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SUBORDINATO.
Ci sta dicendo in sintesi che la nostra configurazione giuridica è tale da avere una rigida
correlazione fra:
- tipo
- e disciplina.
Vuol dire che il nostro ordinamento si basa sull’idea che esistono dei contenitori indisponibili alle
parti e il tipo lavoro subordinato ha una disciplina inderogabile che non può mai essere modificata
né dalla legge né dalle parti.
La Corte qui ci sta dicendo che il suo ragionamento poteva essere diverso se l’ordinamento fosse
stato costruito in un altro modo. Le tutele, le discipline sono corrispondenti al tipo.
Immaginiamo l’ipotesi opposta in cui l’ordinamento fosse caratterizzato dalla detipizzazione del
contratto di lavoro —> situazione nella quale in cui io non ho più il tipo inderogabile, le figure, ma
avrei una disciplina che parte dalla tutela (es. disciplina che dice che tutti coloro che lavorano hanno
un salario minimo di 20 euro —> qualunque sia il tipo comunque ci deve essere questo minimo). La
detipizzazione significa procedere per tutele e non per tipi contrattuali.
—> Un ordinamento che lavora sui tipi ha le figure giuridiche a cui corrisponde la tutela, per lo più
costruita sul principio di inderogabilità.
—> Un ordinamento che lavora sulle tutele ha delle tutele trasversali che operano a prescindere dal
tipo di contratto. Tutelano la persona che lavora, nel senso di collegare la tutela del lavoratore alla
prestazione in sé, indipendentemente dal tipo di contratto in cui è dedotta —> tutelo una condizione
(es. salario minimo) a prescindere da qual è il contratto in cui questo è dedotto.
Per l'applicazione degli altri aspetti della tutela del lavoro, invece, e in particolare di quelli
concernenti la retribuzione, assume rilievo non tanto lo svolgimento di fatto di un'attività di lavoro
connotata da elementi di subordinazione, quanto il tipo di interessi cui l'attività è funzionalizzata e
il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita. Devono cioè concorrere tutte le
condizioni che definiscono la subordinazione in senso stretto, peculiare del rapporto di lavoro, la
quale è un concetto più pregnante e insieme qualitativamente diverso dalla subordinazione
riscontrabile in altri contratti coinvolgenti la capacità di lavoro di una delle parti.
Per avere lavoro subordinato devono sussistere tutte le condizioni che definiscono la subordinazione
in senso stretto. 194
La differenza è determinata dal concorso di due condizioni che negli altri casi non si trovano mai
congiunte: l'alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui
conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, e l'alienità dell'organizzazione produttiva in
cui la prestazione si inserisce. Quando è integrata da queste due condizioni, la subordinazione non
è semplicemente un modo di essere della prestazione dedotta in contratto, ma è una qualificazione
della prestazione derivante dal tipo di regolamento di interessi prescelto dalle parti con la
stipulazione di un contratto di lavoro, comportante l'incorporazione della prestazione di lavoro in
una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo, essendo
costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente
tutelato.
La subordinazione ex art. 2094 c.c. è diversa da tutte le altre situazioni in quanto ci sono due
elementi che la contraddistinguono:
- alienità del risultato
- alienità dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce.
DOPPIA ALIENIT À —> La corte costituzionale sta dicendo che solo nel lavoro subordinato ci
sono questi due elementi. Io lavoro per un risultato che non è mio in un’organizzazione che non
è mia; mentre in tutti gli altri casi queste due cose non sono insieme:
• Lavoro autonomo —> io lavoro per un risultato che è mio e che do ad un altro in relazione ad un
corrispettivo. Non lavoro nell’organizzazione altrui.
• Cooperativa —> io lavoro per un risultato che non è mio, ma l’organizzazione è mia (sono socio;
esercito sull’organizzazione dei poteri di conformazione, di funzionamento, di indirizzo).
La Corte cost. ci sta dicendo che se deve trovare un criterio teorico-razionale, una situazione che ha
delle caratteristiche particolari dice che questa è la SUBORDINAZIONE, perché solo questa ha
degli elementi che tutto il resto non ha.
COLLABORARE NELL’IMPRESA —> alienità dell’organizzazione;
ALLE DIPENDENZE E SOTTO LA DIREZIONE DELL’IMPRENDITORE—> alienità di
risultato.
A differenza del prestatore di lavoro (subordinato) definito dall'art. 2094 cod.civ., il socio
lavoratore di una cooperativa di lavoro è vincolato da un contratto che, se da un lato lo obbliga a
una prestazione continuativa di lavoro in stato di subordinazione rispetto alla società, dall'altro lo
rende partecipe dello scopo dell'impresa collettiva e corrispondentemente gli attribuisce poteri e
diritti di concorrere alla formazione della volontà della società, di controllo sulla gestione sociale e
infine il diritto a una quota degli utili. Questi diritti e poteri, e la correlativa assunzione da parte
dei singoli soci di una quota del rischio d'impresa, giustificano la norma in esame, che li esclude
dalla tutela del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (per ipotesi assunto dallo
statuto della società come elemento del trattamento retributivo complessivo del lavoro dei soci) in
caso di insolvenza della società.
Il fatto che il socio della cooperativa non abbia un’alienità sull’organizzazione, ma anzi abbia
sull’organizzazione diritti e poteri, fa sì che vengano escluse alcune prerogative proprie soltanto
della subordinazione (mancata estensione di discipline proprie del lavoro subordinato).
Il lavoro subordinato è protetto più degli altri dall’ordinamento, perché è l’unico nel quale abbiamo
una condizione di doppia alienità (alieno sia dal risultato che dall’organizzazione). 05/12
195
Torniamo anzitutto sul d.lgs. 81/2015 (Jobs Act) —> a noi interessano in particolare i riferimenti
contenuti nell’art. 2 Collaborazioni organizzate dal committente:
1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche
ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali,
continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Rispetto a questa norma abbiamo detto che si tratta di una norma che ha qualche margine di
ambiguità. Non opera sul piano della fattispecie, ma opera sul piano della disciplina. Fa riferimento
alle collaborazioni, in particolare quelle continuative (prese per la prima volta in considerazione dal
legislatore nel 1973 con la modifica dell’art. 409, n.3, cpc).
Le collaborazioni coordinate e continuative erano quelle che con il d.lgs. 276/2003 erano state
ricondotte al lavoro a progetto.
Questa norma non è del tutto chiara, perché si riferisce a quel tipo di situazioni che si trovano nel
contenitore “lavoro autonomo”, ma che a partire dal 1973 in avanti sono riconducibili ad un
rapporto continuativo e di collaborazione.
Qual è il concetto che non viene chiarito in questa disposizione? Qui non c’è cenno al
coordinamento. Il problema del coordinamento è il problema principale dal punto di vista teorico.
Collaborazioni coordinate e continuative —> cos’è il potere di coordinamento? Per capire cos’è
dobbiamo distinguerlo dal potere di direzione = potere del lavoro subordinato (2094 c.c.).
Il POTERE DI COORDINAMENTO è quello del lavoro autonomo: nel lavoro autonomo (2222)
esiste la possibilità di concepire un potere che il committente esercita sul prestatore di lavoro.
= potere di integrare la prestazione all’interno dell’organizzazione produttiva altrui, all’interno della
propria attività. Il potere di conformare la prestazione dentro al lavoro autonomo assume i tratti del
potere di coordinamento. La collaborazione è autonoma, ma coordinata.
Il legislatore è intervenuto per cercare di dare un’illustrazione di cosa sia precisamente questo
concetto —> Jobs Act dei lavoratori autonomi = legge n. 81/2017
Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire
l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
Art. 1 Ambito di applicazione
1. Le disposizioni del presente capo si applicano ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III
del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina
particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile.
2. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente capo gli imprenditori, ivi compresi i piccoli
imprenditori di cui all'articolo 2083 del codice civile.
La norma più importante di questo decreto è la seguente:
Art. 15 Modifiche al codice di procedura civile
1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 409, numero 3), dopo le parole: «anche se non a carattere subordinato» sono aggiunte
le seguenti: « La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di
coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente
l'attività lavorativa»;
b) all'articolo 634, secondo comma, dopo le parole: «che esercitano un'attività commerciale» sono
inserite le seguenti: «e da lavoratori autonomi». 196
Con questo articolo si modifica l’art. 409, n.3, c.p.c. —> norma che per la prima volta dice che le
collaborazioni coordinate e continuative sono soggette al rito del lavoro.
Questa norma aggiunge il pezzo che fa leva sul chiarimento del concetto di “coordinamento”.
Il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa —> il lavoro è autonomo quando il
potere è sul prestatore. È il lavoratore autonomo che organizza autonomamente l’attività lavorativa.
Nel lavoro subordinato c’è l’eterodirezione, c’è l’organizzazione altrui.
Nel lavoro autonomo, anche quando c’è il coordinamento, anche quando la prestazione è
continuativa nel tempo e coordinata da parte di un altro soggetto, il collaboratore organizza
autonomamente l’attività lavorativa.