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LO SPORT NELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA

Nei Trattati istitutivi della Comunità europea, non si rivenivano competenze espresse riferite allo

sport. L’assenza di una competenza espressa in materia di sport nel Trattato di Roma, viene

colmata attraverso l’Atto Unico del 1986, il T.U.E. del 1992 e con successivi Trattati modificativi.

Per rintracciare gli elementi più significativi che hanno contribuito a delineare l’attuale modello di

sport in Europa occorre, a nostro parere, indirizzare l’attenzione su due distinte direttrici: da un lato

operare un’analisi della giurisprudenza comunitaria addentrandoci all’interno delle pronunce rese

dalla Corte di giustizia che attraverso l’applicazione dei principi fondamentali del diritto comunitario,

ha fortemente inciso sulla regolamentazione dello sport; dall’altra seguire l’evoluzione che ha portato

Stati membri e istituzioni europee a valorizzare la dimensione sociale dello sport attraverso iniziative

specifiche e, soprattutto ad inserire lo sport tra le competenze specifiche dell’Unione.

CONTRIBUTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA ALLA DEFINIZIONE DI UN MODELLO

EUROPEO DI SPORT

La produzione giurisprudenziale della Corte in materia di sport può essere suddivisa in quattro

fasi:

- prima fase → prende forma a metà degli anni ’70, la Corte si è preoccupata di affrontare la

tematica dell’assoggettabilità delle attività sportive ai principi contenuti nel Trattato C.E. con

particolare riferimento al principio della libertà di circolazione. Quello che emerge è che lo sport,

in quanto attività economicamente rilevante, rientra nell’ambito di applicazione del diritto

comunitario;

- seconda fase → caratterizzata dalla sentenza Bosman del ’95 e dagli effetti che ne scaturiscono

in materia di libera circolazione e di vincoli di appartenenza degli sportivi.

terza fase

- → caratterizzante dal post Bosman e da tanti tentativi di tirare in ballo l’incompatibilità

con il diritto europeo nel tentativo di scardinare o stravolgere il sistema.sportivo. Tre pronunce

della Corte di giustizia spiccano in questa fase: Agostini nel 1998, Adeliege nel 1997 e Lehtonen

nel 1996.

- quarta fase → coincide con l’attuale periodo ed è segnata dalla sentenza Meca-Medina e Majen

del 2006. In quest’ultime sentenze la Corte mostra una particolare attenzione verso il problema

delle sanzioni disciplinari, capaci di incidere sulla disciplina della concorrenza, soffermandosi

inaspettatamente a chiarire il suo punto di vista sull’autonomia del fenomeno sportivo e sui limiti

della regolamentazione tecnica.

LE SENTENZE WALRAVE E DONÀ:

LA RILEVANZA ECONOMICA DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA

caso Walrave

Nel il giudice comunitario era stato chiamato a pronunciarsi in ordine alla

compatibilità con gli art. 48 (ora 39) e 59 (ora 49) del Trattato C.E.E. (ora T.C.E.) di una norma del

regolamento dell’Union Cicliste Internazionale – U.C.I. - che prevedeva che corridore e allenatore

partecipanti alle gare del campionato mondiale di corse dietro battistrada (stayers) dovevano

possedere la stessa nazionalità. tre principi-chiave

Nella pronuncia il giudice comunitario ha sancito destinati a divenire nel tempo

la base del rapporto sport-diritto europeo.

primo luogo, l’attività

In la Corte ha riconosciuto che alla luce degli obiettivi della Comunità,

sportiva deve considerarsi assoggettata al diritto comunitario solo se e in quanto sia

configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 T.C.E.. Quando la pratica di uno sport

riveste il carattere di una prestazione di lavoro subordinato ovvero di una prestazione di servizi

retribuita, essa rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione del Trattato C.E., rispettivamente

a seconda che si tratti di

degli art. 48 e seguenti (ora 39 e ss.) o 59 e seguenti (ora 49 e ss.),

lavoro subordinato ovvero prestazione di servizi.Queste norme vietando qualsiasi

discriminazione fondata sulla cittadinanza, che possa anche solo limitare l’esercizio di tali attività,

rendono irrilevante il tipo di rapporto giuridico da cui traggono origine le suddette prestazioni. E

questo è per la Corte sicuramente il caso dello sport di tipo professionistico o semiprofessionistico.

Essa aggiunge che la possibilità di qualificare un atleta come lavoratore dipendente piuttosto che

come prestatore di servizi, discende dalla nozione comunitaria di lavoratore ex art. 48 T.C.E.E..

secondo luogo, la natura

In a fronte dell’eccezione sollevata dall’U.C.I., è stato affermato che,

privata delle federazioni sportive non può

(i cui organi avevano emanato le norme incriminate),

costituire motivo sufficiente per esimere le stesse dal rispetto del diritto comunitario. I

giudici di Lussemburgo sostengono, infatti, che, diversamente ragionando, la prescrizione per gli

libera circolazione delle persone e alla libera prestazione

Stati membri di abolire gli ostacoli alla

di servizi, sarebbe vanificata se, oltre alle eventuali limitazioni stabilite dalle leggi statali, non si

eliminassero anche quelle poste in essere da organismi o associazioni private nell’esercizio della

loro autonomia giuridica.

Da ultimo, i giudici

la Corte ha individuato quella che oggi è definita “eccezione sportiva”:

comunitari hanno limitato l’applicabilità del diritto europeo alle questioni economicamente

rilevanti sottolineando che il principio di non discriminazione non riguarda la composizione delle

squadre sportive, ad esempio, quelle nazionali. In questi casi la formazione delle squadre è frutto di

scelte tecnico-sportive come tali non riferibili ad un’attività economica. più innovativo

Tale affermazione, seppur lasci spazio a qualche incertezza, rappresenta l’aspetto

della sentenza. Invero, da un lato, si potrebbe ritenere che la Corte citi a titolo puramente

esemplificativo la composizione delle squadre nazionali e che dunque, sarebbero sottratte dal

rispetto del diritto comunitario tutte le regole “ sportive” attinenti alla composizione delle squadre.

A distanza di soli due anni, si presentava alla Corte di Giustizia l’occasione (in realtà mancata) per

1976

chiarire la questione. Nel sono il gioco del calcio e la normativa federale italiana a finire sul

caso Donà

banco degli imputati dei giudici di Lussemburgo. Si tratta del in cui la Corte è chiamata a

divieto assoluto di ingaggiare atleti stranieri

pronunciarsi sul previsto dalla normativa interna

della F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio).

Nel febbraio 1976 il giudice di Rovigo investito della questione, emetteva un’ordinanza con la quale

sottoponeva alla Corte di Giustizia diverse questioni pregiudiziali ai sensi dell’art. 177 T.C.E.E. (ora

289) ovvero se i diritti riconosciuti dagli art. 48 (ora 39) e 59 (ora 49) del citato Trattato ai cittadini

comunitari si potessero intendere come riferiti anche ai calciatori, posto che la loro attività abbia

carattere professionale. E nel caso di risposta affermativa, se tale diritto fosse operante anche in

presenza di norme emanate dall’ente nazionale che disciplina l’attività sportiva interessata.

Adita dunque, in via pregiudiziale, la Corte, dopo aver richiamato i principi già espressi nella

lo sport e le sue regole devono considerarsi assoggettati al

sentenza Walrave, secondo cui

diritto comunitario solo se e in quanto siano configurabili come attività economica,

l’attività dei calciatori professionisti o semi-professionisti che svolgono un

riconosceva che

lavoro subordinato o una prestazione di servizi retribuita, rivestisse carattere economico. La

Corte precisava poi che, per quanto riguarda le possibili eccezioni alla regola dell’assoggettabilità

dell’attività sportiva al diritto comunitario, le norme del Trattato non si opponevano ad una disciplina

che impedisse agli atleti stranieri di prender parte a certi incontri per motivi non economici, ma

inerenti la “fisionomia propria” di detti incontri, “ed aventi natura puramente sportiva”, come ad

esempio l’incontro tra squadre nazionali di diversi Paesi.

In realtà, poiché né le federazioni sportive diedero inizialmente seguito alle pronunce della Corte, né

nuove questioni le furono sottoposte, nonostante l’innovazione dei principi da essa enunciati in

materia si dovette attendere circa un ventennio perché qualcosa concretamente cambiasse.

LA SENTENZA BOSMAN

Ancora una volta è il gioco del calcio (la sua normativa) a finire sul banco degli imputati e ad offrire

“lo spunto“ ai giudici comunitari per ribadire l’applicabilità dei più elementari principi sanciti dal

Trattato C.E. anche al settore dello sport, indispensabili per far convivere diritto comunitario e diritto

sportivo.

sentenza Bosman

La rappresenta, da questo punto di vista, una vera rivoluzione e proprio in

considerazione dell’importanza che detta pronuncia ha rivestito, bisogna prima di tutto ricordare i fatti

che ne sono alla base. Jean Marc Bosman, cittadino di origine belga e tesserato della federazione

calcistica del suo paese (Union Royale Belge des Sociètés de Football Association -URBSFA-), nel

1988, divenuto calciatore professionista tra le fila dello Standard Liegi, veniva ceduto alla squadra

RC Liegi dietro pagamento di un’“indennità di trasferimento per la formazione e promozione“ (così

come previsto del Regolamento federale U.E.F.A. che sviluppa a livello europeo quello adottato dalla

F. I.F.A.). Nel 1990 in prossimità della scadenza del contratto la società proponeva al calciatore il

rinnovo dello stesso, ma, con una sostanziale riduzione del compenso.

Avendo rifiutato tale proposta, il Sig. Bosman veniva collocato nella lista dei calciatori cedibili. La

società calcistica francese US Dunkerque manifestava interesse nei confronti del giocatore; la

società RC Liegi però, dubitando della solvibilità della potenziale acquirente non chiedeva

all’URBSFA il rilascio del certificato di trasferimento (c.d. transfer) in mancanza del quale non si

poteva perfezionare il tesseramento del calciatore presso la nuova società; si determinava così

l’inefficacia del contratto e dunque, della cessione. In seguito a questa situazione, il Sig. Bosman

giudiziaria contestando le norme sui trasferimenti e le clausole relative agli

intentava un’azione

atleti stranieri dei Regolamenti U.E.F.A. per violazione della libertà di circolazione dei

lavoratori garantita dal diritto europeo. Inoltre chiedeva provvedimenti urgenti, quali il pagamento

di una provvisionale mensile, l’inibizione all’RC Liegi e all’ URBSFA di o

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A.A. 2022-2023
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SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Martina_197 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'Unione Europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Pierini Marcello.