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CASSA INTEGRAZIONE e LICENZIAMENTI COLLETTIVI
L’art. 11 della legge 604/66 individua anche il caso dei licenziamenti collettivi, esclusi dalla
disciplina della legge in questione, e per i quali vige una disciplina differente. Per un lungo periodo
è stata utilizzata la disciplina dei contratti collettivi per regolamentarli, in seguito invece intervenne
l’UE con una serie di direttive. La legge di riferimento è la 223/91, prevedendo due forme di
licenziamento collettivo, una prevista dall’art.4 e una dall’art.24. L’art.4 ha, però, una stretta
connessione con un altro istituto, già disciplinato negli articoli dall’1 al 3 della medesima legge,
oggi abrogati, ed ora disciplinato dal decreto 148/2015, ovvero quello della cassa integrazione.
La cassa integrazione è uno strumento a sostegno del reddito, ma, diversamente dagli altri,
spetta ad un lavoratore che ha ancora un rapporto di lavoro subordinato in corso, che ha subìto
una sospensione del proprio rapporto per esigenza e richiesta del datore in seguito a determinate
causali. Nel caso venga concessa la cassa, il datore può sospendere unilateralmente i rapporti di
lavoro. La cassa integrazione è un istituto antico, che ha subìto un’evoluzione nel corso degli anni
e che ha la funzione di obbedire all’interesse del datore di non disperdere del proprio organico e
per il lavoratore di non essere licenziato. Questo istituto opera solamente in alcuni settori, in
particolare da sempre in quello industriale, distinguendosi in due tipologie di intervento (ordinario o
straordinario), dipendendo anche dalle dimensioni dell’impresa (deve avere più di 15 dipendenti),
e, inizialmente, solamente gli operai potevano beneficiarne, mentre invece oggi sono inclusi anche
gli impiegati. In quei settori “scoperti” dalla possibilità di fruire di tale istituto, senza la tutela della
cassa, per intervenire ogni anno è stata finanziata la “cassa integrazione in deroga”. Tra le due
tipologie di interventi, il primo a nascere è stato quello ordinario, il cosiddetto CIGO, utilizzato per
degli interventi temporanei, con l’impresa che si sarebbe ripresa dalle difficoltà nel giro di qualche
anno. La CIGS, invece, ovvero l’intervento straordinario, è nato dopo rispetto a quello ordinario e
prevede una dimensione temporale più lunga e spesso, alla fine, non tutti i lavoratori riescono a
tornare a lavorare, per cui molti vengono licenziati.
Oggi il riferimento normativo riguardo all’istituto della cassa integrazione è individuabile nel decreto
148/2015. Ne possono fruire, secondo l’art.1, tutti i lavoratori che devono aver mantenuto
un’anzianità minima di 90 giorni; secondo l’art.3 al lavoratore spetterebbe l’80% della retribuzione,
venendo però previsti dei massimali tali per cui si può perdere anche di più rispetto al 20% della
retribuzione. L’art.4 si sofferma sulla durata fissata della cassa, per cui è previsto ora un utilizzo più
difficile e più costoso, che corrisponde ad una durata massima complessiva (intervento ordinario+
speciale) di 24 mesi in un quinquennio mobile per ogni unità produttiva. L’art.8 si sofferma su
alcune condizionabilità e politiche attive del lavoro, prevedendo un patto di servizio personalizzato
anche per il cassa-integrato con una sospensione delle proprie ore lavorative superiore al 50%.
Nel comma 2 si afferma che tale lavoratore può prestare altre attività lavorative, ma devono essere
dichiarate, con conseguente perdita della retribuzione per queste giornate. L’art.10 individua una
serie di ipotesi per attuare un intervento CIGO, non prevedendo un vincolo minimo di dipendenti
(industriali, non artigiani). Le ipotesi più comuni di intervento CIGO sono per “eventi transitori non
imputabili all’impresa e ai dipendenti” (es: intemperie), o per “situazioni temporanee di mercato”.
L’art.12 afferma che la durata del CIGO è previsto per 13 settimane continuative, prorogabili fino
ad un massimo di 52 settimane. La CIGS, invece, può essere esercitata solamente dalle imprese
con più di 15 dipendenti, solitamente industriali. Le causali di intervento sono previste dall’art.21, in
merito a: 1) riorganizzazione aziendale, con una durata massima di 24 mesi; 2) crisi aziendale, con
una durata massima di 12 mesi, anche se può essere richiesta alla scadenza dei 12 mesi in
seguito alla ripresa dell’attività dell’azienda per un periodo di 2/3 del tempo di durata della cassa;
3) contratto di solidarietà, un contratto collettivo stipulato nell’impresa. L’oggetto del contratto è
quello di ridurre l’orario dei lavoratori al fine di evitare il licenziamento, oppure quello di permettere
l’assunzione di lavoratori esterni. Ha una durata massima, in questo caso, di 24 mesi.
Viene prevista anche una nuova disciplina per quanto riguarda la “cassa in deroga”, per tutti i
datori dei settori non coperti. Devono essere costituiti dei fondi di solidarietà dai sindacati dei datori
e dei lavoratori, per tutte le imprese con più di 5 dipendenti.
I licenziamenti collettivi sono, invece, regolamentati dalla legge 223/91. Sono previste due
ipotesi di licenziamenti collettivi, una all’art.4 e una all’art.24. Secondo l’art.4, l’impresa che ha già
fruito della CIGS, nel caso di attuazione del programma, rendendosi conto di non riuscire a
reimpiegare tutti i lavoratori cassa-integrati, può attuare un licenziamento collettivo, per una parte
di questi lavoratori, ma anche per tutti. L’art.24, invece, individua l’altra ipotesi, secondo la quale il
datore non ha fruito della cassa integrazione, ed è attuabile in merito ad alcuni presupposti, come
nel caso di riduzione o trasformazione di attività o lavoro.
Per effettuare un licenziamento collettivo il datore dichiara l’intenzione di licenziare almeno 5
lavoratori in un arco temporale di 4 mesi (120 giorni), all’interno della stessa unità produttiva o di
più unità della stessa Provincia. Le disposizioni non si applicano in alcuni casi, come quelli delle
attività stagionali o saltuarie, della scadenza di imprese edili, ecc.
L’art.4.2 si sofferma sulla procedura. In merito al datore persiste un obbligo di comunicazione ai
sindacati in azienda, o, in loro mancanza, a quelli provinciali ma anche a DTL, Regioni e Province,
indicando le ragioni per cui si procede ad un licenziamento collettivo. I sindacati, a questo punto,
hanno ha disposizione 7 giorni per richiedere un “esame congiunto”, ovvero una trattativa con il
datore, con l’obiettivo di giungere ad un accordo. La trattativa può durare per un massimo di 45
giorni, dopo i quali, in mancanza di un accordo, si può riprendere per altri 30 giorni coinvolgendo in
questo caso anche il Ministero del Lavoro (se si tratta di un’impresa nazionale) o la Regione (se si
tratta di un’impresa locale). Terminata anche la seconda trattativa, in assenza di accordo, si
procede con il licenziamento, mentre, nel caso di accordo, gli si dà adempienza. Nel caso non
venga rispettata la procedura, il licenziamento diventerà inefficace.
L’art.5 individua i criteri di scelta, solitamente utilizzati, per scegliere il lavoratore da licenziare.
Solitamente vengono individuati dai contratti collettivi, ma, in loro assenza, vengono stabiliti dalla
legge in merito a vari parametri, tra cui: a) i carichi di famiglia; b) l’anzianità di servizio; c) le
esigenze tecnico-produttive e organizzative. Il licenziamento è considerato annullabile nel caso
non vengano rispettati i criteri di scelta.
Le sanzioni che operano nel caso di licenziamenti collettivi devono essere distinte, anche in questo
caso, tra quelle rivolte a lavoratori assunti prima del 7 marzo, o per quelli assunti dopo al 7 marzo.
Per i primi non è prevista la forma scritta e si ha una piena reintegrazione, mentre nel caso di
violazione di criteri di scelta si attua una reintegrazione debole e per violazione di criteri procedurali
si avrà un’indennità che può variare da 12 a 24 mensilità. Per i secondi, ovvero i lavoratori assunti
dal 7 marzo 2015, nel caso non vengano rispettati i criteri di scelta o procedurali, si avrà la
medesima sanzione dei licenziamenti individuali, venendo previste 2 mensilità per ogni anno di
anzianità. ESTERNALIZZAZIONE
Fenomeno denominato in inglese “Out-searching”; fenomeno con cui l’impresa non
si organizza solo nel fornire servizi ma utilizza anche imprese esterne che sono
.integrate nel processo produttivo
:Oggi ci sono elementi nuovi
L’esternalizzazione riguarda anche l’attività centrale dell’impresa che .1
.viene esternalizzata mantenendo solo il marchio
.Questo fenomeno era soggetto a limiti normativi che sono stati eliminati .1
.Con la globalizzazione l’esternalizzazione riguarda tutto il globo .2
La legge Biagi ha inciso molto in questo ambito andando ad abrogare la vecchia
;legge 1369/1970
:Gli istituti che riguardano l’esternalizzazione sono
υ
CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO – LAVORO
;INTERINALE
υ
;CONTRATTO DI APPALTO υ
TRASFERIMENTO DI RAMO D’AZIENDA: nasce come istituto a tutela
dei lavoratori, ma nella fase più recente assistiamo al fenomeno del trasferimento di
.una parte dell’azienda
.Legge 1369/1970 abrogata dalla Legge Biagi
:Introduce due principi distinti
ART.1 - DIVIETO DI INTERPOZIONE ILLECITA’ - : vieta .1
l’interposizione di lavoro o manodopera. Chiedo ad un soggetto esterno non di
garantirmi un’opera o un servizio, ma di darmi i lavoratori che lui ha assunto. Questo
istituto è chiamato “pseudo-appalto”, ed è utilizzato dagli interponenti (i famosi
caporali). Resta comunque vietata oggi nonostante l’abrogazione. È stata eliminata la
sanzione penale e sono state introdotte eccezioni a questo divieto con il contratto di
somministrazione di lavoro; il divieto resta poiché la somministrazione la posso fare
solo a determinate condizioni, cioè che la somministrazione sia esercitata solo dalle
.agenzia di somministrazioni previste dalla Legge Biagi
ART.3 - OBBLIGO DI PARITA’ DI TRATTAMENTO -: riguarda gli .1
appalti; se si tratta di appalti interni all’organizzazione del committente (appaltante),
vige la regola di parità di trattamento tra dipendenti del committente e
dell’appaltatore. Questo obbligo viene meno nel 2003 e l’appalto viene effettuato
.sopratutto per risparmiare
- SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO – LAVORO INTERINALE
Inizialmente prese il nome di lavoro temporaneo, in quanto l’utilizzo dell’impresa
terza del