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P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, dichiara che in assenza di un contratto, si è instaurato un rapporto di tipo
subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. dal momento della conclusione tacita del contratto di lavoro. Condanna
la tabaccheria s.s. a tutte le conseguenze di legge connesse a tale accertamento. Le spese seguono la
soccombenza.
Dr. Pascuzzi
25.febbraio.2016: prova di diritto del lavoro (parte seconda, contratti di lavoro e rapporto di lavoro
subordinato).
1.marzo.2016: Sanzioni disciplinari.
Art. 2106 c.c. “
L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo alla applicazione di
sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione, dagli usi o secondo equità.
L'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento
delle ferie.
Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell'articolo 2118 ”.
Il potere disciplinare e gli obblighi del rapporto di lavoro subordinato non valgono per il rapporto di lavoro
autonomo.
Il codice contiene due norme dedicate al recesso:
Recesso dal contratto a tempo indeterminato.
Art. 2118 c.c. “
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il
preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità.
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente
all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del
prestatore di lavoro ”.
** il modello che il codice civile sposava è dato dall’art. 2118 c.c. recesso dal contratto di lavoro
disciplinato dagli artt. 2094 e ss.
Questo modello è un modello estremamente semplice. Come si scioglie un contratto di lavoro? Una
delle parti deve dare all’altra un congruo preavviso.
Ed in mancanza di preavviso bisogna dare all’altra parte un’indennità equivalente all’importo della
retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Se il periodo di preavviso di due mesi in mancanza di preavviso devo pagare al soggetto due
mensilità.
I contratti devono potersi sciogliere! La legge deve consentire alle parti di svincolarsi. Il modello entra
in crisi quando si comincia a ragionare (a partire dalla Carta Costituzionale) del valore del lavoro come
bene che non facilmente si può equiparare ad altre merci.
** nella prassi, negli anni successivi al codice, qualcuno comincia a dubitare che questo modello sia un
modello che tiene. Non sarà che questo modello è troppo libero? E che tutela più una parte rispetto
ad un’altra?
Problema che arriva fino alla Corte Costituzionale: sent. 45/1965. Sentenza che è importantissima e che 74
permette di fare riflessioni sulla sostanza del problema!
Momento: Dopo il codice, dopo la Costituzione ma prima dell’emanazione dello Statuto dei Lavoratori.
Che cosa succede in questa vicenda? Succede che in qualche sede giudiziaria del paese si discute del tempo
proposto prima. Non sarà che in regime del recesso, previsto dall’art. 2118 c.c., così libero è disallineato dalla
Costituzione?
La Corte si trova a dovere affrontare questo problema.
La vicenda nasce dal fatto che un giudice solleva la questione di legittimità costituzionale del c.1. dell’art. 2118
c.c. il quale si trova in contrasto con gli artt. 2-3-35-36-37-38-39-40-41-43 e 46 della Costituzione.
La Corte comincia con una valutazione su qual è la norma potenzialmente in contrasto con l’art. 2118 c.c.
Sebbene il giudice a quo faccia riferimento a numerose norme costituzionali relative al lavoro o che sulla
“
disciplina del lavoro possano avere incidenza (artt. 1, 2, 3, 35-41, 43 e 46 della Costituzione), la motivazione
dei provvedimenti di rimessione rende evidente che il richiamo a disposizioni diverse dall'art. 4 della
Costituzione é operato solo in funzione dell'interpretazione di quest'ultimo.
L'oggetto del presente giudizio é da ritenere perciò circoscritto al raffronto fra l'art. 2118, primo comma, del
Codice civile e l'art. 4, primo comma, della Costituzione, e di conseguenza la Corte non può portare il suo
esame su altre questioni di legittimità della norma in riferimento a precetti costituzionali diversi da quello di cui
le ordinanze assumono la violazione, ed in particolare sul problema - ampiamente trattato, specialmente nella
discussione orale, dalle parti costituite - dei limiti che l'iniziativa privata incontra, ai sensi del secondo comma
dell'art. 41 della Costituzione, nel suo estrinsecarsi attraverso l'autonomia contrattuale in materia di rapporto di
lavoro a tempo indeterminato ”.
** la norma su cui devo scrutinare è l’art. 4, la quale sancisce il diritto al lavoro di ogni cittadino.
La Corte anticipa la sua valutazione al paragrafo 3, la valutazione è che la questione nei termini e nei limiti in
cui è stata proposta non appaia fondata.
Questa decisione è importante per quello che “dice senza dirlo”. Sentenza monito! La Corte lo dice
dichiara non fondata, nei sensi di
chiaramente ma la decisione, dal punto di vista formale, della Corte è che “
cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2118, primo comma, del Codice civile, in
riferimento all'art. 4, primo comma, della Costituzione ”.
Da siffatta interpretazione deriva che l'art. 4 della Costituzione, come
La Corte dice nell’ultimo passaggio che “
non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un'occupazione (il che è reso evidente dal
ricordato indirizzo politico imposto allo Stato, giustificato dall'esistenza di una situazione economica
insufficiente al lavoro per tutti, e perciò da modificare), così non garantisce il diritto alla conservazione del
lavoro, che nel primo dovrebbe trovare il suo logico e necessario presupposto ”.
** l’art. 4 Cost. è una norma programmatica.
La Corte salva il principio di libertà contrattuale ma aggiunge un elemento importante contenuto nel paragrafo
Con ciò non si vuol dire che la disciplina dei licenziamenti si muova su un piano del tutto
4, il quale afferma “
diverso da quello proprio dell'art. 4 della Costituzione.
Se, infatti, è vero che l'indirizzo politico di progressiva garanzia del diritto al lavoro, dettato nell'interesse di tutti
i cittadini, non comporta la immediata e già operante stabilità di quelli di essi che siano già occupati, ciò non
esclude, ma al contrario esige che il legislatore nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale
adegui, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo
indeterminato al fine intimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose garanzie -
particolarmente per quanto riguarda i principi fondamentali di libertà sindacale, politica e religiosa,
immediatamente immessi nell'ordinamento giuridico con efficacia erga omnes, e dei quali, perciò, i pubblici 75
poteri devono tener conto anche nell'interpretazione ed applicazione del diritto vigente - e di opportuni
temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti.
Già in altra occasione (cfr. sentenza n. 7 del 1958) la Corte ha rilevato che il potere illimitato del datore di
lavoro di recedere dal rapporto a tempo indeterminato non costituisce più un principio generale del nostro
ordinamento. Aspetto particolare di una disciplina che, in quanto riguarda tutti i contratti di durata a tempo
indeterminato, non concede la dovuta rilevanza alla peculiare natura del rapporto di lavoro ed alla posizione
del lavoratore nell'impresa, l'art. 2118 c.c. stato progressivamente ristretto nella sua sfera di efficacia sia da
provvedimenti legislativi, i quali a tutela di particolari interessi dei lavoratori hanno limitato o
temporaneamente precluso il potere di recesso del datore di lavoro (cfr. da ultimo legge 9 gennaio 1963, n. 7),
sia, soprattutto, da anche recentissimi accordi sindacali. Questi ultimi dimostrano che le condizioni economico-
sociali del Paese consentono una nuova disciplina, verso la quale l'evoluzione legislativa viene sollecitata anche
da raccomandazioni internazionali (cfr. 46 e 47 sessione della Conferenza internazionale del lavoro) ”.
** la Corte dà il monito al Parlamento! La Corte rinvia alla discrezionalità del legislatore affinché sia assicurata
la continuità del lavoro.
Nel 1966 il Parlamento approva la L. 604/1966 prima legge extra codice che regola un profilo relativo al
rapporto lavorativo così importante come il recesso.
** cambia lo scenario. L’art. 2118 c.c. resta ma viene svuotato dal suo campo di applicazione del legislatore, il
quale toglie quasi tutti i rapporti lavorativi dall’articolo del codice.
In poche parole il legislatore “svuota una norma codicistica e riempie una legge”.
Tutti i rapporti di lavoro che non necessitano di una protezione particolare sono protetti tuttora dall’art. 2118
c.c.
Ad es. rapporti di lavoro domestico (legame molto stretto tra le persone e l’imprenditore, come datore di
lavoro). Il contratto di lavoro subordinato dopo il ’66 non si può più sciogliere mediante in semplice preavviso.
Perché la sentenza è importante anche oggi? Oggi ci troviamo (Jobs Act) ad aver fatto un passo indietro, in
quanto si è reso più semplice il recesso dal contratto di lavoro. Si sta tornando verso l’art. 2118 c.c.
È importante vedere quanto questa decisione ha costituito una svolta!
Legge 15 luglio 1966 n.604 Norme sui licenziamenti individuali (licenziamento = recesso datoriale) pubblicata
nella G.U. n.195 del 6 agosto 1966.
** è il datore e solo il datore di lavoro che licenzia!
La norma è molto ben scritta, disciplina molto pulita e lineare che si innesta nella disciplina del codice
cambiandone il significato.
Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti
Art. 1 “
pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o
individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art.
2119 del Codice civile o per giustificato motivo ”.
Il licenziamento deve avvenire per due ipotesi:
1. Per giusta causa, la giusta causa il legislatore la riconduce a quella disciplinata dal codice civile (art.
2119 c.c.).
Il legislatore rende la giusta causa la prima gi