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ANTITRUST
In questo campo la legislazione europea pare ispirarsi ad un modello comune: esso si basa sulla definizione di "soglie" massime di concentrazione non superabili (che rappresentano le c.d. "posizioni dominanti"), nonché una serie di obblighi di trasparenza delle vicende societarie delle imprese operanti nel settore.
Insomma si afferma l'idea che un'informazione imparziale, oggettiva, completa e funzionale alla partecipazione dei cittadini, possa essere raggiunta meglio attraverso il concorso di più iniziative private (che la nostra Corte Cost. chiamerà "concorso esterno") chiamate ad affiancare le già esistenti emittenti pubbliche nazionali.
Nasce così un sistema misto pubblico privato, nel quale il soggetto pubblico tende a mantenere una posizione di preminenza.
Il caso italiano: la radiofonia nel periodo fascista
Nel precedente periodo liberale, si era già sancita la riserva allo Stato
dallo Stato e di rispettare le direttive e le norme stabilite dalle autorità competenti. Successivamente, con la legge del 1927, il regime fascista istituì l'Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR), che sostituì l'URI come unica concessionaria e gestore del servizio radiofonico. L'EIAR aveva il compito di diffondere la propaganda fascista e di controllare strettamente i contenuti trasmessi, garantendo così il controllo del regime sulla radio. Con l'avvento della televisione, negli anni '50, venne istituita la RAI (Radiotelevisione Italiana), che assunse il monopolio del servizio radiotelevisivo in Italia. La RAI era un ente pubblico, ma il controllo politico sulle trasmissioni era ancora molto forte. Negli anni successivi, con l'evoluzione tecnologica e l'apertura del mercato delle telecomunicazioni, sono state introdotte nuove leggi e normative che hanno liberalizzato il settore e favorito l'ingresso di nuovi operatori privati. Oggi, in Italia, esistono diverse emittenti radiofoniche e televisive private, oltre alla RAI, che offrono una vasta gamma di programmi e contenuti.Dall'Agenzia di stampa Stefani, espressamente designata dalla Presidenza del Consiglio. Nel 1927 infine la concessionaria del servizio (URI) si pubblicizzava, divenendo proprietà SIP, e poi ricondotta nell'ambito dei poteri dell'IRI. Negli anni successivi si completava questo assetto assegnando al Ministero della Stampa e propaganda il controllo sui contenuti radiofonici.
4. Il periodo costituzionale provvisorio e il dopo guerra. Le vicende legate al crollo del fascismo non comportarono alcun mutamento per lungo tempo. Si continuò infatti a tenere come buono il modello basato sulla riserva allo Stato e sulla concessione in esclusiva ad una società a prevalente capitale pubblico. Questo modello riceve puntuale e articolata conferma con la nuova concessione del servizio alla RAI del 1952, che precede di due anni l'inizio delle trasmissioni televisive. Quattro i contenuti importanti:
- La concessione prevedeva la maggioranza assoluta delle azioni della RAI
diproprietà dell'IRI, e apposita autorizzazione ministeriale per le compartecipazioni RAI in altre società;
2) Sei membri del Consiglio di Amministrazione RAI di nomina governativa, ed anche la nomina del Presidente, dell'amministratore delegato, del direttore generale;
3) Programmazione triennale sottoposta ad autorizzazione ministeriale (che il Ministro degli Interni poteva però cambiare per motivi di ordine pubblico);
4) Finanziamento attraverso il doppio regime del canone di utenza e degli introiti pubblicitari (con un tetto del 5% delle ore di trasmissione complessiva).
Dunque, data questa grande continuità con il passato, non doveva passare molto tempo per il sorgere di problemi legati ai nuovi principi costituzionali (art. 21 Cost "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione").
Un modello pubblicistico come quello sopra descritto era ancora compatibile con il nuovo disposto.
costituzionale? Questi interrogativi di fondo arrivarono ben presto al giudizio della Corte Costituzionale: vediamone alcune pronunce rilevanti.Il ruolo della Corte Cost.: dalla conferma di legittimità del monopolio pubblico, alla riforma del 1975
In Italia, l’avvio delle trasmissioni televisive nel 1954 fa sorgere subito un dibattito incentrato sul monopolio radiotelevisivo.
Così nel 1960 si arriva alla prima sentenza della Corte Cost. (n. 59 del 1960), che segna gli sviluppi in materia almeno sino al 1975 (al varo della legge 103 del 1975): in questa sentenza si coglie subito il ruolo decisivo che la Corte intende assumere in questa opera di ridefinizione delle linee guida del mezzo radiotelevisivo.
La Corte, chiamata a decidere sui dubbi di legittimità costituzionale della riserva allo Stato del servizio radio e tv, ne stabilisce la piena legittimità, ciò per tre motivi:
1) Le bande di frequenza non illimitate, la Corte sostiene che il mezzo radiotv non
può essere parificato agli altri mezzi, che non hanno limitazioni simili;
La Corte sostiene inoltre che si deve evitare il rischio del formarsi di situazioni di monopolio od oligopolio privato, contrari al principio di pluralismo informativo;
In terzo luogo la Corte ritiene che la soluzione di assoggettare il settore al monopolio pubblico deve ritenersi una soluzione consentita, secondo il combinato disposto degli artt. 21 e 43 (riserva allo stato di servizi pubblici essenziali) Cost..
Il regime pubblicistico viene considerato come quello che maggiormente assolve al compito di assicurare il tasso di pluralismo necessario per far sì che la libertà di informazione possa svolgere una funzione democratica, formando l'opinione pubblica in chiave partecipativa.
Oltre a ciò, la Corte si spinge ben oltre, affermando che il monopolio pubblico, per essere coerente con le finalità di cui all'art. 21, avrebbe dovuto prevedere la possibilità di accesso.
al mezzo da parte di tutte le correnti culturali e politiche, nonché un ridimensionamento del potere del Governo (indirizzo e controllo dell'ente concessionario del servizio) a tutto favore del Parlamento, organo in cui c'è la massima espressione di pluralismo politico. Queste evidenti sollecitazioni della Corte al Legislatore, per mettere mano alla materia radio tv, non ebbero alcun seguito.
Da questa sentenza della Corte, del 1960, doveva passare un decennio prima che la Corte intervenisse ancora in questa materia, questa volta determinando una reazione positiva del legislatore.
È infatti con due pronunce del 1974 che la Corte accelera il dibattito parlamentare sulla riforma della disciplina del monopolio pubblico radiotelevisivo.
Le sentenze n. 225 e 226 del 1974, appena successive all'applicazione tecnologica delle comunicazioni via satellite (prima solo via cavo), segnano l'inizio della riforma del monopolio pubblico: la sentenza n. 225 dichiara
Illegittima la riserva allo Stato dell'attività di ri-trasmissione di programmi di emittenti estere e ne ammette l'esercizio anche da parte di soggetti privati (purché dietro previa autorizzazione, da disciplinare dal legislatore), ciò perché la ritrasmissione di programmi esteri utilizzava bande di frequenza diverse da quelle dei servizi nazionali di telecomunicazione;
La sentenza n. 226 dichiara l'illegittimità della riserva allo Stato nel settore della radiotelevisione via cavo (riserva prevista dal codice postale del 73), consentendo l'ingresso nel settore ai privati, ma solo con riferimento al livello locale (ed anche qui previa autorizzazione); ciò perché il mezzo tecnico del "cavo" era suscettibile di garantire una sua utilizzazione quasi illimitata.
In questi "comandamenti" della Corte Cost., risulta chiaro l'intento della Corte di intervenire, in positivo, a condizionare l'operato.
del legislatore, con una serie di "moniti" destinati ad orientare le decisioni future del legislatore.
La legge 103 del 1975, e la sua rapida obsolescenza
La legge 103 del 75 interviene a recepire i moniti della Corte, riformando il monopolio pubblico, vediamo le novità:
- Si afferma la legittimità della riserva allo Stato, che però non si estende più all'ari-trasmissione (gestione di di ripetitori) di programmi esteri e nazionali (depurati però dalla pubblicità), né alla diffusione via cavo a livello locale (non più di 150.000 abitanti, con un tetto max di pubblicità del 5% del totale);
- Attribuzione al Parlamento del potere di indirizzo e controllo sul servizio radiotelevisivo (una Commissione bicamerale nomina 10 dei 16 membri del Consiglio di amministrazione della concessionaria RAI, Presidente e Direttore generale vengono eletti all'interno del C.d.A.);
- Attribuzione alle Regioni del potere di creare
- Comitati regionali per il servizio radiotelevisivo locale;
- Attribuzione a vari soggetti, quali partiti, associazioni, sindacati, autonomie locali, confessioni religiose, gruppi etnici e linguistici, del diritto di accesso ai sistemi radio e tv, accesso fissato nella quantità minima del 5% delle ore complessive di trasmissione tv, e del 3% delle ore di trasmissione radio;
- Per quanto riguarda il diritto di rettifica, esso viene esteso ai direttori di tele e radio giornali, così come previsto dalla legge 47 del 1948 sulla stampa, che dunque devono rettificare sollecitamente la notizia, pena la possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria e l'applicazione delle sanzioni previste; vengono estesi anche gli obblighi connessi alla registrazione ed alla responsabilità del direttore responsabile;
- Sui meccanismi di finanziamento viene confermato il canone, e si ammette anche la pubblicità con un doppio limite: il rispetto del 5% massimo.
delle oretotali di trasmissione, ed una soglia massima di denaro raccolto in pubblicità,soglia da definirsi annualmente da parte della Commissione bicamerale.
Insomma, uno sforzo del legislatore per adeguare il monopolio pubblico al contestocostituzionale, in sintonia con le indicazioni puntuali della Corte Cost..
Ecco però che, ad un solo anno dalla legge, è di nuovo la Corte Costituzionale adeterminare una svolta nell’evoluzione del sistema radio tv, decisione che,negli anni successivi, sarà decisiva nel orientale lo sviluppo del mezzo sino adoggi.
Nel 1976 infatti, con sentenza n. 202, la Corte sancisce la parziale illegittimitàdella riserva allo Stato dell’attività radiotelevisiva, poiché ladisponibilità di frequenze via etere è tale da non consentire il formarsi dimonopoli od oligopoli privati, con negative conseguenze sul pluralismoinformativo. Dunque, una vera e propria aper