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Il diritto di sciopero e i suoi limiti

Dopo l'unificazione dell'Italia e fino al 1889, lo sciopero era considerato un reato, nonché inadempimento contrattuale, per l'estensione a tutto il territorio del Regno d'Italia (tranne per l'ex Granducato di Toscana) del codice penale del Regno di Sardegna. Il sistema repressivo della libertà di sciopero deriva dai principi individualistici della rivoluzione francese e del liberismo con la sua visione paritaria tra prestatori e datori di lavoro, ostile a forme di coalizione per la tutela di interessi economici che potessero in qualche modo ripristinare l'antico associazionismo corporativo. Nel 1889, con l'emanazione del codice penale (codice Zanardelli), il reato di sciopero fu abrogato purché effettuato senza violenza o minaccia, ma restava un inadempimento sul piano contrattuale. Durante il regime fascista e l'introduzione dell'ordinamento corporativo fu reintrodotto il reato.invarie figure criminose, successivamente inserite nell'attuale codice penale del 1931 (codice Rocco)29 Legge 3 aprile 1926, n. 563, R.D. 1 luglio 1926, n. 1130. 19tÑÑâÇà| w| Z|ÉätÇÇ| ZxÇà|Äxcon gli articoli dal 502 al 508 che punivano come delitti tutti i mezzi di lotta sindacale, mentre con gli articoli dal 330 al 333 si punivano con particolare severità lo sciopero dei dipendenti pubblici e degli addetti ai pubblici servizi nel titolo dedicato ai reati contro la pubblica amministrazione. Lo scopo non era quello di reprimere l'attività sindacale che in una forma larvata viveva attraverso le corporazioni, ma di mettere sotto il controllo del giudice le controversie del lavoro. Dopo la caduta del fascismo e l'instaurazione della Repubblica, lo sciopero diventa un diritto tutelato dall'art. 40 della Costituzione: “Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle

leggi cheuna norma definita di completamento alla libertà sindacale dell'art. 39 Cost. che peròlo regolano", 30non menziona la serrata , riconoscendo implicitamente l'ineguale rapporto di forza tra gliimprenditori ed i lavoratori.Tuttavia le norme penali che punivano lo sciopero non furono abrogate, dando luogo ad unacomplessa vicenda di adattamento delle vecchie norme al nuovo sistema costituzionale. Solo lalegge 146/90 abrogò esplicitamente gli articoli dal 330 al 333 del codice penale, di fatto giàinapplicati, con pieno riconoscimento del diritto di sciopero anche ai lavoratori pubblici.Dal 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione, la legge 146/90 è la prima a regolamentare ildiritto di sciopero, fino ad allora se ne era occupata solo la dottrina e la giurisprudenza, inparticolare quella della Corte costituzionale. 31Oggi è ormai scontato il carattere di precettività dell'art. 40 della Costituzione,

essendo stata abbandonata la tesi, a volte utilizzata nei primi tempi in qualche decisone, che considerava meramente programmatica la norma costituzionale, ritenendo addirittura vigenti gli articoli 330 e 333 e dal 502 al 505 del codice penale. Si è quindi consolidato l'orientamento per il quale l'art. 40 della Costituzione è di immediata attuazione, da cui deriva la sostanziale antinomia fra il diritto costituzionale allo sciopero e la sua previsione come reato. In particolare la Consulta, con la sentenza 4 maggio 1960, n. 29, ha dichiarato illegittimo il 2° comma dell'art. 502 c.p. che puniva lo sciopero per motivi contrattuali. La sentenza 29/60 ha origine da un ricorso avverso il 1° comma dell'art. 502, una norma sulla serrata, per il quale il giudice delle leggi sancì che la serrata è legittima, benché non sancita dalla Costituzione, mentre è garantito espressamente il diritto di sciopero con l'art. 40.: per creare paragrafi - : per evidenziare il testo in grassetto - : per evidenziare il testo in corsivo -
: per andare a capo - : per creare un testo in apice - : per creare un testo in pedice Ecco il testo formattato:

Relazione a questo concetto, la Corte costituzionale abroga entrambi i commi dell'art. 502, relativi alla serrata e allo sciopero, perché in contrasto con gli articoli 39 e 40 della Costituzione.

Con una serie di sentenze la Consulta ha distinto lo sciopero politico da quello economico-politico.

Lo sciopero politico in senso stretto, non ha carattere economico ed è quello per influenzare o modificare determinate scelte legislative in merito a specifici problemi. La sua peculiarità è data dal fatto che il datore di lavoro non può soddisfare l'interesse dei partecipanti allo sciopero.

Diverso è lo sciopero economico-politico, diretto ad ottenere o resistere ad interventi relativi alle condizioni socio-economiche dei lavoratori, emanati dalla pubblica autorità. È uno sciopero verso gli organi politici, ma volto ad ottenere o impedire interventi di interesse per tutti i lavoratori.

In un primo tempo, lo sciopero politico venne

Considerato illegittimo, da un lato per l'impossibilità di qualificare come economico professionale l'interesse degli scioperanti e dall'altro perché la rivendicazione non è nella disponibilità del datore di lavoro. Di conseguenza appariva compatibile con l'art. 40 Cost. l'esistenza degli articoli 503 (reato di sciopero politico) e 504 (reato di sciopero per costringere l'autorità a dare o omettere un provvedimento) del codice penale. Infatti, inizialmente la Consulta (sentenze 28 dicembre 1962, n. 123 e 15 dicembre 1967, n. 141) giudica legittimo lo sciopero solo quando è volto a conseguire fini di carattere economico, secondo la collocazione dell'art. 40 nel titolo III, della prima parte della Costituzione.

Sospensione dell'attività imprenditoriale da parte del datore di lavoro, al fine di imporre la sua volontà ai prestatori d'opera in occasione di controversie rapporti economici.

salariali o come rappresaglia.

Una norma costituzionale è precettiva quando è immediatamente impiegabile, senza la necessità dell'emanazione di una legge ordinaria, mentre è programmatica quando invita lo Stato ad intervenire per innovare o realizzare i principi costituzionali.

Successivamente l'orientamento del giudice delle leggi si evolve e con la sentenza 27 dicembre 1974, n. 290 viene abrogato l'art. 503 e giudicata la legittimità dello sciopero politico, perché in attuazione dell'art. 3, comma 2, della Costituzione, in relazione al diritto dei lavoratori di partecipare al progresso economico sociale dello Stato, ma a condizione che non sia diretta a sovvertire l'ordinamento Costituzionale ovvero ad impedire od ostacolare il libero accesso ai diritti e ai poteri nei quali si esprime direttamente od

indirettamente la sovranità popolare. In simmetria con la sentenza del 1974 sull'art. 503, successivamente la Consulta (sentenza 13 giugno 1983, n. 165) riutilizza questo concetto in riferimento all'art. 504: anche lo sciopero dicoazione sulla pubblica autorità non è reato, se non è diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale o ad impedire od ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi della sovranità. La sentenza 28 dicembre 1962, n. 123 della Corte costituzionale, aveva già riconosciuto una sostanziale illegittimità costituzionale anche dell'art. 505 per lo fatto dai sciopero di solidarietà lavoratori per ragioni non inerenti al loro rapporto di lavoro, ma per solidarizzare con le rivendicazioni di altri gruppi o anche contro la lesione degli interessi di un singolo lavoratore. La Consulta ha affermato la legittimità di questa forma di sciopero, ma a condizione che il giudice di meritoverifichi l'esistenza di interessi comuni tra i due gruppi di lavoratori. Ad esempio, i lavoratori dell'ILVA di Taranto possono scioperare per solidarietà con quelli di Genova, per reclamare una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro, anche se le condizioni dell'impianto tarantino sono migliori di quello genovese. La sussistenza di una comunanza di interessi che la Corte costituzionale demanda al giudice di merito, per alcuni è in violazione della libertà sindacale, perché un organo dello Stato deve decidere quali sono gli interessi comuni dei lavoratori. Tuttavia, questo giudizio arriva quando non era stata ancora elaborata la sentenza interpretativa di accoglimento e questo spiega la permanenza in vigore dell'art. 505, sia pure con la riserva di applicare nel caso concreto, l'esimente dell'esercizio del diritto, anche se non risulta alcuna giurisprudenza. Il diritto di sciopero e di attività sindacale, esplica i suoi.effetti nei rapporti con il datore di lavoro ed è un deterrente per evitare questi compia atti che possano ledere l'esercizio dei diritti dei lavoratori. Questo principio trova conferma nell'art. 4 della legge 604/66, per il quale è nullo illicenziamento determinato dalla partecipazione ad attività sindacali ed allo sciopero. Questa tutela venne ulteriormente ed esplicitamente estesa, dagli art. 15 e 16 della legge 300/70, contro ogni discriminazione operata ai danni del lavoratore per la sua partecipazione allo sciopero, nonché di ogni atto del datore di lavoro diretto ad impedire o limitare l'esercizio di questo diritto (art. 28). L'art. 40 Cost. ha anche lo scopo di dare effettività all'art. 39 Cost. e rappresenta il più importante ed efficace strumento di lotta sindacale. Il sindacato nasce dal conflitto industriale, per cui lo sciopero, inteso come diritto al conflitto, è fondamentale per il diritto diorganizzazione sindacale. L'interdipendenza tra l'art. 39 e il 40 è stata affermata spesso dalla dottrina, per alcuni per la necessità della proclamazione dello sciopero da parte dei sindacati o in relazione alla stipulazione dei contratti collettivi, per altri quale garanzia di effettività della libertà sindacale. La partecipazione allo sciopero, in quanto esercizio di un diritto, è lecito senza essere inadempimento contrattuale, anche se sostanzialmente consiste in una mancata esecuzione della prestazione lavorativa, prevalendo l'interesse di autotutela del lavoratore sul diritto dell'imprenditore di ottenere la prestazione. A questi principi si è ispirata la giurisprudenza riconoscendo che l'esercizio del diritto di sciopero, in virtù del principio sinallagmatico, comporta la sospensione delle due obbligazioni fondamentali del rapporto di lavoro: la retribuzione e la prestazione lavorativa. In relazione allamente. Il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione italiana (art. 40) e consiste nella facoltà dei lavoratori di astenersi dal lavoro per tutelare i propri interessi professionali, economici o sociali. Per quanto riguarda la titolarità del diritto di sciopero, si può affermare che è un diritto individuale ad esercizio collettivo. Ciò significa che ogni singolo lavoratore ha il diritto di scioperare, ma l'esercizio di tale diritto avviene in modo collettivo, cioè attraverso l'adesione di un gruppo di lavoratori che decidono di astenersi dal lavoro contemporaneamente. L'esercizio collettivo del diritto di sciopero è fondamentale per garantire l'efficacia di questa forma di protesta. Infatti, solo attraverso l'adesione di un numero significativo di lavoratori è possibile ottenere un impatto reale sulle attività produttive e sulle decisioni dell'azienda. In conclusione, il diritto di sciopero è un diritto individuale che può essere esercitato collettivamente. La titolarità del diritto spetta ad ogni singolo lavoratore, ma l'esercizio di tale diritto avviene attraverso l'adesione collettiva di un gruppo di lavoratori.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
39 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Garofalo Domenico.