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CASO FIAT:
FIOM: si scontrano queste due visioni. Marchionne vuole nuove regole per la FIAT a livello di contrattazione
collettiva, regole non peggiori (non vuole pagare meno i lavoratori) ma vuole più flessibilità da parte dei lavoratori
(turni di lavoro, possibilità di straordinari, quando c’è più lavoro, lavorare di più e viceversa) —> vuole quindi un
sistema di lavoro che non è ammissibile dalle regole del contratti di lavoro dei metalmeccanici. Inoltre quello che vuole
M. è la tregua sindacale ed il rispetto degli accordi: quello che dice è firmato l’accordo finché questo è valido nessuno
deve scioperare e rispettare le condizioni pattuite. La FIAT a questo punto chiede maggiori spazi per la contrattazione
sindacale dicendo a confindustria di contrattare regole più flessibili. Questo tuttavia non arriva i quanto è molto
difficile da ottenere. —> A questo punto la FIAT decide di togliere di mezzo il contratto nazionale dei metalmeccanici,
ma come fa? La prima idea è quella di togliersi da confindustria, ma questa non è una soluzione in quanto una volta
applicato il contratto non puoi scioglierlo anche se esci. Quindi la FIAT fa un’altra mossa: chiude la società e ne apre
un’atra. Una nuova società chiamata “NEW-CO FIAT” la quale assume i precedenti lavori, tranne quelli della FIOM,
e non firma alcun contratto collettivo. A questo punto contatta i sindacati e apre una trattativa con CGIL, CISL e UIL
per firmare un contratto collettivo per gli stabilimenti FIAT (non è un contratto aziendale, è un contratto nazionale
che si applica solo per gli stabilimenti FIAT! E’ come se creasse una nuova categoria.). Si arriva quindi alla firma di un
contratto con le regole che M. richiedeva: più flessibilità e tregua sindacale (se qualcuno sciopera mentre vige il
contratto, la sigla sindacale viene multata: questo meccanismo prevedeva che, in caso di sciopero, venivano trattenuti
dalla pista paga i contributi destinati al sindacato” —> in questo modo viene garantita la tregua). Questo contratto
viene firmato da CISL, UIL ma non dalla FIOM-CGIL. Viene quindi sottoposto un refendum tra i lavoratori ai quali
si chiedeva se volessero l’accordo firmato: questi votano a maggioranza per il sì e l’accordo viene applicato. Questo
creò un grosso problema: ha creato un precedente. Il timore a questo punto è che altri seguano l’esempio della FIAT,
non tanto il suo esempio pratico, che sarebbe tutto sommato un bene poiché garantisce condizioni migliori, ma
piuttosto la formazione di contratti peggiori. Quindi si cerca di riportare la FIAT all’interno del sistema attraverso
l’accordo inter-confederale del 2011.
3. si da più flessibilità e spazio al contratto aziendale: ancora maggiore dell’accordo del
Accordo del (giugno) 2011:
2009. A questo punto la contrattazione aziendali si svincola quasi completamente dal contratto nazionale:
sicuramente può ri-regolare in meglio quello che prevede il contratto collettivo; non è più quindi solo circoscritta
alle materie delegate. Può inoltre peggiorare le condizioni del contratto collettivo sempre nei due casi previsti
dall’accordo del 2009 + in presenza di significativi investimenti. Quest’ultimo in particolare richiama la FIAT in
quanto precedentemente aveva affermato di avere pronti degli investimenti in Italia; viceversa sarebbe andata ad
investire in America. Questo infine richiama il fatto che deve essere sottoposto a referendum da parte dei
lavoratori: se sei lo approvano ok, viceversa va rinegoziato. PERO’ LA FIAT NON CI RIPENSA E SI TIENE IL
CONTRATTO FIRMATO —> QUINDI NON E’ SERVITO A NIENTE. A questo punto interviene il
governo: è talmente entusiasta di aver dato più flessibilità al contratto
Decreto legge (agosto) 138 del 2011:
aziendale che gli permette, attraverso il decreto e sempre in presenza delle stesse condizioni sopra elencate
(+incrementare produttività, ..), di peggiorare alle regole stabilite dalla LEGGE. I sindacati rimangono allibiti. Sta
di fatto che il decreto legge è in vigore ma ha un contenuto che è radicalmente incostituzionale. (Queste norme
qualora arrivassero davanti alla Corte di Giustizia non sarebbero sicuramente approvate). 18
5 - 13/10/2015
ORGANIZZAZIONE SINDACALE: DALLE COMMISSIONI
ALLE RSU
Le forme della rappresentanza dei diritti e degli interessi dei lavoratori in Italia hanno subìto, nel corso degli anni,
notevoli e profonde modificazioni.
CONSIGLI DI FABBRICA E COMMISSIONI ( sono eletti e non sono collegati ad un sindacato)
Il primo accenno alle avviene nel 1906 con il contratto tra
COMMISSIONI INTERNE: commissioni interne
la Fiom e l’Itala di Torino, nel quale si riconosceva agli operai il diritto di eleggere una commissione interna alla
quale, unitamente alla direzione della fabbrica, era demandato il compito di «risolvere le controversie e tutti i
conflitti di qualsiasi natura», e costituiscono la prima forma di rappresentanza dei lavoratori in una unità
produttiva. La loro vita è stata molto lunga – arrivando alle soglie degli anni Settanta – e pertanto soggetta a
trasformazioni di vasta portata. Esse vennero abolite fra il 2 ottobre 1925 – con il Patto di palazzo Vidoni, a Roma,
stipulato fra la Confindustria e la Confederazione fascista delle corporazioni – all’indomani della vittoria dei
comunisti nelle elezioni delle Commissioni interne del 1924 alla Fiat, e ricostituite il 2 settembre 1943 (durante i
pochi giorni del governo Badoglio), quando viene stipulato un accordo – il cosiddetto patto Buozzi-Mazzini – fra le
Confederazioni dei lavoratori dell’industria e la Confederazione degli industriali che reintroduce nel campo delle
relazioni industriali l’istituto delle commissioni interne, attribuendo alle stesse anche poteri di contrattazione
collettiva a livello aziendale. Alle elezioni delle commissioni interne della fine del ’43 furono chiamati a esprimersi,
diversamente da come accadeva prima, tutti i lavoratori e non solamente gli iscritti al sindacato.
Negli stessi anni delle CI, la Cisl tentò di costituire nei luoghi di
SEZIONI SINDACALI AZIENDALI - SAS:
lavoro delle "sezioni sindacali aziendali" (SAS), che rappresentassero il sindacato esterno, riproducendone
l'articolazione associativa ed il fondamento volontario di rappresentanza: esse avrebbero dato luogo, insieme alle
CI, ad un sistema a canale doppio, cosa che non avvenne perché la diffusione delle SAS fu piuttosto scarsa. Ebbero
difficoltà ad avere un ruolo ben determinato nei confronti delle commissioni interne, presenti quasi in tutti i luoghi
di lavoro e quindi accettate e riconosciute dalle controparti aziendali. Le sas assicuravano la presenza del sindacato
nella fabbrica a livello organizzativo ma quasi mai politico-contrattuale, ruolo affidato alle commissioni interne.
Scomparvero alla fine degli anni 60’.
In quegli stessi anni il dibattito sulla democrazia sindacale (avviato dalla Fiom
CONSIGLI DI FABBRICA:
all’interno della confederazione), sulla necessità di avere dei rappresentanti delle confederazioni eletti direttamente
dai lavoratori e non più nominati dai sindacati provinciali e, parallelamente, i cambiamenti strutturali avvenuti
nell’organizzazione della produzione (con le fabbriche divise in reparti completamente autonomi gli uni dagli altri)
portarono alla necessità di una rappresentanza diretta più articolata di quanto potesse essere la commissione
interna. Arrivò quindi il momento dei consigli di fabbrica, strutture molto popolari negli anni della contestazione
che concretizzavano il crescente movimento dei delegati. I cdf diedero alla vita sindacale in fabbrica una spinta
democratica maggiore delle commissioni interne, per la maggior parte delle quali l’elezione rappresentava l’unico
momento di partecipazione dei lavoratori. Con i consigli di fabbrica – che nel Congresso del ’70 la Fiom ,
anticipando la Cgil , riconobbe come istanza di base del sindacato – si arrivò quindi a delineare la figura del
delegato di un gruppo operaio omogeneo che veniva continuamente coinvolto dagli atti del proprio rappresentante.
L’assemblea dei lavoratori – fondamentale novità introdotta dai consigli di fabbrica e conquistata dai
metalmeccanici con il contratto del ’69-70 – diventerà il momento democratico più alto nell’attività sindacale in
fabbrica. 19
Il 1970 rappresenta un punto di svolta fondamentale: il 20 maggio viene ratificata la Legge 300, nota a tutti
RSA:
come lo «Statuto dei lavoratori». Con esso, tra le altre cose, vengono introdotti per legge le rappresentanze sindacali
aziendali e l’Assemblea dei lavoratori. Lo Statuto sancisce un insieme dei diritti dei lavoratori dipendenti (libertà
sindacali).
—> 2 modelli: o autorganizzato (menzionato i consigli interni/consigli di fabbrica ma non c’è un modello
prestabilito, possono esserci diverse forme) o RSA: “Rappresentanze sindacali aziendali” (regolato dall’articolo 19
dello statuto dei lavoratori).
Mentre i consigli sono un fenomeno spontaneo e autorganizzato dai lavoratori, le RSA sono previste e regolate
dalla legge e quindi rispondono a Norme dettate per legge. Le RSA, a differenza di tutte le altre strutture
autorganizzate, hanno diritti espressamente riconosciuti dallo statuto dei lavoratori (e’ una prerogativa delle RSA
avere certi diritti, solo delle RSA, le altre forme non li hanno; questi diritti sono solitamente regolati dall’articolo 20
in poi). Il vantaggio delle RSA è, ad esempio, avere il diritto di indire un’assemblea tra i lavoratori, l’assemblea può
essere durante l’ora di lavoro e i lavoratori che vi partecipano possono essere comunque retribuiti; … (vedi dopo).
COSTITUZIONE RSA —> RSU
ARTICOLO 19:
L’articolo 19 prevede la costituzione delle RSA; è stato scritto nel 1970, e poi è stato modificato nel 95 con un
referendum abrogativo ed è stato rimodificato a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale nel 2013.
—> Articolo ( sede, stabilimento, reparto, filiare
19 scritto nel 70: le RSA potevano essere costituite in ogni unità produttiva
dell’impresa: ad esempio un’impresa ha uno stabilimento a Cesena e a Forlì, quindi si dice che ha due unità produttive)
(vuol dire che sono i lavoratori dentro all’impresa, cioè i dipendenti della stessa che decidono di
ad iniziativa dei lavoratori
costituire una RSA; quindi non è opera del sindaco: è un fenomeno che parte da basso, dai lavoratori. MA non è
iniziativa di tutti i lavoratori, ma solo di quelli riconosciuti da parte di un sindacato. —> La caratteristic