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TERZA PARTE: LA RADIOTELEVISIONE
Mentre la Stampa nasce su presupposti di libertà privata staccata
dal potere, la nascita della Radiotelevisione può essere facilmente
assimilata alla nascita delle grandi infrastrutture di rete, quali le
ferrovie, per le quali sono state necessarie delle misure di
investimento non alla portata di un privato. Per cui, a differenza del
settore della stampa, quello della radiotelevisione sin dall’inizio ha
visto lo Stato assumere il ruolo non solo di soggetto che detta i
limiti all’esercizio di un diritto di libertà, ma anche e soprattutto
nella veste di soggetto che direttamente assume su di sé il compito
di soddisfare le esigenze individuali e collettive legate all’utilizzo del
mezzo. In Italia la prima legge sula radiodiffusione è la n. 395 del
1910, che all’art. 1 sancisce la riserva esclusiva dello Stato
dell’utilizzo di impianti di radiotrasmissione a distanza e affida
dunque al governo il compito di gestire il nuovo mezzo dal punto di
vista amministrativo, costituendo di fatto le basi di un monopolio
che rimarrà in vigore fino alla metà degli anni ’70: una riserva
dunque per il momento riferita essenzialmente agli aspetti tecnici,
agli impianti e non all’attività di diffusione dei programmi. Nel 1912
viene invece emanata un regio decreto-legge, n.227 del 1912, che
detta la disciplina delle condizioni generali del rapporto concessorio,
in particolare rilascia le prime concessioni alle due società private
più solide e affermate, la Radiofono e la Società italiana
radioaudizioni circolari. Il segnale viene irradiato da un nuovo spazio
di trasmissione: l’etere. Le prime trasmissioni risalgono agli anni ’30
e il primo evento trasmesso per televisione furono le Olimpiadi di
Berlino del 1936; il sistema inglese faceva riferimento a un ente
pubblico chiamato BBC, che iniziò una serie di trasmissioni
sperimentali presto interrotte per l’avvento della Seconda guerra
mondiale, successivamente, ripreso il collegamento, la BBC
annuncia che “si riprenderanno le trasmissioni da dove si erano
interrotte”. Successivamente alla prima legge di radiodiffusione, in
Italia avvengono altri sviluppi durante il periodo fascista:
- nel 1924 viene fondata a Torino l’URI, Unione radiofonica
italiana, a cui si rilasciò esclusivamente una concessione di sei
anni, concernente tanto la gestione degli impianti quanto
l’attività di diffusione dei programmi
- con la legge n. 1350 del 1929 nasce l’EIAR, Ente italiano per le
audizioni radiofoniche, antenato della RAI, che verrò
successivamente ricondotta sotto l’ambito dei poteri dell’IRI,
Istituto per la costruzione industriale. L’atto di concessione
prevede che il Governo abbia piena libertà di decisione,
disponendo del diritto di approvazione governativa del piano
delle trasmissioni e la presenza di membri di nomina
governativa nel consiglio di amministrazione.
- Nel 1944 nasce la RAI, Radio Audizioni italiane, che sostituirà
l’EIAR nel momento in cui scadrà a questa la concessione nel
1952, dopo una concessione venticinquennale.
- Nel 1936 venne formulato un nuovo codice postale. L’ art. 1
del codice risultava incompatibile con l’art. 21 costituzionale,
in particolare con il suo primo comma, così la Corte
costituzionale decise di fugare ogni dubbio a riguardo con 3
motivazioni principali esposte nella sentenza 59 del 1960: per
una premessa di natura tecnica, trattandosi di un mezzo di
comunicazione quello radiotelevisivo che si avvale di una
risorsa oggettivamente limitata (bene di proprietà pubblica),
esso non poteva a priori essere parificato agli altri mezzi di
comunicazione, che non incontrano infatti limitazioni dello
stesso tipo; in difesa del pluralismo, era necessario che non si
corresse il rischio di formazione di monopoli o oligopoli privati;
la Costituzione all’art. 43 sancisce che determinate attività
economiche (le poste, le sigarette) vengano gestite dallo Stato
sotto forma di monopoli pubblici. La questione era nata a
Il tempo
partire dal 1956, quando il quotidiano fece esplicita
richiesta al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni di
poter fare informazione radiotelevisiva come prima emittente
Il tempo TV
privata italiana, chiamata , attiva su un circuito
interregionale, la cui proposta venne ovviamente rigettata, il
che portò all’aprirsi del dibattito sopraccitato.
Nel 1947 viene emanato il decreto n. 478, che come obbiettivo
principale ebbe quello di coinvolgere nel governo del settore
radiotelevisivo anche il Parlamento: esso prevedeva l’istituzione di
una commissione parlamentare di vigilanza, cui veniva affidato il
compito di assicurare l’imparzialità politica e l’obbiettività
dell’informazione trasmessa dalla concessionaria. Si diceva, nel
1952 viene disposta una concessione del servizio alla Rai, che darà
il via alla programmazione televisiva e che stabilisce che: la
maggioranza assoluta delle azioni della Rai è di proprietà pubblica;
il numero dei membri del Consiglio di amministrazione di nomina
governativa è 6, tra cui figura il Presidente della Rai,
l’amministratore delegato e il direttore generale; vi fosse un obbligo
di previa sottoposizione ad autorizzazione ministeriale del piano
triennale dei programmi; sulle forme di finanziamento, si conferma
il doppio regime rappresentato dalle entrate del canone di utenza
(istituito nel 1938) e da quelle degli introiti pubblicitari, con un tetto
massimo del 5% delle ore di trasmissione. Il primo presidente della
Rai fu un giurista, Arturo Carlo Jemolo.
A partire dal 1948 è la DC che prende il potere in Italia, che vede
opposto il fronte popolare rappresentato da PCI e PSI, per cui la Rai
sarà da questo anno fino al 1960, nella cosiddetta fase di centrismo
politico, in mano della DC, capeggiata da De Gasperi. Dagli inizi
degli anni ’60 fino al 1972 si avrà poi il governo di centro-sinistra,
costituito dalla DC in unione con i Socialisti, capeggiati
rispettivamente da Aldo Moro e Pietro Enni, periodo nel quale a
dirigere la Rai si trova la figura di Bernabei, che rimarrà direttore
fino al 1974. Di stampo democristiano, sotto la sua direzione la Rai
inizierà un progetto di unificazione del Paese attraverso la diffusione
della lingua italiana all’interno delle case, con programmi specifici
rivolti all’istruzione di massa degli analfabeti; nel 1961 viene anche
aperto il secondo canale Rai.
In Italia la prima trasmissione televisiva avverrà il 3 gennaio del
1954, ma l’annuncio ufficiale di questo inizio andò perso e venne
rifatto una decina di anni dopo. Mentre la prima trasmissione
radiofonica in Italia avviene nel 1924, attraverso Radio Roma, la
prima radio indipendente (in contrapposizione alla radiofonia di
Stato della Rai) invece risale al 1970, quando Radio libera di
Partinico, fondata per testimoniare e denunciare le condizioni di
degrado delle valli di Belice in seguito al terremoto del 1968, che
verrà chiusa dopo solo 27 ore di trasmissione perché contraria al
codice postale.
Dal 1975 fino al 1979 si apre il periodo del compromesso storico,
con cui si indica la tendenza al riavvicinamento fra DC, capeggiato
da Aldo Moro, e PCI, capeggiato da Berlinguer. Nel 1973 avviene un
colpo di Stato in Cile, che vede rovesciare il governo socialista di
Allende da parte delle truppe reazione di Pinochet. Nel 1972 un
regista italiano di nome Giuseppe Sacchi, dopo un viaggio in
Germania in cui nota l’utilizzo della tv via cavo, si informa sul codice
postale del ’36 e scopre che si trova una lacuna per quanto riguarda
le comunicazioni via filo: crea allora una tv che prende il nome di
TELEBIELLA A21, a livello cittadino e locale, con una
programmazione in onda la notte che prevede delle scelte più
“coraggiose” e all’avanguardia rispetto al servizio pubblico, con
pubblicità commerciali e privo di canone e del Carosello. Di
conseguenza, nel 1973 il governo democristiano di Andreotti emana
un nuovo codice postale, che prevede l’illegalità della rete via cavo,
per cui Sacchi viene posto sotto processo. Sempre in quegli anni,
nelle zone periferiche della Nazione, ai confini con gli altri Stati, si
riescono a captare i segnali esteri (in particolare a Macerata, Roma
e in Lombardia) e diversi radioamatori finiscono a dover rispondere
davanti al pretore per aver captato tali frequenze, spesso svizzere o
dell’Istria. Gli avvocati degli imputati chiedono allora nel 1974 ai
pretori di rinviare la questione alla Corte costituzionale per
richiedere la compatibilità di tale divieto con quanto scritto nell’art.
21. La Corte stabilirà allora due sentenze a favore della tv via cavo
nel 1974: la sentenza n. 225 dichiara che si ritiene illegittima la
riserva statale dell’attività di ritrasmissione di programmi di
emittenti estere e se ne ammette l’esercizio da parte di soggetti
privati; la 226 dichiara invece che è illegittima la riserva statale nel
settore dei servizi radiotelevisivi via cavo e se ne consente
l’ingresso alle iniziative private, con riferimento al solo livello locale.
Ad orientare la Corte in questa direzione è la considerazione
dell’inesistenza di possibili attentati al pluralismo informativo: in un
primo caso perché si utilizzavano bande di frequenze diverse da
quelle utilizzate dai servizi nazionali (quelle hertziane) e si trattava
di una mera ritrasmissione di programmi esteri, in secondo caso, in
ragione della natura del mezzo tecnico, il cavo, che garantiva una
sua utilizzazione teoricamente illimitata. Sempre nella sentenza n.
225 la Corte Costituzionale ne approfitta per dettare al Parlamento
(in quanto sede della rappresentanza politica) una serie di moniti
destinate ad orientare le decisioni, definite 7 comandamenti, sul
sistema radiotelevisivo per una nuova disciplina della
radiotelevisione:
1. L’organo di vertice della Rai (Consiglio di amministrazione) non
deve essere più di esclusiva nomina governativa
2. Garantire l’imparzialità , completezza delle informazioni,
pluralismo e obbiettività dell’informazione nel settore
3. Potenziare il coinvolgimento e il ruolo del Parlamento nella
definizione delle direttive e nell’esercizio del controllo della
loro applicazione sulla programmazione Rai
4. Tutela dell’autonomia dei professionisti e operatori
dell’informazione nel servizio pubblico
5. Predisposizione di limiti quantitativi alla pubblicità
commerciale
6. Disciplina del diritto di accesso al mezzo radiotelevisivo
7. Discipli