Diritto del lavoro – Diritto sindacale
Lezione 2, 05.10.2012 L’evoluzione (capitolo 1)
Nell’evoluzione del diritto sindacale teniamo distinti 3 macro-periodi, che sono:
1) Periodo pre-corporativo, intendendosi il periodo che va dalla fine dell’Ottocento fino al 1920-22; il
diritto sindacale si forma inizialmente non come un vero e proprio diritto, bensì come dimensione
collettiva entro la quale agiscono soggetti che non sono ancora qualificati giuridicamente ma che
assumeranno in seguito la forma associativa dei sindacati: i sindacati sono i soggetti collettivi. Come
abbiamo visto ieri, il diritto sindacale, sviluppandosi per recuperare la asimmetria di posizioni che si
crea nel rapporto di lavoro subordinato, si forma a ridosso del diffondersi del lavoro subordinato, che
in quegli anni non era ancora considerato una fattispecie, bensì un fenomeno; non era, cioè, ancora
giuridicamente qualificato. Si parlava allora di locatio operarum (locazione delle energie), perché sta
sotto l’idea della messa a disposizione delle energie del lavoratore a favore di un soggetto che le usa
per raggiungere un risultato che viene stabilito dal soggetto fruitore, e non dal soggetto locatore di
energie. Il lavoratore subordinato non persegue un risultato: risulta, infatti, adempiente, ai sensi di un
contratto, solo se si mette a disposizione. Si sviluppano le associazioni sindacali, che si caratterizzano
per due tipi di attività, anche se non sono regolate: la contrattazione collettiva e lo sciopero, che
all’epoca non era vietato, non essendoci regolamentazione; esso veniva tuttavia trattato non come un
diritto ma come una semplice libertà; possiamo dire, quindi, che in questo primo periodo predomina la
informalità del diritto sindacale, perché esso è ancora giuridicamente impreciso perché non
qualificato, tanto che non c’era una qualificazione neppure del contratto subordinato (si ricorreva alla
fattispecie della locazione, come abbiamo visto), così come non c’era una qualificazione di sindacato o
di contratto collettivo (che si chiamava “concordato di tariffa”; era un accordo), né si riusciva a
classificare lo sciopero, di cui però si sapeva che era una astensione collettiva per il perseguimento di
uno scopo comune. La dimensione era quindi collettiva, informale, non regolata.
2) Periodo corporativo, dal 1922 al 1948: periodo che interrompe quello precedente di libertà; c’è un
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brusco salto di qualità nella considerazione dei soggetti collettivi, del contratto e dello sciopero. Questo
perché il sistema corporativo si caratterizza, invece, per una etero-normazione sistematica ed
organica del fenomeno sindacale. Questa etero-normazione trova una sua espressione nella famosa
legge sindacale fascista, la n. 563/1926. Questa legge dà i caratteri del sindacato, del contratto, dello
sciopero e del conflitto; è una legge che non si avrà mai più, perché oggi la caratteristica del diritto
sindacale è quella di non essere regolamentato da legge su base sistematica e organica, tanto che si
parla di frammenti normativi, e cioè i tre visti ieri. Nel sistema corporativo, invece, era tutto regolato, e
il termine da usare è “etero-normato”. Nel diritto sindacale si evidenzia sempre la differenza tra
eteronomia e autonomia: l’autonomia è il carattere della regolamentazione su base di accordi
sindacali; l’eteronomia è il carattere della regolamentazione su base legislativa.
I caratteri del sindacato in un sistema così regolamentato, cioè etero-normato ci servono a
comprendere meglio come è fatto il nostro sindacato, perché esso è l’esatto contrario di come era
allora. Essi sono:
a. il sindacato era non solo definito, ma era anche una persona giuridica (riconosciuto, quindi)
di diritto pubblico, mentre ora invece non è così.
b. A quei tempi, nonostante nella legge sindacale fascista ci fosse il riconoscimento della libertà
sindacale, poteva, però, esistere un solo sindacato per categoria: mancava, cioè, il
pluralismo, che era inibito. C’era la libertà (riconosciuta formalmente nella Costituzione, ma
non c’era il pluralismo) Poteva esistere un solo sindacato per categoria. Oggi invece abbiamo
delle categorie che ospitano al loro interno diverse sigle sindacali.
c. La categoria ai tempi era un concetto preesistente rispetto al sindacato. Si dice anche che era
ontologicamente definita; oggi invece essa è volontaristica, non ontologica, il che vuol dire
che la categoria intesa come gruppo di lavoratori che condividono gli stessi interessi è creata
nel momento in cui si costituisce un soggetto che poi si fa chiamare sindacato. Sicuramente
noi abbiamo ereditato le grandi categorie, intendendo per lo più quelle merceologiche, ma
anche quelle professionali del settore privato, o quelle del settore pubblico (il cd. comparto,
cioè aree formate da un serie di lavoratori che dipendono da un determinato datore di lavoro);
una cosa è dire che esiste la categoria perché me la trovo storicamente esistente, “in rerum
natura”, e a quel punto scelgo un sindacato tra quelli che ne fanno richiesta, lo riconosco e in
questo modo tengo categoria e sindacato distinti, e nego il pluralismo. Invece dire che la
categoria è volontaristica vuol dire consentire ai lavoratori di costituire un sindacato che
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rappresenti gli interessi di questo gruppo di lavoratori, e che quando decide di rappresentarli fa
di quel gruppo una categoria. Pensiamo ai dirigenti scolastici: sono i vecchi presidi, che dal
2000 sono stati definiti dirigenti scolastici. Il loro rapporto di lavoro è da sempre regolato dal
contratto del comparto scuola, il quale ha una parte riservata al personale tecnico-
amministrativo, una parte dedicata ai docenti, e un’ultima parte dedicata ai dirigenti scolastici;
questi soggetti potrebbero creare una loro categoria dei dirigenti scolastici, ovvero ambire ad
avere un proprio contratto collettivo fuori dal comparto, costituendo un sindacato che sia così
forte da imporsi al tavolo delle trattative. Nascerebbe così una nuova categoria, perché la
categoria non pre-esiste, bensì è creata dal sindacato nel momento stesso in cui il sindacato
viene ad esistenza. Nel sistema corporativo, invece, le categorie erano pre-esistenti, vi erano
ontologicamente, il che vuol dire che non ne potevano nascere di nuove. Da noi, al contrario,
le categorie sono a libera creazione, ma bisogna avere la forza poi di far diventare quelle
categorie, categorie per le quali esiste e si applica un contratto a parte, e qui c’è di mezzo il
riconoscimento della controparte, che deve accettare di stipulare un contratto separato con lei.
d. Il sindacato unico per categoria, persona giuridica di diritto pubblico del sistema corporativo
fascista aveva la rappresentanza legale dell’intera categoria; e qui si evidenzia un contrasto
con la libertà sindacale, perché se quest’ultima esiste il singolo è libero o meno di iscriversi al
sindacato, e di conseguenza essere o meno rappresentato. Questo è il sistema della
rappresentanza volontaria: sei cioè rappresentato solo se lo vuoi; ma nel sistema fascista, a
prescindere che uno fosse iscritto o meno, era rappresentato lo stesso. Nel nostro sistema la
rappresentanza è volontaria, non legale, perché sussiste la libertà sindacale. Libertà sindacale
vuol dire riconoscere al singolo la facoltà di iscriversi, ma anche di non iscriversi.
e. Visto che c’era la rappresentanza legale, il contratto collettivo stipulato da quel sindacato
vincolava tutti gli appartenenti alla categoria, dal punto di vista legislativo-formale. Si parla di
rappresentanza in senso tradizionale, intendendo quello schema di sostituzione tale per cui gli
atti del rappresentante producono effetti nella sfera giuridica del rappresentato. Quando il
contratto collettivo si applica a tutti gli appartenenti della categoria si dice che il contratto è
formalmente “erga omnes”; il nostro attuale non è positivamente, ovvero formalmente erga
omnes, perché a rigore dovrebbe vincolare solo gli iscritti. In realtà, non è proprio così, perché
noi abbiamo un concetto di rappresentanza che ci dà l’esatta idea della cerchia degli iscritti,
ma per andare oltre abbiamo anche, in aggiunta, il concetto di rappresentatività, la quale
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consente ad un sindacato di aver un seguito, che magari è politico, ma che va oltre gli iscritti,
in base al quale, se questo seguito è consistente, il contratto collettivo finisce poi con
l’applicarsi oltre gli iscritti; e fino ad un certo punto questo sistema per cui si è sempre andati
oltre è stato gradito ai lavoratori stessi: questo fino a quando il contratto collettivo conteneva
miglioramenti del loro trattamento, perché a quel punto nessuna aveva da ridire sulla
mancanza della giustificazione formale dell’applicazione erga omnes del contratto. Quando il
contratto collettivo ha, però, iniziato ad avere dei contenuti peggiorativi, il discorso è diventato
più difficile, perché i lavoratori si sono ricordati che non c’era l’erga omnes. È stata, poi, la
giurisprudenza a creare una serie di criteri per arrivare a dire che i datori di lavoro dovevano
comunque applicare il contratto collettivo anche se non erano iscritti ai sindacati stipulanti.
Tutto questo è avvenuto caso per caso, creando una serie di schemi, modelli, percorsi,
dovendosi inventare un ragionamento giuridico. Hanno cominciato, ad esempio, dai minimi,
dicendo che i minimi retributivi non possono essere considerati tali se non perché applicati a
tutti.
f. Nel sistema corporativo fascista il conflitto, nelle due classiche forme di espressione
(serrata e sciopero) era considerato un reato. Nel primo periodo era libertà, in questo
periodo diventa reato (artt. 502 e ss. del codice penale, che tra l’altro stanno ancora in parte
nel nostro codice penale attuale, seppur ridimensionati dalla Corte Costituzionale in relazione
all’ art. 40 Cost. ). Era un reato perché in quel sistema si disconosceva l’esistenza della
contrapposizione di interessi che invece oggi qualifica il contratto di lavoro subordinato. Si
riconosceva, ovviamente, che il lavoratore ha un suo interesse (massimizzare il salario con il
minor numero di ore di lavoro possibili), così come il datore (massimizzare l’orario e
minimizzare il
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