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CAPITOLO OTTO: LA RETRIBUZIONE NEL RAPPORTO DI LAVORO: FONTI, NOZIONE, STRUTTURA.

1. Fonti individuali e collettive

Sul piano del rapporto individuale la retribuzione costituisce (artt. 2094 e 2099 c.c.) la prestazione fondamentale del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. L'obbligo retributivo connota così il contratto di lavoro come contratto oneroso, di scambio o a prestazioni corrispettive.

Sul piano collettivo le retribuzioni costituiscono una quota cospicua del reddito nazionale e rappresentano uno strumento decisivo per la sua distribuzione fra diversi gruppi e categorie sociali.

La disciplina della retribuzione, per quanto riguarda gli aspetti quantitativi nonché i modi ed i criteri di calcolo, è fondamentalmente determinata dalla contrattazione collettiva, la quale si conferma per tali aspetti la fonte prioritaria di disciplina del rapporto. All'autonomia individuale spetta un ruolo di miglioramento degli standard retributivi stabiliti in sede.

collettiva. La legislazione ordinaria ha svolto un ruolo contenuto, di disciplina di aspetti secondari dell'istituto (forme, modalità di adempimento), fino ai provvedimenti sul costo del lavoro dal 1977 in poi, con i quali si è realizzato per la prima volta un controllo eteronomo delle dinamiche retributive.

Una funzione storicamente di grande rilievo è stata esercitata dalle direttive costituzionali, in materia di retribuzione proporzionata e sufficiente, per il tramite di una intensa opera di interpretazione giurisprudenziale. L'influenza della giurisprudenza è stata considerevole anche nell'interpretazione della complessa disciplina contrattuale dei maggiori profili dell'istituto. La materia retributiva esula dalle competenze comunitarie, salvo per quanto riguarda la parità fra uomini e donne.

2. Corrispettività e principi costituzionali: a) sufficienza e proporzionalità. Il concetto giurisprudenziale di retribuzione

minima. L'obbligo retributivo caratterizza il rapporto di lavoro come rapporto di scambio o a prestazioni corrispettive. La retribuzione rappresenta la controprestazione del datore di lavoro. Tuttavia, nel rapporto di lavoro, tale controprestazione è soggetta ad una disciplina particolare, non riscontrabile in altri rapporti a prestazioni corrispettive. Infatti il nesso di corrispettività fra le prestazioni, così come disciplinato dai contratti sinallagmatici, subisce delle alterazioni (tassativamente previste) in una serie di casi di sospensione del rapporto di lavoro (malattia, infortunio, gravidanza, permessi sindacali, per motivi di studio, etc..); in tali ipotesi è fatto obbligo al datore di adempiere (in tutto o in parte) all'obbligo retributivo nonostante l'assenza di controprestazione. La determinazione quantitativa della retribuzione risulta soprattutto dalla contrattazione collettiva (la legge generalmente si limita a disciplinare

Aspetti secondari dell'istituto della retribuzione, come le modalità d'adempimento; mentre alla contrattazione individuale è solitamente affidato un ruolo di miglioramento degli standard retributivi stabiliti in sede collettiva). Ma la Costituzione contiene al riguardo precetti fondamentali. La norma di riferimento è l'art. 36, ove si sancisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. Il principio di sufficienza richiede un livello retributivo non solo correlato al minimo vitale, ma tale da permettere al lavoratore e alla famiglia un tenore di vita dignitoso, secondo il contesto storico, sociale e ambientale. Il principio di proporzionalità invece esplicita una correlazione della retribuzione con le mansioni svolte dal lavoratore e con il tempo di lavoro.

evidente come non vi sia omogeneità tra i due principi. La sufficienza impone di considerare elementi esterni al contratto, cioè l'inadeguatezza della retribuzione rispetto alle condizioni soggettive del lavoratore. La proporzionalità invece pone l'attenzione sull'equivalenza oggettiva dello scambio tra lavoro e retribuzione. Tuttavia la giurisprudenza, che ha giocato un ruolo essenziale nell'interpretazione della norma, ha sostanzialmente risolto l'antinomia a tutto vantaggio del secondo dei due principi, ritenendo in sostanza sempre e comunque rispettato il canone della sufficienza sol che lo fosse quello di proporzionalità. Infatti il giudice si limita a verificare se la retribuzione è proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato, ritenendo che il livello retributivo così individuato sia di per sé idoneo a soddisfare le esigenze di vita del lavoratore medio e della sua famiglia.

giurisprudenza ha così estrapolato dall’art. 36 un principio unitario di retribuzione minima. Ma vediamo più nel dettaglio il percorso giurisprudenziale.

Innanzitutto va detto che l’art. 36 è norma immediatamente precettiva; dunque il giudice può sindacare se la retribuzione spettante al lavoratore sia conforme al dettato costituzionale. Ma quale livello retributivo può ritenersi conforme ai canoni dell’art. 36? I giudici hanno fatto costante riferimento alla retribuzione base (i c.d. minimi tabellari) prevista dai contratti collettivi di categoria o di settore, considerati quale parametro affidabile a prescindere dalla diretta applicabilità del contratto (c.d. estensione indiretta del contratto collettivo).

Dunque le retribuzioni così individuate costituiscono il livello minimo vincolante per tutti i rapporti di lavoro di quella categoria o di quel settore.

Da ciò discendono due conseguenze. La prima è che i

canoni di sufficienza e proporzionalità non rivestono un valore assoluto ed uniforme per tutte le categorie di lavoratori, ma variano in funzione del settore. La seconda è la prevalenza assoluta del canone della proporzionalità su quello di sufficienza. Infatti i contratti collettivi ricercano un equilibrio tra la prestazione di lavoro e la controprestazione retributiva in una data situazione di mercato, senza occuparsi delle condizioni di vita del singolo lavoratore. Se il contratto individuale non rispetta i canoni di sufficienza e proporzionalità, la relativa pattuizione deve ritenersi nulla per violazione di norma imperativa. Anzi, secondo i principi sulla nullità parziale, trattandosi di nullità di clausola essenziale, la conseguenza dovrebbe essere la nullità dell'intero contratto di lavoro. Tuttavia secondo la giurisprudenza, in questo caso soccorre l'art. 2099 c.c., il quale stabilisce che, in mancanza di norme contrattuali.(collettive o individuali) la retribuzione è determinata dal giudice. Tale percorso però non sembra condivisibile. L'art. 2099 infatti contempla l'ipotesi in cui una retribuzione non sia affatto concordata (attribuendo al giudice il potere di colmare tale lacuna), mentre in tal caso una determinazione della retribuzione vi è stata, per quanto travolta da nullità. In realtà il procedimento seguito dalla giurisprudenza può giustificarsi in base all'art. 1339, in tema di prezzi o clausole imposte, in base al quale, a fronte di un regolamento contrattuale difforme, la conseguenza non è la nullità totale del contratto, ma la correzione del regolamento contrattuale alla stregua della regola normativa (nel caso in questione la retribuzione individualmente concordata è sostituita dalla retribuzione minima legale risultante dall'art. 36 Cost.) Quel che è eccezionale non è tanto il meccanismo dicorrezione del contratto, quanto il fatto di aver riconosciuto efficacia erga omnes ai minimi retributivi individuati dalla contrattazione collettiva per ciascun settore o categoria. Sicché anche i lavoratori dipendenti da imprese non aderenti alle associazioni imprenditoriali stipulanti (e quindi non tenuti ex contractu a rispettare i minimi retributivi) possono richiedere l’applicazione delle tabelle collettive – che venga loro negata dal datore di lavoro. La funzione di supplenza giudiziaria così realizzata nella tutela minima delle retribuzioni è stata estremamente importante, soprattutto in quei settori (lavoro a domicilio, piccole imprese, settori poco sindacalizzati) nei quali la giurisprudenza sulla retribuzione costituisce l’unico elemento di protezione. Infine i principi di sufficienza e proporzionalità retributiva escludono che nel rapporto di lavoro possano adottarsi forme di retribuzione tali da non garantire un compenso al lavoratore.in base al principio di non discriminazione e di parità retributiva, ai lavoratori spetterebbe un medesimo trattamento retributivo, senza possibilità per il datore di trattamenti differenziati. Il principio di non discriminazione inibisce trattamenti differenziati tra gruppi di lavoratori per specifici motivi come sesso, età, religione, ecc. Il principio di eguaglianza, invece, implica una parificazione del trattamento retributivo per lavoratori che ricoprono la stessa posizione professionale.Non può in realtà configurare un principio generale di disparità retributiva nei rapporti inter-privati di lavoro; l'art. 3 Cost. infatti opera solamente nei rapporti con il potere pubblico. Né è possibile supportare il principio di parità retributiva con l'art. 36 Cost., il quale attiene all'equilibrio tra le prestazioni del singolo rapporto di lavoro e non implica dunque un rapporto "orizzontale" di parità retributiva fra diversi lavoratori che si trovino in situazioni analoghe (sicché un lavoratore non potrebbe rivendicare una retribuzione maggiore solo perché altri lavoratori con analoghe qualifiche o mansioni godono di un trattamento più favorevole). Anche la Corte Costituzionale si è espressa sull'argomento, richiamandosi alla normativa legale (art. 16 St. lav) ed internazionale, la cui applicazione garantirebbe il diritto ad un'uguale retribuzione a parità dimansioni.Tuttavia le conclusioni della Corte in merito all'effettiva sussistenza di un principio assoluto di parità retributiva non sono chiare, giacché essa contestualmente ammette che sono tollerabili e possibili disparità di trattamento per lavoratori in posizioni analoghe, qualora simili di
Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
89 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Daniel Bre di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof dell'olio matteo.