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Articolo 35 del regolamento
L'art. 35 del regolamento (riproducendo l'art. 28 della convenzione di Bruxelles) esclude la riconoscibilità delle decisioni se esse risultano emesse in violazione delle norme sulla competenza giurisdizionale comprese nella sezione 3, relativa alla materia delle assicurazioni, nella sezione 4, relativa alla materia dei contratti dei consumatori, e nella sezione 6, relativa alla competenza giurisdizionale esclusiva, del capo II.
Ha destato perplessità (cfr. SALERNO, II, 238-239) l'esclusione del controllo della competenza giurisdizionale relativa ai contratti individuali di lavoro (sezione 5), anche perché il foro del lavoratore, parte debole per antonomasia, è sovente collegato all'applicazione di norme imperative locali. La giustificazione di tale opzione è stata dalla Commissione annessa alla ragione che qualsiasi verifica sulla competenza giurisdizionale in questo settore avrebbe pregiudicato necessariamente l'istante.
per il riconoscimento e/o la declaratoria di esecutività che, nella massima parte dei casi, è lo stesso lavoratore. Ai due casi di competenza protettiva ed all'ulteriore caso di competenza esclusiva viene poi aggiunto il controllo del rispetto dell'art. 72 del regolamento (corrispondente all'art. 59 della convenzione) che fa salvi gli accordi anteriori alla sua entrata in vigore conclusi da Stati membri (ai sensi dell'ora ricordato art. 59 della convenzione) e con cui essi si siano impegnati a non riconoscere una decisione emessa, in particolare in un altro Stato contraente, contro un convenuto avente il proprio domicilio o la propria residenza abituale in un paese terzo, sempre che la decisione: 1) sia stata emessa in un caso di operatività dell'art. 4 della convenzione; 2) si sia fondata soltanto sulle norme di competenza previste dal secondo comma dell'art. 3 della convenzione (ossia i fori cosiddetti esorbitanti).
controllo di competenza giurisdizionale, la violazione dei parametri oraelencati, la decisione emessa nello Stato membro d'origine non può essere riconosciuta.
Va chiarito che il giudice dello Stato richiesto non può compiere alcuna indagine di fatto, essendo vincolato alle constatazioni di fatto operate nella decisione oggetto di riconoscimento dal giudice dello Stato d'origine, essendo a lui consentito soltanto di rilevare l'erronea sussunzione della fattispecie definita in quella sede sotto un modello di competenza giurisdizionale che non ne avrebbe dovuto consentire - limitatamente ai quattro parametri sopra elencati - la cognizione in quella sede.
Al di fuori dei casi ora circoscritti, il giudice dello Stato richiesto non può procedere al controllo della competenza giurisdizionale dei giudici dello Stato d'origine, né, come si è già segnalato, può inserire la questione del rispetto delle (ulteriori) norme sulla
competenza in quella della verifica dell'ordine pubblico (cfr., per un'applicazione dell'art. 28, terzo comma, della convenzione di Bruxelles, Cass., 23.05.1989, n. 2452, in Giust. civ., 1989, I, 2601, che ha concluso, nella specie, per l'assenza in capo al giudice della delibazione dl potere di procedere al controllo della competenza internazionale del giudice straniero, nella sfera di applicazione della cennata norma).
Per il resto, viene mantenuta (dall'art. 36 del regolamento) l'inibizione del riesame del merito della decisione straniera.
Questo principio, già esposto dalla convenzione di Bruxelles (art. 29) in modo definito tran-chant dalla dottrina (cfr. CARPI, 152), è stato applicato, nella vigenza degli artt. 796 e ss c.p.c., nel senso che,
Quand'anche il procedimento delibatorio fosse stato introdotto nelle forme ordinarie, la disposizione dell'art. 798 c.p.c. (che consentiva il riesame del merito della causa, fra l'altro, quando la sentenza straniera da delibare era stata pronunciata in contumacia) non trovava applicazione con riguardo a decisione pronunciata in uno Stato aderente alla convenzione di Bruxelles, attesa la preminenza del principio posto dall'art. 29 di detta convenzione, tale da non consentire "in nessun caso" l'accesso al riesame del merito della decisione straniera (cfr. Cass. 27.07.1989, n. 3524). Si conferma la recisa contrarietà della fonte (ora) comunitaria alla sostanziale riapertura nel merito del caso deciso dal giudice dello Stato d'origine allo scopo di dare concreto ed effettivo senso all'integrazione giudiziaria perseguita. Peraltro, la riforma del diritto internazionale privato di cui alla L. n. 218/95 ha abrogato, fra gli altri, l'art.798c.p.c., di guisa che anche al di là dello spazio giudiziario europeo l'ordinamento giuridico italiano, fatto salvo il riscontro degli altri requisiti, si è aperto - pure sotto questo aspetto - ad una reale extraterritorialità della giurisdizione, superando i dubbi (certo, non peregrini) sollevati in ordine alla opportunità o meno di conservare il vaglio di merito per i solicasi di evenienza di fattispecie revocatorie (ex art. 395, nn. 1, 2, 3, 4 e 6, c.p.c.) particolarmente gravi (già espressamente legittimanti il riesame di merito ex art. 798 c.p.c.); con la specificazione che resta da verificare se e quanta parte di queste fattispecie possa essere ricompresa nei vizi ostativi al riconoscimento (ex art. 64, lettere b e g).
Come si è visto, non soltanto la decisione definitiva o passata in cosa giudicata è suscettibile di riconoscimento. Tuttavia (cfr. art. 37 del regolamento), quando essa sia stata assoggettata ad
Impugnazione nello Stato d'origine, il giudice dello Stato richiesto ha il potere di sospendere il procedimento finalizzato al riconoscimento in attesa della definizione del giudizio di impugnazione. La facoltà di sospensione, con riferimento alle decisioni emesse in Irlanda e nel Regno Unito, si radica quando l'esecuzione di quelle decisioni sia stata sospesa nello Stato d'origine per la presentazione di un ricorso. L'esercizio di questo potere in sede di riconoscimento sarà trattato unitariamente con l'affine istituto disciplinato, direttamente per il procedimento di exequatur, dall'art. 46.
7) L'esecutività delle decisioni e degli atti
Il procedimento di attribuzione alle decisioni ed agli altri atti della forza esecutiva nello Stato membro - che poi è il medesimo per il conseguimento del riconoscimento delle decisioni in via principale (in virtù del già ricordato richiamo dell'art. 33, paragrafo
2) - ha subìto alcune modifica-zioni che ne incrementano la flessibilità sveltendo in modo cospicuo il controllo da svolgersi nellaprima delle due fasi, quella che già in precedenza si connotava per una cognizione sommaria.Prima di fare il punto su tali modificazioni, vale la pena ricordare che l'istante per l'esecutività (art. 50) ha di-ritto a mantenere nel procedimento innanzi allo Stato richiesto lo stesso trattamento (di gratuito patrocinio o di esen-zione dalle spese) che avesse ottenuto nello Stato membro d'origine, secondo la corrispondente forma, che sia la "più ampia", prevista dall'ordinamento dello Stato richiesto. Sempre per il procedimento di dichiarazione di esecutività, siconferma inoltre (all'art. 51) il principio di non discriminazione - per lo status di straniero o per il difetto di domicilio oresidenza - dell'istante in ordine all'imposizione di cauzione o deposito e si
Esclude che lo Stato richiesto possa imporre un trattamento fiscale in via proporzionale rispetto al valore della controversia (art. 52).
In sintesi, è noto che già la convenzione di Bruxelles contempla, ai sensi dell'art. 34, il controllo di legalità d'ufficio - nei limiti stabiliti dagli artt. 27 e 28 -, senza peraltro alcun obbligo o alcuna facoltà per il giudice di assumere i relativi elementi in contraddittorio (parendo esclusa la possibilità di "osservazioni" preventive ad opera della parte contro la quale viene richiesta l'esecuzione), con la conseguente emissione dell'exequatur all'esito della positiva verifica della sussistenza dei requisiti di legalità. Al destinatario passivo della decisione così dotata dell'esecutività è accordata unicamente tutela successiva, mediante l'instaurazione del contraddittorio in via posticipata, attraverso
L'opposizione regolata dagli att. 36 e ss. del dettato convenzionale, così come al richiedente che si sia visto respingere la domanda di attribuzione dell'esecutività alla decisione è dato di opporsi alla stregua dell'art. 40. Discorso analogo è da compiersi per la convenzione di Lugano, per il relativo ambito di operatività. Si ritiene che, pur dopo la riforma del diritto internazionale privato italiano, le disposizioni in questione siano da stimarsi prevalenti - quale normativa speciale più favorevole, in armonia con la ratio dell'adesione all'Unione Europea - sulle diverse e generali previsioni della L. n. 218/95, quanto meno nelle parti in cui le norme generali di quest'ultima legge si presentino meno favorevoli e possano,
di conseguenza, provocare maggiore difficoltà o dilatazione dei tempi nell'attuazione e nell'esecuzione delle decisioni rese nell'ambito degli Stati membri. Del resto, sarebbe del tutto incongrua una parificazione della pronunzie giudiziarie rese negli Stati membri con quelle rese nei Paesi terzi, parificazione che finirebbe per escludere in concreto gli effetti di progressiva integrazione perseguiti costantemente nello spazio giudiziario europeo (e, di conseguenza, per avallare un'interpretazione conducente alla violazione degli obblighi assunti dallo Stato italiano nei confronti dell'Unione). In definitiva, può dirsi che già operi pienamente il principio di specialità che comporta la prevalenza, quanto ai rapporti intercorrenti nell'ambito degli Stati membri, delle disposizioni della convenzione sulle previsioni - successive, ma di carattere generale - della L. n. 218/95, in ordine al rito da adottare,
alle garanzie accordate ed alle forme di tutela, essendosi così determi-nato un “doppio binario” che legittimamente differenzia quella sfera di rapporti dagli altri che esor-bitano della sfera di applicazione della convenzio