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Contratti recepiti in decreto

Nel nostro ordinamento sono ancora oggi presenti, accanto ai contratti collettivi di diritto comune, altri due tipi di contratto collettivo. Sono anzitutto ancora in vigore, sebbene con una limitata rilevanza pratica, i CCNL recepiti in decreto ai sensi della legge Vigorelli del 1959, di cui già si è detto in precedenza. Vigono inoltre gli ancor più risalenti contratti collettivi "corporativi", conclusi durante il periodo fascista ed aventi efficacia erga omnes in quanto fonti del diritto ai sensi dall'art. 1, n. 3, del codice civile del 1942. Tali CCNL, mantenuti in vita dal d.lg. 23.11.1944, n. 369 nonostante l'abrogazione del sistema corporativo, non hanno più alcuna applicazione, in quanto sono stati superati dalla successiva contrattazione collettiva di diritto comune (che per la giurisprudenza ha integralmente sostituito la disciplina corporativa nonostante la diversità di fonte).

30SINDACATI

“MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVI” E “COMPARATIVAMENTE RAPPRESENTATIVI”

I contratti collettivi dovrebbero essere stipulati da sindacati "comparativamente rappresentativi" e non già da sindacati "comparativamente più rappresentativi".

Si tratta di una formula inedita, che merita una riflessione: si parlava un tempo negli anni '70 di "sindacato maggiormente rappresentativo" per selezionare i sindacati abilitati a porre in essere accordi cui la legge affidava il compito di disciplinare problemi di particolare rilievo.

L’accertamento della maggiore rappresentatività era demandato alla giurisprudenza che, da un lato, escludeva la necessità di una comparazione tra i sindacati e, d’altro lato, considerava indici della maggiore rappresentatività:

  • La consistenza numerica.
  • L’equilibrata presenza di un ampio arco di settori produttivi.
  • Un’organizzazione estesa a tutto il territorio.
territorio nazionale.
  • L'effettiva partecipazione, con caratteri di continuità e di sistematicità, alla contrattazione collettiva.
Ma la formula si è rivelata inidonea perché l'avverbio "maggiormente" è stato inteso come "sufficientemente" rappresentativo, con la conseguenza che piccoli sindacati di dubbia genuinità hanno preteso di concludere loro quegli accordi, accodandosi, in concreto, ai desideri della parte datoriale sui loro possibili contenuti. Si è passati, allora, nella legislazione più recente alla formula "sindacati comparativamente più rappresentativi", che non si prestava ad equivoci, ed ha ben funzionato almeno fin quando vi è stata l'unità di intenti tra le grandi confederazioni sindacali, pur in assenza, nel settore privato, di una legge sulla esatta misurazione, tramite elezione delle rsu, della rappresentatività del singolo sindacato. Orarappresentativo" è stata introdotta con l'intento di favorire sindacati di minoranza e limitare il potere dei sindacati maggioritari. Questo mette a rischio la tutela dei lavoratori e la possibilità di negoziare condizioni di lavoro equilibrate. È importante rimanere vigili e difendere il principio di rappresentatività sindacale per garantire i diritti dei lavoratori.

"Rappresentativo" ritorna spesso nel disegno di legge delega, e su molti altri argomenti della massima importanza, quali, ad esempio, l'introduzione del lavoro a "chiamata" o la cd. "certificazione" dei rapporti di lavoro. Ipocrisia, deteriore furbizia e volontà antidemocratica si mischiano in una perfida miscela: il sindacato maggiore potrà sempre essere discriminato e gli accordi potranno essere conclusi "con chi ci sta", con sindacati minori (anche se non proprio minimi) acquiescenti e compiacenti. Si comprende, pertanto, perché nel "Libro bianco" il Governo abbia affermato di non voler proporre alcuna legge in materia di elezione delle rsu o di misurazione effettiva della rappresentatività: la spiegazione, è, appunto nel progetto di legge delega, ove lo spirito antidemocratico trova, come visto, una formulazione giuridica che "santifica" la discriminazione.

31• LA CONTRATTAZIONE

COLLETTIVA DEL PUBBLICO IMPIEGO

La contrattazione del lavoro pubblico fu introdotta con la l. n. 93/1983 i sindacati furono abilitati a stipulare contratti collettivi la cui efficacia era, però, condizionata al recepimento del loro contenuto da parte dell'autorità governativa, in un atto avente forza di legge.

La disciplina organica della materia è oggi contenuta nel T.U. sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amm. pubbl.: d. lgs. n. 165/2001 (art. 40 e ss.), che si inquadra nel processo di privatizzazione del pubblico impiego.

Come anche si evince dalla sentenza n. 199/2003 della Corte costituzionale, il contratto collettivo nel pubblico impiego non è assimilabile a quello di diritto privato: sia perché il contratto collettivo dei dipendenti delle p.a. è previsto e regolato dalla legge che detta, per esso, una disciplina speciale e, quindi, non è di "diritto comune" e, cioè, non è

Esclusivamente regolato dalle disposizioni della legge che disciplinano il contratto in genere; sia per la peculiarità della contrattazione collettiva del pubblico impiego, destinata a contemperare l'interesse collettivo dei lavoratori con l'interesse pubblico generale all'imparzialità e al buon andamento delle p.a. ex art. 97 cost.

Lo sciopero, cioè l'astensione collettiva dal lavoro, costituisce il tradizionale mezzo di lotta sindacale. L'art. 40 cost. "riconosce il diritto di sciopero nell'ambito delle leggi che lo regolano": quanto disposto dalla norma rileva il riconoscimento costituzionale dello sciopero come diritto e la riserva di legge per quanto attiene alla sua disciplina.

Da ciò deriva il riconoscimento dello sciopero come:

  • Libertà nei confronti dello Stato, nel senso che lo sciopero non può più essere considerato un delitto, come attentato all'economia
nazionale. Diritto del lavoratore a scioperare nei confronti del datore del lavoro, nel senso che l'astensione dal lavoro conseguente allo sciopero non può più essere considerato nemmeno un inadempimento dell'obbligazione di lavorare. Ma se l'esercizio del diritto di sciopero non può essere visto come inadempimento e quindi non può legittimare, da parte del datore di lavoro, né una sanzione disciplinare né tantomeno il licenziamento, vero è altresì che nel suo manifestarsi determina il venir meno dell'obbligazione del datore di erogare la retribuzione. Il salario o stipendio che viene detratto è proporzionale alla sospensione lavorativa. Diversa è la serrata che è la chiusura temporanea, simmetrica allo sciopero, da parte del datore di lavoro dell'unità produttiva o esercizio commerciale; a differenza dello sciopero, la serrata è illegittima. È opinione valida quella secondo laquale la legittimità dello sciopero è condizionata dall'esistenza di un atto collettivo di deliberazione, detto: proclamazione dello sciopero. Anche se lo sciopero potrebbe essere attuato da un solo lavoratore, esso deve, invece, essere deciso da una pluralità di lavoratori e sulla base, quindi, di una valutazione collettiva. Non importa, però, se quella collettività trovi espressione in una struttura sindacale associativa o istituzionale, ovvero trovi espressione soltanto in una struttura rudimentale o occasionale, quale, ad esempio, un comitato di agitazione o ancora meno. La ratio della proclamazione sta nel fatto che il diritto di sciopero è attribuito per la tutela di un interesse collettivo, così che non può essere ammesso il ricorso allo sciopero per la tutela di un mero interesse individuale. Insomma quello che conta è che la valutazione della esigenza di scioperare sia collettiva, e che, poi, i singoli lavoratori siano.

Liberi di scioperare o no. Lo stesso statuto dei lavoratori vieta discriminazioni determinate dalla partecipazione o no ad uno sciopero. In tale contesto la proclamazione viene qualificata come un negozio di autorizzazione: "Negozio": perché è atto di privata autonomia e quindi atto libero. "Di autorizzazione": perché il suo effetto è soltanto quello di rimuovere un ostacolo all'esercizio del diritto di sciopero, diritto di cui tutti i lavoratori già sono titolari per effetto della norma costituzionale (art. 40 cost.). Tutti i lavoratori, aderiscano o no a un sindacato, sono titolari del diritto di sciopero.

Tuttavia, la legge impone un preavviso per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, in forza della tutela, non già del datore di lavoro, ma dei diritti costituzionalmente protetti degli utenti di quei servizi.

La struttura e natura giuridica dello sciopero è quella di un diritto soggettivo.

potestativo: Diritto soggettivo perché è lo stesso art. 40 cost. a definirlo come tale, ricomprendendo nel diritto anche la libertà di sciopero.

Diritto potestativo perché l'effetto del suo esercizio è quello di sospendere il rapporto di lavoro, mentre il datore di lavoro nulla può o deve fare perché quel diritto si realizzi.

Mentre al diritto di credito fa riscontro un obbligo, al diritto potestativo fa riscontro una mera soggezione.

Tipologie

Esistono diverse modalità di svolgimento dello sciopero, non tutte legittime. La linea di discriminazione della legittimità di uno sciopero risiede nel principio giurisprudenziale della proporzionalità tra l'astensione e il danno recato al datore di lavoro. Nel gergo sindacale si sono date molte definizioni di sciopero a seconda delle diverse modalità o ampiezza della platea di lavoratori in rivendicazione o protesta, ad esempio: uno sciopero è generale.

sati solo i lavoratori di una specifica area geografica (ad esempio una città o una regione).
Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
38 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Santoro-Passarelli Giuseppe.