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PRIMATO DEL DIRITTO UE SUL DIRITTO INTERNO
Partiamo da un principio di diritto internazionale generale: PREMINENZA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE SULLE NORME NAZIONALI, SIANO ESSE PRECEDENTI O SUCCESSIVE E QUAL CHE NE SIA IL RANGO. Questo fa sì che a tutti gli stati membri corra l'obbligo di dare piena applicazione alle norme dell'Unione, dal momento che altrimenti verrebbe sminuita l'efficacia che viene riconosciuta alle norme di diritto UE.
Sappiamo poi che per queste si intendono non solo le norme di diritto primario (trattati), ma anche quelle di diritto secondario che in virtù dei trattati sono state emanate dalle istituzioni europee. Questo non è necessariamente un principio pacifico. In una delle prossime lezioni affronteremo come la questione è stata vissuta dalla Corte Costituzionale italiana, la quale per oltre un ventennio si è posta in contrasto con la Corte di Giustizia e con la visione della prevalenza che avevano le.
istituzioni europee, ritenendo che questa preminenza non potesse far venir meno determinati principi dell'ordinamento italiano e, anche successivamente, ha cercato di mantenere degli spazi residuali limitati nei quali i principi di diritto costituzionale potrebbero prevalere sulle norme del diritto UE. Questo in grande linea generale. Noi affronteremo la tematica nell'ottica della Corte Costituzionale italiana più in là. Che cosa comporta questa prevalenza del diritto UE rispetto al diritto nazionale? La conseguenza pratica è che il giudice nazionale debba disapplicare la norma interna che si trova in conflitto con la norma di diritto UE, e quindi deve lasciare di fatto spazio alla norma di diritto UE eliminando ogni possibile conflitto nell'ordinamento interno. Questo è per semplificare l'effetto di questa preminenza. La giurisprudenza ha poi allargato questo concetto arrivando a dire che anche un atto amministrativo, che dovrebbe essereapplicato in virtù di una decisione che è passata in giudicato, la cui norma è stata poi ritenuta incompatibile con il diritto UE, debba comunque essere non applicata. Quindi la giurisprudenza ha cercato di dare un’interpretazione estensiva e fa sì che questa preminenza abbia un più ampio spazio, non solo davanti al giudice nazionale, ma in tutte le sue articolazioni, pertanto anche davanti alle amministrazioni statali, alle quali compete comunque l’obbligo di dare pieno effetto alle norme dell’UE.
Questo è stato un principio molto dibattuto nel corso del tempo. Vi ho detto che ci sono state diverse sentenze, in particolare della Corte Costituzionale italiana, che erano in conflitto, però oggi il principio trova un riconoscimento esplicito all’interno del trattato, in particolare è stata inserita in una dichiarazione allegata al Trattato di Lisbona, che a sua volta richiama un parere del servizio giuridico del
Consiglio che fa riferimento appunto a tale principio. È un modo se volete contorto e indiretto, ma il fatto che non sia stata inserita esplicitamente all'interno dei trattati non viene a limitare in alcun modo la sua valenza e non si deve ritenere in alcun modo che venga meno la sua efficacia. È un principio fondamentale e quindi deve essergli sicuramente data piena esecuzione. Fino a che punto tale principio può essere attuato? Una delle resistenze che si erano verificate negli stati membri, in particolare in Italia, ma anche in altri stati, si ha per quelle questioni che, ad avviso della Corte Costituzionale o di pari rango dello stato nazionale, verrebbero astrattamente a ledere dei principi di valenza costituzionale. Potremmo ipotizzare che ci siano delle norme di diritto UE che si pongono in conflitto con taluni principi fondamentali a livello nazionale. Quindi il quesito che sorge è: Tale principio vale al punto da comportare una prevalenza anche su deiprincipi di valenza costituzionale così importanti? In relazione a questa tematica le corti nazionali hanno sviluppato la TEORIA DEI CONTROLIMITI. Essa va a porre un argine alla preminenza del diritto UE laddove le norme verrebbero a ledere dei principi fondamentali riconosciuti a livello nazionale, ma non a livello europeo evidentemente. È difficile immaginarlo, ma facciamo riferimento ad una recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che, a seguito di una pronuncia della Corte di Giustizia sul piano della BCE di quantitative easing, ha criticato tale decisione ritenendo che verrebbe in qualche modo a ledere un principio fondamentale tedesco per cui le decisioni in materia di spesa devono in ultima analisi essere lasciate agli organi legittimamente eletti dal popolo. Quindi in qualche modo non potrebbe essere effettuata una scelta che incide in questo modo solamente ad opera delle istituzioni europee, ma dovrebbe essere sottoposta a dei controlli nazionali. Questa è
un’estrema sintesi della sentenza di maggio dello scorso anno che è stata fortemente criticata, peròè un’esemplificazione di dove si possono avere questi “controlimiti”.È una teoria che secondo alcuni avrebbe trovato anche qualche forma di riconoscimento esplicito nella formulazione che è stata data nel Trattato di Lisbona, laddove si dice che c’è l’obbligo di rispettare le identità nazionali. Secondo taluni questa sarebbe una forma di riconoscimento implicito di questa TEORIA DEI CONTROLIMITI, o comunque un altro limite all’ingresso delle norme di diritto UE all’ordinamento nazionale laddove queste verrebbero a ledere le identità nazionali appunto.È discutibile, ma è una nozione comunque estremamente circoscritta; però è un tema che va tenuto presente, perché potrebbe comportare un limite per la legislazione derivata del diritto UE che però vasemprecontemperato anche con gli altri principi fondamentali dell'UE, cercando di interpretarlo in senso conforme. Ci sono poi anche state alcune decisioni estremamente rare e particolari nelle quali la Corte di Giustizia ha avallato la possibilità di sospendere l'applicazione del principio del primato del diritto UE. Stiamo parlando di 2/3 sentenze con una certa significatività che vedono la presenza di tutta una serie di elementi che inducono a consentire allo stato nazionale di mantenere la propria norma nazionale. Uno dei casi riguardava la trasposizione di una direttiva che si riteneva non coerente con questo principio interno. Sono casi comunque veramente limitati ed estremamente eccezionali.
EFFETTI DIRETTI DELLE NORME DEL DIRITTO UE NEGLI ORDINAMENTI INTERNI: Una certa parte delle norme di diritto UE ha un effetto diretto negli ordinamenti interni e questa è una caratteristica molto particolare, che in effetti distingue l'ordinamento UE rispetto a
molti altri ordinamenti di Organizzazioni Internazionali. Tipicamente nelle Organizzazioni Internazionali le norme elaborate nell'ordinamento stesso vincolano gli stati o vincolano le istituzioni tra di loro, qui in realtà abbiamo delle norme che sono nate nell'ordinamento dell'UE, siano esse di DIRITTO PRIMARIO (trattato) o di DIRITTO SECONDARIO, che vengono ad incidere direttamente sui diritti e sugli obblighi dei cittadini dei paesi dell'UE. In questo modo abbiamo la norma che in qualche modo è DIRETAMENTE APPLICABILE e crea direttamente in capo ai suoi destinatari dei diritti e degli obblighi sorvolando sull'intermediazione spesso necessaria dello stato che dovrebbe in caso trasporla, darvi attuazione, recepirla ecc. Qui stiamo parlando di norme che hanno un effetto diretto. Cosa vuole dire? Che producono effetti, ma anche diritti e obblighi direttamente in capo ai destinatari. Quindi il soggetto destinatario di quella norma potrà andaredirettamente davanti al giudice nazionale e chiedere l'applicazione di quella norma proprio perché ha effetto diretto. Non deve andare né dal giudice europeo, né deve chiedere l'applicazione della norma interna, può andare direttamente davanti al giudice, in questo caso italiano, a chiedere l'applicazione della norma di diritto UE. Questa è la caratteristica importante. Si parla da questo punto di vista di un effetto diretto delle norme dell'UE negli ordinamenti interni. Questo effetto diretto caratterizza un numero significativo di norme di diritto UE, sia di DIRITTO PRIMARIO (trattati), che di DIRITTO SECONDARIO (atti Unione), sia in taluni casi anche NORME che troviamo negli ACCORDI STIPULATI DALL'UNIONE CON GLI STATI TERZI O DI DECISIONI DEGLI ORGANI CHE SONO STATI ISTITUITI. Abbiamo parlato dell'applicabilità diretta quando abbiamo affrontato i REGOLAMENTI, di cui una delle caratteristiche era proprio la diretta.applicabilità. È solo una distinzione terminologica o esiste una differenza concettuale? Si tratta tutto sommato di una questione che riguarda sul dove si voglia mettere l'accento. Se si parla di "applicabilità diretta" in qualche modo si definisce una qualità dell'atto, ovvero che è provvisto della diretta applicabilità e quindi si caratterizza per questa caratteristica, mentre quando si parla di "effetto diretto" si intende dire che un determinato atto è suscettibile di produrre l'effetto sulla posizione giuridica del singolo, sia esso un diritto o un obbligo, e che tra l'altro non è nemmeno necessariamente il destinatario della norma. Questa è più una distinzione di tipo accademico, non troviamo una distinzione di questo tipo all'interno della giurisprudenza o men che meno nei trattati. Vengono utilizzate con una certa indifferenza entrambe le espressioni per connotare.Uno stesso fenomeno. Quali sono i requisiti identificativi di una norma che è dotata di questa qualità?
Le norme devono innanzitutto essere sufficientemente chiare e precise e l'applicazione non deve richiedere l'emanazione di ulteriori atti, né dell'Unione, né di autorità nazionali, ad integrarla, implementarla o completarla.
Quindi ad esempio le norme che prevedevano la libera circolazione delle merci, l'abolizione delle tariffe doganali al termine del periodo transitorio, o che imponevano agli stati di abolire le diverse restrizioni alla libera circolazione di capitali e così via, sono tutte norme dotate dell'effetto diretto.
Lo stesso vale per altre caratteristiche di norme che vedremo per altre libertà. Non sempre a queste norme era stata data attuazione, soprattutto nell'ambito della libera circolazione delle persone o il riconoscimento dei diplomi o altre norme che dovevano facilitare la libera circolazione.
La Corte di Giustizia però ha ritenuto che alla scadenza del termine comunque il principio di libera circolazione avesse effetto diretto, quindi anche perché non ci fossero state queste norme comunque s