva le norme del common law allo stesso rango
formale di quelle legislative. Il diritto giudiziale diviene così diritto positivo a pieno
titolo. L’unica differenza sta nel fatto che, mentre lo statute law si caratterizza per la
statuizione discrezionale di una regola generale, il common law consiste in decisioni
giudiziali, dalle quali si estrae una ratio decidendi applicabile ai casi. Austin, che
cercava di rendere positivo (ma non legicentrico) il common law, pur dovendo
abbandonare alcune sue premesse, come la centralità del sovrano; cosa che però non
riuscì a fare. Il nuovo paradigma era un complesso miscuglio di razionalità e
irrazionalità.
3.2.3. Il College austiniano: i giuristi accademici e la scienza del diritto (Pag.213-
228)
Grazie ad Austin l’analisi e la sistemazione concettuale del diritto divenne la ragion
d’essere dell’insegnamento giuridico e dello studio accademico del diritto in Inghilterra,
promosse dalle idee austiniane. La Jurisprudence non era vista come “sapere giuridico”
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ma come disciplina che permetteva l’analisi ai principi fondamentali per
l’organizzazione del materiale giuridico. Essa, inoltre, servì a legittimare la nuova figura
di giurista accademico, i quali si prefissavano di superare “il caso e l’oscurità”,
mostrando che il diritto