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L’IMPRESA AGRARIA
Formazione storica
La parola “impresa agricola” compare per la prima volta nel Codice Civile del 1942.
Art. 2082 Codice Civile da la definizione di imprenditore.
“È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi.”.
Art. 2135 Codice Civile da la definizione di imprenditore agricolo.
“È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo,
selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività
dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso,
di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque
dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo,
dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del
fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o
servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente
impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio
e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.”.
In passato codice civile e codice di commercio erano separati ed ogni codice aveva una sua
definizione di obbligazione.
Per il vecchio codice civile il contratto era il modo con il quale la proprieta’ era acquistata o
trasmessa.
Per il vecchio codice commerciale al centro non stava la proprieta’ ma il contratto come
strumento di speculazione.
Art. 3 faceva una lista delle attivita’ commerciali.
Art. 5 escludeva che costituisse atto di commercio la vendita dei prodotti del fondo suo o altrui.
La funzione commerciale si riteneva esserci solo la compera per rivendere, mentre l’acquistare
un prodotto del fondo suo o altrui era fatto per uso personale e non per attivita’ intermediaria
per poi rivendere.
In sostanza e’ come definire l’agricoltura un’attivita’ civile e non invece commerciale.
L’allevamento fa parte dell’attivita’ agricola.
Il problema era se si fosse in presenza di imprenditore commerciale o agricolo e in che
categoria rientrasse l’attivita’ di trasformazione del prodotto .
Es. Uno coltiva le olive, dalle olive viene prodotto olio e poi viene venduto.
Problema era vedere quando l’attivita’ diventi commerciale e si possa quindi parlare di
imprenditore e attivita’ commerciale.
Es. La Cirio e’ ovvio che svolge attivita’ commerciale vendendo il proprio prodotto; piu’
difficoltoso e’ dare queste definizioni in presenza di un contadino che venda il prodotto del
proprio fondo al dettaglio.
Primo criterio di definizione e’ quello della prevalenza.
Attivita’ e’ commerciale o agricola a seconda della prevalenza dell’attivita’ svolta.
Criterio vale anche per la distinzione tra commerciale e civile.
Secondo criterio e’ quello della necessita’.
Per sapere se attivita’ e’ agricola o commerciale si deve guardare se la trasformazione del
prodotto e’ necessaria per la conservazione o la vendita del prodotto.
Terzo criterio e’ quello dell’accessorieta’.
Questo si contrappone all’autonomia; se una cosa non e’ accessoria allora e’ autonoma.
Se una cosa mantiene una funziona strumentale rispetto alla funzione produttiva, allora si puo’
parlare di attivita’ agricola.
Se invece la funzione produttiva e’ autonoma allora si ha la commercialita’ dell’attivita’.
Si utilizzano questi criteri fino che Arcangeli non formula negli anni ‘30 il criterio della
normalita’.
Afferma che la nozione di commerciale o agricolo si desume dalla realta’,si desume
guardando cosa fa colui che normalmente fa colui che va definito, l’esercizio normale
dell’attivita.
Questa tesi ha tra i vantaggi quello di poter facilmente seguire l’evoluzione della societa’ e
delle attivita’ commerciali e agricole.
Nel 1942 con il Codice Civile prevale il criterio dell’accessoriteta’.
Coltivazione del fondo e’ attivita’ agricola, allevamento e’ attivita’ agricola e anche attivita’ di
trasformazione quando questa e’ accessoria e non autonoma rispetto all’attivita’ principale che
e’ la coltivazione del fondo, e’ attivita’ agricola.
Nel 1920 c’e’ progetto di riforma Vivante (?).
Art. 4 dice che atti attinenti all’agricoltura non sono commerciali.
Rocco proponeva invece eliminazione di questa norma perche’ voleva che appartenesse alla
commercialita’ anche l’agricoltura svolta in forma imprenditoriale.
Formula finale fu di compromesso tra queste due posizioni.
Formula finale del 1920 di Arcangeli: atti attinenti all’agricoltura non sono commerciali a
meno che questa non sia esercitata come impresa di trasformazione e di vendita dei prodotti.
Trasformazione e vendita dei prodotti svolti in forma di impresa non sono quindi
1925 progetto D’Amelio.
Le operazioni relative all’agricoltura non sono atti di commercio, le vendite e gli spacci che il
contadino fa aperti al pubblico sono regolati dal Codice Commerciale.
Quindi si dice che atti relativi all’agricoltura non sono atti di commercio; gli atti di vendita dei
prodotti agricoli sono atti commerciali, ma chi vende non e’ commerciante.
1940 progetto Asquini.
Esercizio dell’agricoltura e pastorizia anche se organizzato ad impresa non ha natura
commerciale, ma ha natura commerciale cio’ che non rientra nell’esercizio normale di una
impresa agricola.
Non e’ il fatto che sia svolto in forma di impresa il qualificare come commerciale o meno
un’attivita’, ma l’attivita’ di alienazione e commercializzazione.
1948 progetto preliminare del libro delle imprese e del lavoro.
Materia dell’impresa diventa un libro del Codice Civile dopo l’unione con il Codice
Commerciale.
Art. 23 del progetto dice che impresa agricola ha ad oggetto un’attivita’ agricola autonoma
compiuta su fondo proprio o altrui per alienazione e trasformazione dei prodotti.
Art. 26 del progetto dice che impresa agricola e’ quella che ha ad oggetto impresa agricola,
forestale o di allevamento.
Queste sono le basi dell’art. 2135 del Codice Civile odierno.
C’e’ tripartizione dell’attivita’ agricola con il criterio formulato che e’ quello
dell’accessorieta’.
Codice del 1942 all’art. 2135 accoglie questa idea ma non il discorso dell’autonomia
dell’attivita’,ma accetta invece il criterio della normalita’, dell’esercizio normale dell’attivita’.
Quando esce nel 1942 (poi e’ stato modificato) si reputa agricola attivita’ di alienazione e
trasformazione dei prodotti quando questa fa parte del normale svolgimento dell’attivita’.
Nel Codice Civile il contratto era visto come strumento mediante il quale la proprieta’ veniva
acquistata o trasmessa.
Nel Codice di Commercio invece il contratto era uno strumento di speculazione disancorato
dalla proprieta’.
Al centro del Codice del Commercio stava il contratto, al centro del Codice Civile stava la
proprieta’.
Art. 5 Codice di Commercio diceva che non sono atti di commercio la rivendita, ne la vendita
che proprietario coltivatore fa dei prodotti del fondo suo o altrui da lui coltivato.
Da qui si ricava immagine di agricoltura come attivita’ civile d’eccellenza.
Problema fondamentale era che mancava una nozione di agricoltura precisa.
Le trasformazioni dei prodotti agricoli erano le ipotesi piu’ di difficile interpretazione.
Es. la trasformazione dal latte a formaggio come doveva essere considerata?
Criteri proposti in passato erano quelli della prevalenza, quello della necessita’, quello
dell’accessorieta’ e fu poi introdotto da Arcangeli il criterio della normalita’ (cio’ che fa
normalmente l’agricoltore).
Dal Codice del 1865 al Codice del 1942 si assiste ad una evoluzione dell’agricoltura, che non
accetta piu’ di essere considerata mero coltivamento del fondo.
Attivita’ agricola diventa sempre piu’ un’attivita’ produttiva e assume le caratteristiche peculiari.
Nacque la domanda se l’agricoltura dovesse essere separata o meno dalle altre attivita’
commerciali.
Questo si sente in modo chiaro quando comincia a porsi la necessita’ del Codice Civile e del
Codice di Commercio.
Ci sono diversi progetti, l’ultimo dei quali si chiama “Progetto preliminare del libro dell’impresa
e del lavoro”.
Questo unisce i due codici, non ci sono piu’ due testi distinti, ma uno unico.
Avviene la “commercializzazione” del libro del diritto civile.
Unificazione dei due codici porta alla distinzione tra commerciante e imprenditore agricolo.
Art. 23 del progetto preliminare dice che “impresa agricola ha per oggetto esercizio di attivita’
agricola, forestale o di allevamento, sul fondo proprio o altrui”.
Attivita’ agricola quindi e’ una delle tre diverse specie dell’impresa agricola.
Art. 26 de progetto preliminare dice che imprenditore agricolo che organizzi un’attivita’
autonoma per alienazione dei prodotti agricoli viene considerato commerciante.
Si adotta in questo caso il criterio dell’accessorieta’ poiche’ ”autonomo” e’ il contrario di
“accessorio”.
C’e’ comunque individuazione delle attivita’ essenzialmente agricole, cioe’ un soggetto che
esercita queste attivita’ allora e’ agricoltore.
Un soggetto che eserciti coltivazione del fondo, attivita’ forestali oppure allevamento, allora e’
agricoltore.
Questi articoli danno risposta anche ai processi di trasformazione; se questa e’ autonoma
allora questa sara’ un’attivita’ commerciale, se invece questa e’ un’attivita’ accessoria allora
questa sara’ considerata un’attivita’ agricola.
Nel 1942 esce il Codice che unifica il Codice Civile il Codice di Commercio.
Libro V del Codice Civile viene intitolato “Del lavoro e dell’impresa”.
Anche qui abbiamo una inversione del rapporto tra genere e specie.
Categoria specifica e’ il commerciante; la categoria generale e’ l&rsqu