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RSA/RSU.

Questo elimina il problema se il datore sia iscritto o meno all'organizzazione datoriale in quanto, in

questo caso, è il datore stesso a firmare il contratto a suo nome e applicarlo a tutti i lavoratori.

La contrattazione aziendale può essere una contrattazione acquisitiva: in cui viene apportato un

miglioramento alle condizioni dei lavoratori dell'azienda rispetto a quelle descritte nel contratto

nazionale (es. viene istituito un premio di risultato per i dipendenti))

il problema vero e proprio viene a crearsi quando si ha una contrattazione aziendale in perdita

volta, quindi, a peggiorare le condizioni di lavoro poste dai contratti nazionali o dalla Legge. (Caso

introdotto dagli accordi 2009/2011 e dalla Legge del 2011.

Un'altra tipologia di contrattazione in perdita è la contrattazione aziendale gestionale finalizzata a

gestire crisi o riorganizzazioni aziendali.

In queste ipotesi, una Legge del 1991 prevede l'obbligo di informare i sindacati (le RSA/RSU o i

sindacati provinciali) e creare un accordo con loro per trovare una soluzione alternativa. L'ipotesi

più frequente in questo senso è quella dei licenziamenti collettivi. La legge prevede una

contrattazione con i sindacati per trovare un'alternativa al licenziamento eventualmente con

ricorso, per esempio, alla Cassa Integrazione (ammortizzatori sociali), trasferimento d'azienda

(inteso come cessione di essa), Ridurre le ore di lavoro ecc. Nel caso non si giungesse a un accordo,

allora avverrà il licenziamento.

L'eventuale accordo tra il datore di lavoro e il sindacato è un contratto aziendale gestionale.

Se il contratto aziendale è di tipo acquisitivo questo verrà applicato agli iscritti ai sindacati come ai

non iscritti in quanto sia alquanto improbabile che un lavoratore non accetti un aumento delle

proprie condizioni lavorative.

Il problema dell'efficacia erga omnes o meno del contratto si pone quando questo è un contratto

gestionale in perdita. Chi, infatti, è iscritto al sindacato non può rifiutare l'accordo perché il

sindacato è valso da suo rappresentante ma il lavoratore non iscritto ad alcun sindacato o non

iscritto al sindacato firmatario può benissimo rifiutarlo.

Per riuscire a vincolare anche i lavoratori non iscritti si è interpretato che, dal momento in cui il

lavoratore accetta contratti collettivi che portano vantaggi dovrà accettare anche quelli che portano

svantaggi. Questa è un'interpretazione equa e che risponde a giustizia ma è priva di qualsiasi

appiglio a norme in quanto il lavoratore potrà sempre affermare che gli stanno imponendo un

contratto che non ha mai firmato.

Ad oggi, quindi, si può dire che la contrattazione aziendale in perdita è vincolante solo per i

lavoratori iscritti a sindacati stipulanti e chi non è iscritto può benissimo rifiutare l'applicazione

dell'accordo. Tuttavia il fenomeno non avviene frequentemente, questo per componenti di

solidarietà tra lavoratori ma soprattutto di ignoranza dei lavoratori delle proprie possibilità.

(Le uniche eccezioni avvengono quando magari è un sindacato non firmatario a guidare il

comportamento dei propri iscritti per un atto di protesta).

L'accordo del 2011 interconfederale ha imposto sì alcune regole per rendere vincolante il contratto

aziendale ma anche questo accordo, in quanto interconfederale, non è vincolante ai non iscritti ai

sindacati.

Dato che l'art.39 della Costituzione non viene applicata al contratto aziendale, questo suo problema

di mancata efficacia erga omnes, può essere superato benissimo tramite una Legge che vincoli per

tutti il contratto. Il problema è che una legge del genere presuppone la definizione di chi potrà

firmare questo contratto vincolante per tutti e questo è un grande ostacolo politico che fatica a

trovar soluzione. Efficacia oggettiva del contratto collettivo

(Come si applica il contratto collettivo ai rapporti di lavoro)

Il contratto individuale è tra il datore di lavoro e il lavoratore.

Esso non può modificare in peggio le condizioni di lavoro imposte dalla Legge per una gerarchia

delle fonti e la clausola contrattuale, quindi, diviene nulla su ogni modifica inderogabile di legge in

peggio. Il contratto individuale può, tuttavia, derogare in meglio le condizioni di legge.

Il contratto collettivo, invece, non è riconosciuto dal nostro ordinamento come fonte del diritto e

quindi, giuridicamente, quando si confronta con il contratto individuale si ha un confronto tra due

contratti dello stesso piano. (Durante il periodo fascista, invece, le norme corporative valevano

come fonti del diritto).

Se il contratto individuale potesse derogare in peggio, però, verrebbe meno la funzione di tutela del

contratto collettivo che diverrebbe inutile.

La soluzione venne fornita indirettamente dal legislatore nel 1973 andando a riscrivere l'art. 2113

c.c. Per il quale:“Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro

derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i

rapporti di cui all’Articolo 409 Cod. Proc. Civ., non sono valide.”

(come transazione si intende il caso in cui parti litiganti si accordano per reciproche concessioni).

Ciò significa che se il lavoratore rinuncia a un diritto riconosciutogli dal contratto collettivo o dalla

legge, questa rinuncia non è valida; per cui se il contratto individuale, quindi, dispone qualcosa in

contrasto con il contratto collettivo perde validità.

In conclusione, il contratto collettivo non è derogabile in peggio dal contratto individuale.

I Diritti Sindacali

I diritti sindacali compaiono con lo Statuto dei Lavoratori (l.300/1970).

L'impostazione generale dello statuto va oltre il semplice riconoscimento della libertà sindacale in

quanto il legislatore ha pensato che il riconoscere la libertà sindacale espressa all'art.39 Cost. risulta

inutile se poi non esiste legge che riconosce e regola in azienda la costituzione di un'organizzazione

sindacale.

Lo Statuto, quindi, apre le porte dell'azienda ai sindacati attraverso le RSA riconoscendogli dei

diritti. La costituzione di esse, tuttavia, non è obbligatoria ma avviene su libera iniziativa dei

lavoratori.

Le RSA, e di conseguenza i diritti sindacali, non sono presenti in tutte le aziende poiché la Legge

pone un limite per il quale le RSA sono costituibili solo in aziende, o unità produttive, con più di 15

dipendenti. I diritti previsti dallo statuto sono:

Art.20 – Diritto di Assemblea

I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro,

nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione

collettiva.

Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze

sindacali aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle

convocazioni, comunicate al datore di lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato

che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.

Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.

Secondo l'articolo l'assemblea può essere indetta solo dalle RSA che possono farlo singolarmente o

congiuntamente alle altre RSA. (Se in azienda c'è l'RSU, ovviamente sarà questa a indire

l'assemblea)

Se in azienda non è presente alcuna RSA le assemblee si possono indire ma non saranno previste le

tutele dell'art.20 (molto probabilmente consisteranno in assemblee fuori dall'orario lavorativo).

Il datore di lavoro, dal canto suo, non ha alcun potere di autorizzazione dell'assemblea che una

volta indetta viene fatta. Unico suo diritto è quello di avere un preavviso dell'assemblea, preavviso

di cui tempi e modalità dipendono dai contratti collettivi. (solitamente è di almeno 24 ore).

L'Assemblea è aperta a tutti i i lavoratori senza distinzione (ad esempio possono parteciparvi

anche tirocinanti, stagisti e apprendisti). Il datore di lavoro, tuttavia può partecipare solo se invitato.

Per quanto riguarda la possibilità di parteciparvi dei dirigenti dell'azienda, la linea generale data

dai giudici prevede che il dirigente di vertice che fa le veci del datore di lavoro non possa

parteciparvi, gli altri dirigenti, invece, sono abilitati.

Eventuali sindacalisti non dipendenti dell'azienda ed esperti esterni sono abilitati a partecipare solo

dando un preavvertimento al datore di lavoro per motivi di sicurezza.

Oggetto dell'assemblea

Come oggetto dell'assemblea, l''art.20 parla espressamente di materie di interesse sindacale e del

lavoro. Un'interpretazione abbastanza ampia del testo ritiene che comprenda tutto ciò che è attinente

in qualche modo all'ambito del lavoratore anche se esterno all'azienda. Unico limite viene posto su

materie di ordine propriamente politico.

Il datore di lavoro non ha potere di approvazione ne di veto dell'assemblea ma se l'assemblea viene

indetta affrontando una materia che non rientra nell'ambito, il datore può legittimamente rifiutarsi di

retribuire le ore di assemblea.

Modalità di svolgimento

Le assemblee si possono svolgere durante l'orario lavorativo e viene dato il limite di 10 ore

retribuite per dipendente iscritto o meno ai sindacati. Le RSA potranno, quindi, indire quante

assemblee vogliono ma il lavoratore potrà gestirsi, durante l'anno, solo 10 ore retribuite per

assistervi. Se le assemblee vengono fatte fuori dall'orario lavorativo non esiste un limite di tempo

ma solo un limite posto dai giudici di esigenze aziendali per il quale, se l'assemblea viene svolta

all'interno dell'azienda, non deve recar pregiudizio per il datore di lavoro.

Luogo di assemblea

Inerentemente al luogo in cui svolgere l'assemblea la legge non si spinge a porre un luogo apposito

ma si limita a imporre la disponibilità, all'interno dell'azienda, di idoneo locale.

Art.21 – Referendum

Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su

materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
90 pagine
2 download
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simo90s di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Menegatti Emanuele.