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Seul (1988) quando il CIO ha sancito nella Carta Olimpica la necessità di una lotta contro il doping a livello
mondiale. Si è assistito ad una sensibilizzazione delle Federazioni sportive che si sono attrezzate a
combattere il doping definendo in modo uniforme e congiunto quali fossero le condotte vietate e le
procedure per i controlli antidoping. Successivamente si è mosso nello stesso senso anche il Consiglio
dell'UE: nel 1989 venne emanata la convenzione di Strasburgo, recepita in Italia nel 1995 con la legge
numero 522. Fino al 1995 in Italia c'era un solo riferimento normativo che veniva utilizzato in materia di
sostanze dopanti: la legge 401/1989 puniva il compimento di atti fraudolenti (atti vietati, commessi in
modo artificioso, con raggiri) per raggiungere un risultato diverso da quello che sarebbe derivato da un
corretto e leale svolgimento della gara. Con la convenzione di Strasburgo, gli Stati contraenti furono
vincolati ad attuare un'azione congiunta per contrastare il doping a livello europeo, adottando delle misure
per sanzionare l'utilizzo dei metodi vietati. Tutti gli Stati si sono impegnati ad erogare sovvenzioni
pubbliche soltanto agli enti che si uniformassero alla normativa antidoping. Gli Stati contraenti si sono
impegnati nella realizzazione di campagne di informazione sui rischi sulla salute derivanti dall'utilizzo di
sostanze dopanti. Venne previsto anche il rafforzamento delle strutture per i controlli antidoping, con
parallelo incremento delle sanzioni.
Il CIO vieta e punisce l'utilizzo non di singole sostanze, ma di classi di sostanze (così come la WADA); le
singole sostanze sono elencate solo a titolo esemplificativo. Questo per evitare di aggiornare
frequentemente la lista delle sostanze vietate: se vengono trovate delle nuove sostanze non è necessario
aggiornare l'elenco dei farmaci vietati.
Nel 2007 è stata ratificata in Italia la convenzione dell'UNESCU adottata a Parigi nel 2005 avente ad oggetto
la prevenzione e la lotta del doping nello sport. Questa convenzione ha come obiettivo il potenziamento
della cooperazione internazionale nella lotta al doping; vengono elaborati dei codici deontologici di
condotta contro il doping, stimolando la ricerca e tutte le attività volte alla sua repressione in ambito
europeo.
Il processo disciplinare si svolge dinnanzi agli organi sportivi, secondo le regole del mondo sportivo. Il
procedimento per accertare una fattispecie di doping come valevole di reato si svolge dinnanzi la giustizia
ordinaria. Il procedimento disciplinare potrebbe chiudersi con la condanna dell'atleta mentre il
procedimento penale può anche essere archiviato (mentre non può avvenire il contrario). La valenza
dell'illecito disciplinare è estesa a livello mondiale. La tenuta di comportamenti illeciti in ambito doping non
sussiste necessariamente reato. In Italia, la legge sul doping risale al 2000 (legge 376). In assenza di una
normativa statale in materia di doping, alcuni giudici riconducevano l'intervento contro comportamenti in
ambito doping alla legge 401/1989 (che puniva il compimento di atti fraudolenti (atti vietati, commessi in
modo artificioso, con raggiri) per raggiungere un risultato diverso da quello che sarebbe derivato da un
corretto e leale svolgimento della gara).
La legge 1099/1971 riguarda la tutela sanitaria in ambito sportivo: questo fu il primo tentativo legislativo
per contrastare il fenomeno del doping. Con questa legge veniva sanzionato il rifiuto di sottoporsi al
controllo antidoping (unica condotta vietata), prima o dopo la gara, con una ammenda (sanzione inflitta
nel caso di commissione di un reato). Nel 1981 alcuni reati meno gravi vennero depenalizzati (sottratti
dall'ambito penalistico), rientrando nella categoria degli illeciti amministrativi. Tra questi comportamenti
depenalizzati rientrava anche la previsione in materia di doping (il rifiuto di sottoporsi ai controlli
antidoping). Il legislatore ha reputato opportuno introdurre una legge nazionale che puniva il doping come
reato (il quale, essendo tipico, deve essere espressamente previsto dalla legge). La legge di riferimento è la
legge 376/2000 del 14 dicembre: questa legge ha introdotto il reato di doping che può manifestarsi in una
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Appunti diritto dello sport – regolamentazione giuridica dell’evento sportivo Nardi Alessandro
pluralità di condotte. Il bene tutelato è la salute individuale e collettiva. La legge mira alla prevenzione dei
danni da parte del doping (tutela anticipata); il danno alla salute derivante dalle condotte punibili risulta
una aggravante. All'articolo 1, la legge chiarisce espressamente che l'attività sportiva è diretta alla
promozione della salute individuale e collettiva. La legge definisce il doping come la somministrazione,
l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, l'adozione o la
sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche finalizzate e idonee a
modificare le condizioni psicofisiche e le prestazioni agonistiche degli atleti. L'autoemotrasfusione è una
delle pratiche mediche vietate dalla legge antidoping che spesso non è giustificata da condizioni mediche.
Nel caso di condizioni patologiche dell'atleta (caso in cui sussiste la necessità di assumere le sostanze
considerate dopanti) non può essere impedita l'assunzione della sostanza dopante; non si può prescindere
dalla salute. C'è un rapporto di equilibrio tra l'esigenza di prevenzione del doping e la tutela della salute
dell'atleta: se l'atleta necessita di determinate sostanze o trattamenti è necessario che le condizioni di
salute siano documentate dal medico, il quale certifica sia le condizioni patologiche dell'atleta sia il bisogno
dell'atleta dei farmaci. Quest'ultimo ha l'obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti i
documenti della diagnosi medica. Il CONI richiede che, oltre ad un certificato attestante le condizioni
patologiche e indicante il piano terapeutico specifico dell'atleta, questo debba avere la cosiddetta TUE,
l'autorizzazione di esenzione a fini terapeutici: solo in questo caso l'atleta può assumere la sostanza
discriminata senza incorrere in sanzioni. L'autorizzazione viene chiesta al CEFT (comitato per l'esenzione a
fini terapeutici) e viene concessa al termine di un iter rigoroso. Il solo possesso del certificato medico aiuta
l'atleta ad evitare di incorrere nella commissione del reato, ma non lo scagiona per il caso di illecito
disciplinare in quanto necessita dell'autorizzazione del CEFT.
La legge del 2000 ha introdotto un organismo prima inesistente: all'articolo 3 viene prevista l'istituzione
della commissione per la vigilanza e per il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività
sportive. Questo organismo è istituito presso il ministero della sanità ed ha una composizione molto
eterogenea; in particolare è composto da rappresentanti del mondo sportivo, dell'ambiente medico e dei
ministeri. I compiti della commissione sono:
Individuare i farmaci, o meglio le classi di sostanze biologicamente e farmacologicamente attive, e le
pratiche mediche che costituiscono doping, includendole in tabelle pubblicate in un decreto del
ministro della sanità e in un decreto del ministro dei beni e delle attività culturali;
Svolgere attività di ricerca sui farmaci che vengono assunti come doping, studiando l'evoluzione del
fenomeno;
Concludere convenzioni con laboratori accreditati dal CIO per i controlli antidoping. In Italia, il
laboratorio accreditato per effettuare i controlli, è il laboratorio del CONI di Roma.
Un altro articolo importante della legge 376/2000 è l'articolo 6: questo prevede che il CONI, le Federazioni,
le società e le associazioni sportive devono adeguare i regolamenti alle disposizioni della suddetta legge,
prevedendo in particolare le sanzioni e le procedure disciplinari per i tesserati che risultino positivi o che
rifiutino di sottoporsi ai controlli. Il CONI, in attuazione all'articolo 6 della legge 376/2000, ha emanato un
proprio regolamento che vincola tutte le Federazioni sportive nazionali e stabilisce quali sono gli organi
competenti in materia di doping e quali sono i procedimenti che devono essere seguiti per effettuare i
controlli. Gli organi competenti in materia di doping sono organi del CONI e sono il CEFT (comitato per
l'esenzione a fini terapeutici) e l'ufficio di procura antidoping (con funzione ispettiva, svolge le indagini e
formula l'accusa in giudizio). Qualunque condotta legata al doping viene accertata dall'ufficio di procura
antidoping che inizia a svolgere le proprie indagini nel momento in cui gli viene comunicata la positività di
un atleta. I controlli possono essere svolti dalla commissione per la vigilanza e controllo sul doping (nel 20
Appunti diritto dello sport – regolamentazione giuridica dell’evento sportivo Nardi Alessandro
caso di competizioni che non sono organizzate dalle Federazioni e che non hanno valenza nazionale) o dal
CONI, ovviamente a sorpresa. Se l'atleta risulta positivo ai controlli viene sospeso in via cautelare finché
non si conclude il giudizio; potenzialmente potrebbe aver alterato i risultati. L'atleta può chiedere delle
controanalisi per verificare la positività. Se l'atleta risulta positivo anche in seguito alle controanalisi, la
procura rinvia a giudizio. Esiste la possibilità che la procura prosciolga l'atleta che dimostri di essere stato
autorizzato con TUE. Se l'imputato non si presenta davanti alla procura per spiegare la propria posizione
viene sospeso. Se invece collabora a procedimento disciplinare attivato (agevolando l'attività dei giudici
sportivi), ha diritto allo sconto di pena fino ad un terzo. Il procedimento è tenuto davanti al tribunale
nazionale antidoping. Questo ha due sezioni: la prima è per i giudizi in primo grado relativi alle violazioni
meno gravi (accertamenti compiuti dalla commissione per la vigilanza e per il controllo sul doping) e per
procedimenti di rilevanza nazionale, la seconda come organo di appello per i procedimenti passati in prima
sezione (come secondo grado di giudizio) e per i procedimenti di rilevanza internazionale.
Come si svolge il procedimento dei controlli antidoping?
I controlli a sorpresa, prima, durante o dopo la competizione, sono organizzati dalla Commissione per la
vigilanza e per il controllo sul doping quando si tratta di gare che non sono organizzate a livello nazionale
dalle Federazioni (competizioni organizzate a livello locale da organizzazioni che non operano sotto l'egida
del CONI). In tutti gli altri casi, i controlli sono organizzati direttamente dal CONI. I controlli vengono
predisposti e materialmente effettuati da medici tesserati alla Federazione Medico Sportiva. Se l'atleta
risulta p