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RAPPORTI DI LAVORO CON LA P.A.
Si tratta della nuova frontiera del contenzioso in giudizio. La costituzione prevede che il rapporto
nel lavoro alle dipendenze della P.A. si costituisca per concorso, mentre il contratto a tempo
indeterminato no, al massimo possono aversi procedure selettive. Quindi di principio non è mai
prevista la sanzione della conversione del contratto, perché si prevede che il contratto debba
essersi costituito per concorso, non per la decisione del giudice. Il lavoro alle dipendenze della P.A.
è particolare.
Di solito in Italia vi è un difficile dialogo tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia. La Corte
Costituzionale ha sempre detto che il rapporto non si converte, mentre la Corte di Giustizia non ha
ancora condannato l’Italia anche se continua a fare pressioni. Il 3 luglio 2013 per la prima volta
nella vita della Corte Costituzionale, essa stessa ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia sulla questione dei precari nella scuola. 06/03/2014
LAVORO A TEMPO PARZIALE
Il contratto di lavoro a tempo parziale è il meno atipico, perché consiste solo nella riduzione
costante dell’orario lavorativo normalmente applicato in quel luogo di lavoro. La storia del lavoro a
tempo parziale è atipica rispetto agli altri paesi UE. Il lavoro a tempo parziale è stato
legislativamente regolato solo a metà anni ‘80, perché fino a quel momento vi erano solo contratti
collettivi che lo prevedevano.
Per capire la sua evoluzione va individuato chi siano gli interessati a ridurre l’orario di lavoro: è un
istituto utilizzato soprattutto dalla donna per conciliarlo con la vita familiare. Vi era un’opposizione
anche all’interno del movimento delle donne, perché si pensava che fosse una trappola per esse,
perché potendo disporre questa riduzione si finiva per essere la tipologia lavorativa prevalente per
le donne con discriminazione di carriera e di retribuzione.
Dagli anni ‘80 si è un po’ sviluppato, ma mai molto. Negli altri paesi si è agevolato il lavoro a tempo
parziale, ma sono intervenuti sull’organizzazione del lavoro. Anche su questo interviene un
accordo quadro e direttiva europea 1997/81, trasposta con il d.lgs. 61/2000, cui sono succedute
una serie di modifiche: vi è il d.lgs. 100/2001 correttivo, poi si interviene con il d.lgs. 276/2003 poi
nel 2007, 2010, 2011 e 2012.
È necessario considerare a monte su cosa viene incardinata la direttiva. Nel lavoro a termine
l’asse su cui si formava la direttiva era la parità di trattamento e la lotta agli abusi.
Il primo profilo su cui si muove quello sul lavoro a tempo parziale è la parità di trattamento tra il
lavoratore a tempo parziale e il lavoratore a tempo pieno comparabile.
Nel lavoro a tempo parziale il secondo profilo è la promozione e sviluppo, perché questo tipo è
visto positivamente perché potrebbe essere un modo per distribuire i pochi posti lavorativi
disponibili.
È prevista la forma scritta ad probationem , anche perché se non fosse scritto non vi sarebbe
bisogno di trasformarlo, se non in un contratto di durata piena.
Il part-time può essere orizzontale, verticale e misto.
Il part time orizzontale è la riduzione giornaliera dell’orario di lavoro.
Nel part time verticale le giornate sono piene ma vengono ridotti i periodi di lavoro,
settimanalmente, mensilmente o annualmente.
Il part time misto è la combinazione dei due.
Nell’atto scritto va indicata la durata della prestazione e la collocazione temporale dell’orario (va
indicata quindi la riduzione e l’articolazione).
Uno dei problemi è la possibilità di modificare l’articolazione. Quindi ci si deve occupare del lavoro
supplementare, delle clausole flessibili e delle clausole elastiche.
Il lavoro supplementare è quello svolto oltre l’orario di lavoro concordato, ma che non supera
l’orario normale di lavoro senza riduzione (altrimenti sarebbe straordinario). Questo riguarda in
particolare il part time orizzontale.
Prima della disciplina del 2000 venivamo da un periodo in cui la Corte Costituzionale era
intervenuta. Le clausole modificano la riduzione o l’articolazione dell’orario, si modifica l’accordo
iniziale. Ad inizio anni ’90 vi era solo una disciplina minimale del legislatore, e la Corte è
intervenuta dichiarando illegittime queste clausole nel presupposto che nella maggior parte dei
casi la riduzione dell’orario è stata chiesta dal lavoratore (part time volontario) e che di solito si
tratta di lavoratrice che lo fa per conciliare vita professionale e vita familiare. La Corte sostiene che
gli impegni familiari sono di solito stringenti, dunque modificare gli orari su richiesta del datore di
lavoro non permetterebbe la conciliazione.
Quando si è trasposta la direttiva questo è stato rimosso, prima prudentemente, poi le modifiche
sono diventate più forti.
Il legislatore oggi consente sia le clausole flessibili, sia le clausole elastiche. Le clausole flessibili
sono quelle relative alla collocazione temporale della prestazione, mentre le clausole elastiche
sono quelle che prevedono la variazione in aumento della durata della prestazione.
La normativa a partire dal 2007 ha dato la possibilità alla contrattazione collettiva di porre
temperamenti, è richiesto almeno un preavviso di 2 giorni. Sono previste alcune compensazioni
economiche, il lavoratore è tutelato, il datore di lavoro non può licenziarlo se si rifiuta di effettuare
la variazione. È tornata la possibilità del lavoratore del diritto di ripensamento. Indicando che vale
solo nei lavoratori con compiti di cura o per malati, e per gli studenti.
Il part time nelle pubbliche amministrazioni inizialmente aveva una sua disciplina specifica, poi
quando è arrivato il d.lgs. 2000 e 2001 poiché la direttiva si applica anche nel pubblico, la sua
disciplina è stata estesa alla P.A.
Nel 2003 il d.lgs. 276/2003 da un lato l’art. 46 interviene sulla disciplina del 2000 modificandone
alcune parti. X es. se prima vi erano solo le clausole elastiche, si sono aggiunte le clausole
flessibili.
Il decreto 276 all’art. 1 stabilisce che esso non trova applicazione per le P.A. e per il loro personale,
esso riguarda solo il lavoro privato.
La P.A. era molto dell’idea di sviluppare il lavoro a tempo parziale, con disposizioni legate al
contenimento dei costi che avevano inserito l’obbligo del dipendente pubblico che svolgesse un
altro lavoro di chiedere la trasformazione in lavoro a tempo parziale.
Nel 2008 cambia, non è più un diritto, ma si dice “potendo ottenere il lavoro a tempo parziale”
assimilandola al lavoro di cura. Vi è stata poi una discussa disposizione nel 2010 sul diritto di
ripensamento da parte delle P.A. che avevano già concesso il lavoro a tempo parziale. Ora vi è
quindi solo la possibilità di ottenerlo, nell’ambito di una manovra che vede l’amministrazione poter
tornare indietro dalla concessione del lavoro a tempo parziale, pur rispettando correttezza e buona
fede. Su questo si è innescata una querelle giudiziaria, infatti il Tribunale di Trento ha chiesto alla
CGE una sentenza interpretativa, in quanto alcune disposizioni sarebbero in conflitto con la
promozione del lavoro a tempo parziale.
Per quanto riguarda la parità di trattamento, l’art. 4 contiene una doppia elencazione. In alcuni
casi la parità di trattamento è piena, in altri casi vale il principio pro rata temporis. X es. la
retribuzione oraria sarà uguale, invece la retribuzione globale è ridimensionata pro rata temporis. I
principi che regolano la salute e sicurezza sono gli stessi, per l’esercizio di diritti sindacali vi è la
parità di trattamento, la durata della prova è la stessa, anche la durata delle assenze dal lavoro
sarà la medesima, però se la persona lavora con part time orizzontale e lavora solo 5 ore per 5
giorni la settimana, la durata della malattia non si riduce e riceverà l’indennità di malattia sulla base
della retribuzione.
Se si tratta di part time verticale è più difficile applicare il principio pro rata temporis e della parità di
trattamento. X es. se lavora 6 mesi e 6 mesi non lavora e si ammala nel periodo in cui non lavora è
difficile applicare il principio pro rata temporis.
Un punto che ha portato a molte controversie in giudizio è nel part time verticale annuale
comparato a un caso di lavoro a tempo determinato a 6 mesi, per poi avere 6 mesi di
disoccupazione. Dal punto di vista sostanziale le due situazioni non divergono di molto, se non per
la volontarietà o meno del fatto di non lavorare per 6 mesi. Se è involontario e subito le situazioni
sono molto simili. Il lavoratore che rimane disoccupato riceve l’indennità di disoccupazione, l’altro
no. La Cassazione in una sentenza ha detto che anche il lavoratore part time verticale non
volontario ha diritto al trattamento di disoccupazione.
La parità di trattamento andrebbe parametrata rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile
perché il giudizio di parità di trattamento richiede sempre un giudizio di comparazione, che richiede
sempre che i due gruppi siano determinati.
Una variante del rapporto di lavoro a tempo parziale è il rapporto di lavoro ripartito (o job
sharing). È una tipologia che dal punto di vista giuridico entra nel nostro ordinamento con il d.lgs.
276/2003. Esisteva anche prima ma vi erano solo alcuni contratti collettivi o circolari ministeriali.
Le varianti possono essere tante, ma il legislatore ne ha prevista una: quando due lavoratori
assumono in solido l’adempimento di un’unica prestazione lavorativa. Questa tipologia non ha
ricevuto apprezzabile sviluppo.
Prevede la forma scritta ad probationem
. Nel contratto vanno indicati in linea di massima la misura
percentuale e la collocazione del lavoro dei due. Il legislatore prevede che il lavoratore resta
personalmente e solidalmente responsabile dell’intera prestazione lavorativa, quindi si ha
autonomia nel ripartirsi il lavoro, ma devono garantire che la prestazione lavorativa si svolga. Il
legislatore dice che se uno dei due si dimette o viene licenziato, il rapporto finisce anche per l’altro,
si estingue l’intero vincolo contrattuale, a meno che il lavoratore non offra l’intero posto di lavoro al
lavoratore che rimane oppure se vi fosse impedimento di entrambi i lavoratori coobbligati in prima
battuta è prevista la risoluzione dell’intero contratto di lavoro a meno che il datore di lavoro non
accetti il subentro di una terza persona. In dottrina si è detto che l’assunzione dell’obbligazione
solidale vincola i due soggetti più di un