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L’effettività della tutela è affidata ad un procedimento speciale di urgenza, nel quale il giudice, convocate
le parti, entro due giorni dal deposito del ricorso, e svolta la sua istruttoria sommaria, qualora ritenga
sussistente la condotta antisindacale, “ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed
immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”.
La parte soccombente, sia esso il sindacato o il datore di lavoro, può proporre opposizione avverso il
decreto entro 15 giorni dalla comunicazione in cancelleria, altrimenti il decreto passa in giudicato a danno
del soccombente. Il giudizio di opposizione è regolato dal rito del lavoro e si conclude con sentenza
immediatamente esecutiva, impugnabile con un normale appello.
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Al datore che non ottempera all’ordine del giudice si applica la sanzione di cui all’art 650 c.p., che
prevede l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda per “chiunque non osserva un provvedimento legale dato
dall’autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene”.
Il contratto collettivo di diritto comune.
Risalgono all’inizio del ventesimo secolo le prime elaborazioni teoriche del contratto collettivo. Già era
concepito come un contratto unico stipulato da un soggetto rappresentativo di una collettività e
vincolante per entrambe le parti, con la funzione di predeterminare in modo uniforme il contenuto dei
contratti individuali di lavoro.
A partire dall’immediato dopoguerra, con la caduta dell’ordinamento corporativo, che aveva pubblicizzato
il contratto collettivo, ed a seguito della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., la dottrina e la
giurisprudenza hanno elaborato una teorica del contratto collettivo di diritto comune, ancorata alla
nozione di interesse collettivo e di rappresentanza sindacale.
La scopo del contratto collettivo è quello di realizzare, nei confronti dei datori di lavoro che sono o
saranno parti dei rapporti individuali di lavoro, una funzione normativa, cioè di predeterminare il
contenuto essenziale di quei rapporti individuali, sia in ordine al corrispettivo economico della
prestazione, che per quanto attiene a tutti gli altri istituti che ne disciplinano l’instaurazione, lo
svolgimento e l’estinzione.
Il contratto collettivo, dunque, disciplina l’interesse collettivo professionale di un gruppo di lavoratori;
esso è il prodotto dell’autonomia privata collettiva. Per queste ragioni, al contratto collettivo (perciò
denominato di diritto comune) viene applicata la disciplina generale dei contratti contenuta nel codice
civile.
Altra caratteristica del contratto collettivo di diritto comune è l’inderogabilità, cioè l’impossibilità per il
contratto individuale di modificare il contenuto dettato per il suo rapporto di lavoro dal contratto
collettivo, se non prevedendo un trattamento di miglior favore.
L’efficacia soggettiva del contratto collettivo.
La limitata efficacia del contratto collettivo di diritto comune fu, dunque, da subito un grave problema per
la perdurante non attuazione dell’art. 39 Cost. e per l’impossibilità di recuperare, per altra via, l’efficacia
erga omnes.
Fu la giurisprudenza, sensibile ai bisogni sociali, a farsi carico del problema, utilizzando, a volte con una
certa spregiudicatezza, il materiale normativo disponibile.
Il primo intervento è fondato sull’affermazione dell’immediata precettività (e quindi efficacia) nei
rapporti interpretativi dell’art 36 Cost., quanto ai principi di proporzionalità e sufficienza della
retribuzione; da tale affermazione i giudici fanno derivare l’illegittimità e, quindi, la nullità delle clausole
dei contratti individuali nelle quali siano previsti livelli retributivi in contrasto con i principi sopra
richiamati.
L’intervento fu importante ma non decisivo: la sua efficacia era limitata dalla circostanza che la sentenza
produce effetti esclusivamente per il lavoratore parte in giudizio.
Altra operazione per estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo è quella di far riferimento al
comportamento del datore di lavoro, il quale, pur non essendo obbligato, presti esplicita applicazione del
contratto collettivo stesso. L’ipotesi si verifica allorché il contratto individuale rinvii al contratto collettivo;
il rinvio può essere a un contratto collettivo oppure al sistema contrattuale, con conseguente aggancio
della disciplina del rapporto individuale alle dinamiche della contrattazione. Avendo accettato il contratto
collettivo il datore di lavoro non può più liberarsi dal vincolo, indipendentemente dalle sue vicende
associative.
La seconda operazione è quella di far riferimento alla c.d. adesione implicita, cioè all’applicazione
spontanea, nei contratti individuali di lavoro di cui è parte, dell’intero contratto collettivo (o di un numero
così significativo di clausole da consentire di ritenere che sia voluto recepire l’intero contratto). In questa
ipotesi, la recezione ha ad oggetto solo lo specifico contratto collettivo applicato spontaneamente,
potendo il datore di lavoro liberarsi dall’obbligo con la dichiarazione di non voler applicare i contratti
successivi.
Il successo di queste operazioni è anche dovuto al diffondersi di un giudizio di convenienza nelle stesse
imprese minori in merito all’inserzione nel contratto individuale di una clausola di rinvio al contratto
collettivo, per gli evidenti elementi di semplificazione, in ragione, tra l’altro, del crescente richiamo alla
disciplina collettiva operato dalla legislazione fiscale e previdenziale.
L’azione compiuta dalla giurisprudenza per estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo è stata
assecondata sin alla fine degli anni ’40, da numerosi interventi legislativi volti a promuovere, in via diretta
o indiretta, un ampliamento dell’ambito di applicazione del contratto collettivo di diritto comune. Acquisita
l’impraticabilità di un intervento attuativo dell’art 39 Cost., il legislatore tenta di condurre a soluzione
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definitiva il problema dell’efficacia generale dei contratti collettivi, con la legge n. 741/1959 (legge
Vigorelli), poi prorogata con legge n. 1027/1960, con la quale il Parlamento italiano delegò il Governo a
recepire in un atto avente forza di legge i contenuti dei contratti collettivi di diritto comune stipulati sino a
quel momento, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli
appartenenti ad una stessa categoria.
Contro la legge Vigorelli furono avanzati da più parti dubbi di legittimità costituzionale anche perché
attribuiva di fatto ai sindacati la potestà di introdurre, sia pure tramite l'interposizione di un decreto
legislativo, delle norme di legge, in senso formale, senza nemmeno passare dai vincoli di una legge
attuativa dei principi fissati dall'art 39 della costituzione.
La Corte costituzionale superò le obiezioni sollevate in base alla considerazione che la legge delega era
«provvisoria, transitoria ed eccezionale». Minor fortuna ebbe la legge di proroga che il Parlamento
approvò l'anno successivo, la quale, non potendosi più considerare "eccezionale", fu dichiarata dalla Corte
costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 39 e 77 Cost.
Tra i tentativi legislativi di estendere con efficacia erga omnes l'ambito di efficacia dei CCNL di diritto
comune va inoltre ricordato l'art. 36 dello Statuto dei lavoratori (l. 300/70), che impone
all'appaltatore di opere pubbliche di applicare ai propri dipendenti condizioni non inferiori a quelle
previste dalla contrattazione collettiva. Il medesimo obbligo è imposto dalla legge 389/89 all'imprenditore
che voglia fruire della c.d. fiscalizzazione degli oneri sociali.
Forma, interpretazione, struttura.
Prevalente è attualmente in dottrina ed in giurisprudenza l’orientamento secondo cui, in mancanza di
espresse previsioni di legge, vige per il contratto collettivo il principio di libertà della forma desumibile
dagli artt. 1350 ss. c.c.
Proprio perché il contratto collettivo è di diritto comune, si applicano per la sua interpretazione i criteri di
ermeneutica negoziale previsti dagli artt 1632 ss., sia pure con giustificata preferenza per l’elemento
letterale, al fine di dare certezza ai destinatari di questa, che sono soggetti diversi dalle parti stipulanti,
salvo il datore di lavoro nel contratto aziendale. In assenza di espressioni testuali sufficientemente chiare,
precise ed adeguate, la dottrina e la giurisprudenza privilegiano quelle regole che conducono alla c.d.
interpretazione oggettiva ed, in particolare, il canone dell’interpretazione complessiva delle clausole
(art 1363 cc), quello dell’interpretazione conservativa (art 1367 cc) e quello dell’interpretazione più
conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto (art 1369 cc).
Proprio per il connotarsi del contratto come atto di autonomia privata, è esclusa la possibilità per le parti
di formulare l’interpretazione autentica della volontà già da loro manifestata nel testo contrattuale;
ugualmente è escluso che eventuali lacune possano essere legittimamente colmate facendo ricorso
all’analogia; analogamente è esclusa l’estensione delle clausole di uno stesso contratto, al di là dei casi
espressamente previsti, ricorrendo alla c.d. analogia interna.
L’interpretazione del contratto collettivo nazionale di diritto comune accolta dal giudice di merito può
essere direttamente censurata in Cassazione.
Nel contratto collettivo abbiamo un contenuto normativo, attinente al complesso di clausole che sono
destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro; e un contenuto obbligatorio che vincola a
determinati comportamenti le associazioni (dei lavoratori e dei datori) tra di loro.
Occorre infine segnalare come la parte normativa vengo oggi ad essere a sua volta distinta in parte
economica ed in parte normativa in senso stretto, proprio in ragione di un’opzione compiuta nell’area
della contrattazione obbligatoria a fini di organizzazione delle procedure negoziali. Seconda questa
distinzione, per parte economica si intende si intende la parte del contratto collettivo in cui è stabilito
quale debba essere la retribuzione nelle sue variegate componenti, mentre per parte normativa quella
che disciplina tutti gli altri istituti del rapporto.
La distinzione non ha significati tecnici; ambedue le parti hanno efficacia normativa; ambedue
disciplinano un rapporto di lavoro; ambedue hanno valenza economica in quando anche la parte
normativa influisce significativamente sul costo del lavoro