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PARITÀ DI TRATTAMENTO E DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI
La Costituzione, all'art 3, sancisce come tutti i cittadini abbiano pari dignità e siano uguali dinnanzi alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Vi è un elenco di fattori vietati di discriminazione che sono messi in relazione con la garanzia di parità di trattamento, nonché con l'attribuzione alla Repubblica del compito di eliminare questi ostacoli, per raggiungere l'uguaglianza sostanziale. Questo elenco non è l'unico: vi sono varie disposizioni anche europee che elencano fattori vietati, ma questi hanno sempre dei punti ssi (sesso, razza e religione). L'elenco della Costituzione è uno dei più tradizionali e meno estesi. La Carta di Nizza, all'art 20, sancisce come tutte le persone siano uguali davanti alla legge e poi, all'art 21, introduce il divieto
di discriminazione fondato su unelencazione più ampia. La parità fra donne e uomini è sancita all’art 23: la parità deve essere assicurata in tutti i campi, compreso nel lavoro. Il principio della parità non osta al prendere misure specifiche che prevedano vantaggi per il sesso sottorappresentato: nel linguaggio europeo infatti, chi ha steso la Carta di Nizza ha introdotto il principio secondo cui le azioni positive in favore delle donne per il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale non ostano al principio di parità. In Italia, i primi interventi in materia di parità hanno preso la forma della tutela: il primo atto legislativo si ha fra la fine dell’800 e l’inizio del’900, quando compare una legge di limitazione dell’orario di lavoro per le donne e i fanciulli. Questa legge serve per limitare lo sfruttamento eccessivo di queste categorie, è il primo atto del lungo percorso che parte come
La legislazione sociale si sviluppa come diritto del lavoro: era intesa come legislazione sociale perché arrivava quando vi era il passaggio dall'economia agricola all'industria. Nei Paesi in cui l'industrializzazione arriva prima, questa legislazione sociale comincia prima, sempre attraverso il principio della tutela nei confronti dell'orario di lavoro (riguardava solo donne e fanciulli). Da qui nasce la formula che fino al 1966 sarà utilizzata: protezione delle mezze forze del lavoro. In realtà, queste due categorie erano molto adatte all'industria tessile ma si pone un problema di protezione contro lo sfruttamento perché c'era la consapevolezza che un eccessivo sfruttamento significava un danno nei confronti delle future generazioni. Fino al 1966 la protezione riguardo l'orario di lavoro accomuna tutte e due le categorie: la protezione ora nei confronti delle donne è rimasta nella materia della tutela della maternità.
mentre per quando riguarda l'orario di lavoro, donne e uomini sono trattate ugualmente (eccezione fatta per il lavoro notturno). Dalla tutela si passa quindi alla parità di trattamento, prima formale e poi, dal 1991 come parità di trattamento sostanziale. La parità di trattamento e il divieto di discriminazione formale porterebbe a dire che le parti sono tutte sullo stesso piano (uguaglianza formale): nel campo delle discriminazioni fra uomini e donne nel lavoro, l'evoluzione dalla parità formale a quella sostanziale si realizza attraverso le azioni positive. Le azioni positive sono ciò che viene evocato all'art 23.2 della Carta di Nizza: misure che prevedono vantaggi specifici per il sesso sottorappresentato. Queste azioni provengono dall'esperienza nordamericana, previste inizialmente per superare le discriminazioni di razza: quando sono arrivate in Europa, si sono inserite nell'ambito della discriminazione di genere (la parola).“genere” non è nell’elenco, ma si ritiene che sia più inclusivo). Vi è un passaggio dalla protezione, alla parità di trattamento no alla parità di opportunità, dove non vige solo il divieto di discriminare ma anche l’adozione di azioni positive per superare le disuguaglianze. Su questi temi, a partire sopratutto dal 1991, si utilizza sia lo strumento repressivo sia quello promozionale (parte da una situazione di fatto di disparità di trattamento per cercare di superarla con misure come le azioni positive: il ne è dare attuazione all’uguaglianza sostanziale ex art 3 cost). Fino agli anni 2000, si è trattata la discriminazione di sesso. In Italia, la l. 903/1997 è la prima legge in materia di parità di trattamento (a livello UE c'è una direttiva del 1996). La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni del lavoratore. Le
condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione (art 37 cost). Riguardo la parità retributiva, no al 1960 fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi nella contrattazione collettiva vi erano tabelle retributive doppie per uomini e donne (retribuzione inferiore del 30%): si giusti cava tramite una lettura dell'art 37 cost che faceva aggiungere il riferimento al rendimento della donna. Uno dei primi interventi della Corte di giustizia riguarda proprio questo argomento (diversa retribuzione delle hostess rispetto agli stuarts di una compagna belga): nel nostro Paese segue a questa sentenza un accordo sindacale 27 che abolisce le doppie tabelle di retribuzione. La parità di retribuzione sostanziale non è comunque ancora stata raggiunta perché vi sono meccanismi più sottili che portano a sottoinquadrare i lavori femminili, a ridurre il loro orario.di lavoro. Le disparità di trattamento retributivo crescono tendenzialmente al crescere del livello della qualificazione del lavoro: più il lavoro è importante, più crescono le discriminazioni retributive (anche nel campo dei liberi professionisti). Si è detto poi che, siccome nel part time lavorano prevalentemente donne, le discriminazioni fra questo e il lavoro tipico è una forma di discriminazione della donna (soprattutto nel ambito UE). Il trend ascendente della protezione della Corte di giustizia si infrange negli anni '90 con la sentenza Kalanke. Nel caso di specie, vi era una legislazione regionale tedesca che introduceva azioni positive, la quale prevedeva che nelle promozioni di carriera, qualora un uomo e una donna avessero parità di qualificazione professionale, se in quella fascia professionale un gruppo era sottorappresentato, il posto andava all'appartenente di quel gruppo (quindi alla donna): c'era un posto di.è un principio generale dell’ordinamento: per essere discriminazione deve essere all’interno di uno dei fattori vietati all’art 3 cost, non ogni trattamento differenziato può essere discriminazione, non esiste un principio generale di parità di trattamento. Nonostante ciò, con il tempo cominciano a spuntare in giudizio nuovi fattori discriminatori (obesità negli USA).
Discriminazione indiretta: quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Nel linguaggio europeo, si ha discriminazione indiretta quando vi sono atti o
Fatti apparentemente neutri che producono un svantaggio rispetto al trattamento ad un certo gruppo. Il caso più semplice è il requisito dell'altezza: l'altezza è un requisito neutro che però creerebbe uno svantaggio per le donne (il requisito dell'altezza lo si potrebbe inserire se indispensabile). Una sentenza della Corte di giustizia dell'ottobre 2017 riguarda l'arruolamento della scuola di polizia in Grecia che richiedeva un'altezza minima di 1.70 m: si è ritenuta una discriminazione indiretta per le donne.
TUTELA DELLA MATERNITÀ E PATERNITÀ
Il Codice delle parità all'art 25.2-bis tratta della tutela della maternità e della paternità: la maggior parte delle discriminazioni sono legate a questo ambito. Nel momento in cui c'è stata un'evoluzione che ha coinvolto nel lavoro di cura anche il padre, diventa più difficile l'inquadramento secco di pari
opportunità di uomo e donna nel lavoro (si avvicina di più alle discriminazioni per i lavori di cura). Nel Codice poi le molestie e molestie sessuali sono considerate discriminazioni: c'è una definizione di mobbing, inteso come comportamento indesiderato connesso al sesso avente lo scopo di intimidire il soggetto. Ad essere mobbizzati possono essere sia uomini che donne.