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CONCORRENZA SLEALE
La disciplina in materia di concorrenza è dettata dalla Convenzione di Unione per la tutela
della proprietà industriale, stipulata a Parigi nel 1925. Essa è coordinata e integrata con
l’articolo 2598 del codice civile.
L’articolo 2598 c.c. stabilisce che: ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi
e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi e segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi
legittimamente usati da altri o imita servilmente i prodotti di un concorrente o compie con
qualsiasi altro mezzo o atto idoneo a creare confusione con i prodotti e con l’attività;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente idonei a
determinate il discredito o si appropria di pregi dei prodotto o dell’impresa di un concorrente;
3) si avvale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della
correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
Prima, in mancanza di questa norma, si riconduceva la fattispecie all’illecito aquilano, ovvero
all’articolo 2043 c.c. (qualsiasi fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno). Ma questa era una forzatura in quanto
la concorrenza sleale è solo una specie del gene dell’illecito civile e di conseguenza l’idea era quella
di inibire la concorrenza, non solo di sanzionarla come consente l’articolo 2043.
I requisiti soggettivi:
La disciplina della concorrenza sleale si applica solo quando ricorrano taluni presupposti soggettivi
tra soggetto attivo e passivo e quando questi presentino determinate qualità professionali. Tra i due
deve intercorrere un rapporto di concorrenza, anche solo potenziale. Cioè i due soggetti devono
offrire sul mercato beni e servizi idonei a soddisfare gli stessi bisogni o bisogni simili.
Se manca un’identità verbale propria tra prodotti e servizi occorre stabilire cosa significhi il
termine “simili” sotto due profili:
a) profilo merceologico (ad es. abiti e maglieria intima): basta che il rapporto di concorrenza
non sia attuale, ma meramente potenziale, che vi sia una probabilità concreta in un non lontano
futuro, desumibile da circostanze del caso o da regole di esperienza;
b) profilo territoriale : solitamente assume rilievo per le imprese di piccole dimensioni; il
mercato di incidenza di un’impresa deve ritenersi coincidente con la sua sfera di notorietà (è ovvio
che una panetteria di Enna non possa ritenersi in concorrenza con una panetteria di Bergamo). Per
le imprese in cui il problema sotto il profilo territoriale si pone, occorre valutare non solo
l’estensione attuale, ma anche un dato di estensione potenziale (ad esempio: Barilla dovrà ritenersi
in concorrenza con qualsiasi pastificio, anche piccolissimo, in quanto è nazionalmente nota).
Qualifica di imprenditore:
Per l’applicazione della disciplina in esame come si evince dall’articolo 2598 commi 2 e 3, occorre
che i soggetti sia attivi che passivi, siano imprenditori, ovvero soggetti che esercitino sul mercato
un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
L’attività del terzo interposto:
Vi è concorrenza anche quando gli atti sono posti in essere non solo dall’imprenditore, ma anche
dai dipendenti nello svolgimento delle loro mansioni o dal persone che fungono da organo dell’ente
quando si tratta di impresa societaria. E’ necessario però che l’atto sia posto in essere nell’interesse
dell’imprenditore e ciò consapevolmente. Inoltre è affermato in giurisprudenza il principio per il
quale non è necessario che l’atto provenga direttamente dall’impresa concorrente, ma è sufficiente
che esso sia volto a procurare vantaggio a quell’impresa per opera di terzo a danno di altro
imprenditore.
Concorrenza tra imprese operanti a livelli diversi:
Un ulteriore problema si ha quando due imprenditori trattino prodotti uguali o analoghi nella
stessa zona, ma a livelli economici diversi. L’esempio tipico è quello di produttore e commerciante.
L’esistenza di un rapporto di concorrenza, come affermato dalla giurisprudenza, è data dal fatto che
il risultato ultimo dell’attività di entrambi incide sulla medesima categoria di consumatori. La
cassazione ha osservato la situazione in cui il commerciante favorisce un altro produttore, indiretta
concorrenza con quello colpito da atto sleale, riconducendo la fattispecie al rapporto di
concorrenza fra i suoi produttori, nell’interesse di uno dei quali il commerciante agisce.
Rapporto di concorrenza e storno di clientela:
Il concentrare l’attenzione sulla possibilità di storno di clientela ha fatto si che rimanessero un pò
in ombra i termini in cui il problema si pone nelle fattispecie che ne toccano la clientela (storno di
dipendenti). Se infatti di norma l’interesse a stornare dipendenti altrui si riscontra fra imprenditori
che esercitano la medesima attività, può anche darsi che si manifesti in situazioni diversi, con
riferimento a dipendenti come gli amministrativi, che possono trovare utile collocazione in imprese
operanti in settori diversi. Ci si chiede se in questi casi possa assumere rilevanza la sussistenza di
un rapporto di concorrenza sul mercato del lavoro. Si può anche menzionare il rapporto fra il
produttore ed un suo distributore che operi scorrettamente sul mercato. In questo caso non si avrà
storno neppure indiretto di clientela e tuttavia il primo, se danneggiato da quel comportamento,
può agire per concorrenza sleale.
Principi della concorrenza professionale:
Il giudizio di conformità ai principi di correttezza professionali deve avvenire secondo la morale
pubblica corrente e non quella professionale dell’imprenditore. Questo giudizio di correttezza
effettuato dal giudice deve essere effettuato mettendo in relazione la tutela del consumatore e della
libera concorrenza.
L’idoneità a danneggiare l’altrui azienda:
L’idoneità deve essere qualificata nel senso che deve essere maggiore rispetto alla normale
dannosità di un atto dello stesso tipo non scorretto. Deve anche concernere l’altrui azienda, ovvero
qualsiasi danno economico che colpisca l’azienda del concorrente. La dannosità può essere sia
interna (elementi organizzativi) che esterna ( clienti); inoltre basta la mera idoneità dell’atto a
produrre effetti dannosi per il concorrente, indipendentemente dal fatto che il danno di sia
verificato o meno.
Danno concorrenziale:
Il tipo di danno trattato finora prende il nome di danno concorrenziale. Secondo la giurisprudenza
consolidata a concretare la concorrenza sleale è sufficiente l’idoneità dell’atto a produrre effetti di
mercato dannosi per il concorrente, ma non è richiesta la dimostrazione dell’effettiva produzione
del danno. Potenzialità dannosa senza danno attuale si ha quando si tratti di attività concorrenziale
continuata che dal punto di vista quantitativo non abbia ancora raggiunto una dimensione
sufficiente ad incidere negativamente sul concorrente. Ed un altro esempio si avrà nelle ipotesi di
tentativo, cioè una situazione in cui il danno non sia ancora provocato, ma ci si trovi tuttora in una
situazione di potenzialità dannosa per la probabilità che il tentativo venga reiterato.
Il divieto di imitazione servile e di atti confusori (articolo 2598 n.1 c.c.):
Secondo l’articolo 2598 c.c. compie concorrenza sleale chi:
a) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o segni distintivi
legittimamente usati da altri;
b) imita servilmente i prodotti di un concorrente;
c) compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con le attività
di un concorrerete.
Per questo si parla abitualmente di concorrenza sleale confusoria, in quanto si convince il
destinatario che i prodotti o l’attività con cui è venuto in contatto siano di un imprenditore, mentre
in realtà devono ricondursi ad un altro imprenditore. Occorre che vi sia confusione, cioè un falso
convincimento nei destinatari circa i prodotti o l’attività, deve essere sull’origine quindi riguardare
la figura dell’imprenditore.
L’articolo del codice civile menziona 3 specie di atti confusori:
1) adozione di nomi o segni distintivi confondibili con quelli di altri;
2) imitazione servile di prodotti altrui;
3) clausola generale, che fa riferimento a qualsiasi altro atto idoneo a creare confusione.
L’imprenditore ha diritto assoluto sui propri segni distintivi.
I segni distintivi consistono in qualsiasi entità idonea a caratterizzare un prodotto e distinguerlo da
altri analoghi di diversa provenienza, presenti sul mercato.
La capacità distintiva:
E’ l’idoneità a distinguere i prodotti/attività di un imprenditore da quelli analoghi di un altro. La
capacità distintiva può mancare in due ipotesi: a) segno considerato dal pubblico come struttura
del prodotto; b) segno consistente in denominazione generica o indicazione descrittiva del prodotto
contrassegnato. Alla forza di un segno corrisponde una tutela più meno intensa: il segno forte sarà
protetto contro ogni somiglianza anche solo evocatrice, mentre la protezione del segno debole sarà
limitata all’ambito dei segni identici. Inoltre per tutelare un segno dovrà farsi riferimento alla sua
capacità distintiva al momento in cui si verifica la supposta violazione di esso.
Occorre altresì che la notorietà di cui gode un segno sia qualificata: il segno deve essere noto al
pubblico; la cerchia di soggetti a cui si fa riferimento (il pubblico) sono i consumatori finali ed agli
utenti del servizio.
La tutela del segno è limitata da due punti di vista:
1) merceologico: quando un medesimo segno sia adattato a due imprenditori merceologicamente
molto lontani (produttore di bicilette e quello di caramelle), sarà difficile ipotizzare una confusione
sull’origine. Per questo si ritiene che la tutela si estenda anche alle ipotesi in cui un segno sia
imitato da un concorrente che ponga sul mercato prodotti o servizi affini a quelli del titolare del
segno; la tutela varia in base alla misura della capacità distintiva del segno;
2) territoriale: l’ambito della tutela dovrà coincidere con quello della notorietà. Infatti ove un
segno avesse raggiunto notorietà solo in una zona del territorio italiano, non avrebbe senso
estendere al di là di questo la tutela del segno stesso. Va però detto che l&rs