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Storia delle organizzazioni sindacali italiane
Partito comunista e il Partito socialista stipularono un accordo (detto Patto di Roma), per far rinascere il sindacalismo libero creando un'unica Confederazione, la Cgil, che avrebbe organizzato tutti i lavoratori. Nel 1948 la Cgil unitaria fu abbandonata dalla corrente cattolica, che formò la Cisl; l'anno successivo uscirono i lavoratori delle correnti socialdemocratica e repubblicana, formando la Uil. Queste tre confederazioni sono ancora le principali organizzazioni sindacali italiane. Nel 1972 le tre organizzazioni stipularono un patto con il quale fu creata la Federazione delle confederazioni, denominata "Federazione Cgil, Cisl e Uil", per cui esse si riconoscevano reciprocamente pari peso nelle decisioni e s'impegnarono a prendere le proprie decisioni solo unitariamente. Questo equilibrio, pur tra difficoltà crescenti, resse fino alla rottura tra le Confederazioni, causata dal mancato accordo col governo del 14 febbraio 1984 che portò
alloscioglimento della Federazione. In Italia ci sono, quindi tre confederazioni sindacali maggiori dei lavoratori:- la Cgil (confederazione generale italiana del lavoro; social - comunista);
- la Cisl (confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori; cattolico);
- la Uil (unione italiana del lavoro; socialista – repubblicano).
perseguendol'interesse collettivo di cui è titolare. Diversa, invece, è la cosiddetta rappresentatività definibile come "la capacità dell'organizzazione di unificare i comportamenti dei lavoratori, in modo che gli stessi operino non ciascuno secondo scelte proprie, ma appunto come gruppo". Il legislatore dello Statuto dei lavoratori, ha riconosciuto l'applicabilità delle norme del Titolo III°, alle organizzazioni sindacali "maggiormente rappresentative", consistenti nel riconoscimento (ad esse) di diritti che favoriscono il rapporto tra l'organizzazione e i lavoratori rappresentati, implicando un'intromissione nella sfera giuridica dell'imprenditore: ad es., esercitare il diritto di assemblea (art. 20) significa permanere nei locali di pertinenza dell'imprenditore per svolgere un'attività estranea al rapporto di lavoro. Appaiono evidenti, quindi, le ragioni per le quali tali diritti
non sono riconosciuti a tutti, ma solo alle organizzazioni effettivamente rappresentative, sarebbe, infatti, eccessivo riconoscerli a tutti. Dopo lo Statuto, una nutrita serie di altre leggi ha presentato un'analoga esigenza di selezione tra i sindacati attraverso la qualificazione di alcuni di essi come maggiormente rappresentativi. Tali leggi possono dividersi in due categorie: 1. Riguarda il potere, attribuito ai sindacati maggiormente rappresentativi, di designare i rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali espressivi degli interessi delle parti sociali (es. più rilevante è il Consiglio Nazionale dell'Economia e Lavoro). 2. Riguarda norme di legge che riservano ai sindacati maggiormente rappresentativi la legittimazione a stipulare particolari tipi di contratti collettivi (es. più rilevante è la regolamentazione della contrattazione collettiva nel pubblico impiego che attribuisce ai sindacati maggiormente rappresentativi la competenza a- La genericità delle espressioni "sindacati maggiormente rappresentativi" (o confederazioni maggiormente rappresentative) ha posto il problema dei criteri per individuare le organizzazioni che meritassero tale qualificazione. La dottrina e la giurisprudenza ha individuato questi indici:
- Consistenza del numero degli iscritti;
- Equilibrata presenza in un ampio arco di settori produttivi;
- Svolgimento un'attività di contrattazione e, in genere, di autotutela con caratteri di effettività, continuità e sistematicità.
- L'art. 19 dello Statuto dei lavoratori (S.D.L.) dispone che: "le rappresentanze sindacali aziendali (R.S.A) possono essere costituite ad iniziativa di lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito:
- delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
- delle associazioni sindacali, non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, che abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti validi alle elezioni delle rappresentanze dei lavoratori;
- delle associazioni sindacali, non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, che abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti validi alle elezioni delle rappresentanze dei lavoratori in almeno tre regioni.
predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi (nazionali o provinciali) di lavoro, applicati nell'unità produttiva".
L'art. 19 ha posto delicati problemi di legittimità costituzionale in relazione all'art. 39 C. infatti, sembra concedere (con il termine "Possono") il diritto di costituire R.S.A. solo ai sindacati indicati nella norma e, quindi, precludere agli altri sindacati la possibilità di costituire r.s.a., alterando il regime di libertà sindacale. Venne subito rilevato che l'art. 19 C. non è una norma di carattere "permissivo" (cioè limitativa della libertà di costituire R.S.A., ad opera di sindacati diversi da quelli maggiormente rappresentativi), ma ha un carattere "definitorio" (perché mira solo ad identificare i soggetti titolari delle posizioni attive previste dal TITOLO III). La Corte costituzionale, di conseguenza, rigettò le
eccezioni di incostituzionalità, ma invitò anche il legislatore a modificare l'assetto legale "per garantire una più piena attuazione, in materia, dei principi costituzionali". I Referendum del 1995 modificarono l'art. 19 nel senso che la funzione di sostegno dell'attività sindacale non è più data dalle confederazioni maggiormente rappresentative, ma solo dai sindacati firmatari dei contratti collettivi, applicati nell'unità produttiva. Con l'abrogazione della lettera a) però, il corpo elettorale sembra aver voluto contemporaneamente la conferma e la modifica dell'art. 19; è stato quindi un caso atipico perché si sono avute due idee divergenti dallo stesso corpo elettorale, anche se valenza maggiore è quella dell'effetto abrogativo. Con il D. Lgs. del '97, il legislatore delegato ha disposto l'ammissione, alla contrattazione collettiva nazionale, deilato da un sindacato con un indice di rappresentatività non inferiore al 5%, come punto di riferimento per tutti i lavoratori del settore, anche se non sono iscritti a quel sindacato. Questo significa che il contratto collettivo stipulato da un sindacato più rappresentativo avrà validità per tutti i lavoratori del settore, indipendentemente dalla loro adesione al sindacato stesso.