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Estratto del documento

SEZIONE V – IL RAPPORTO DI LAVORO

CAPITOLO I – SALTATO

CAPITOLO II – LA STRUTTURA DEL RAPPORTO DI LAVORO

Per quanto riguarda il contratto di lavoro subordinato, da questo discendono degli

obblighi e dei diritti sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. I 3 poteri principali

in mano al datore di lavoro sono:

- potere direttivo: potere di dirigere e organizzare l’impresa

-potere di controllo: supervisione delle prestazioni dei lavoratori

-potere disciplinare: possibilità di applicare sanzioni disciplinari

Dal contratto di lavoratore derivano degli obblighi per i lavoratori:

1- OBBLIGO DI DILIGENZA: il grado di diligenza richiesto al lavoratore non si rifà al

modello del bonus pater familias, ma è rapportato alla natura della prestazione dovuta

e all’interesse dell’impresa, e viene definito come diligenza professionale. Fa parte di

questo obbligo anche il dovere per il lavoratore di aggiornarsi, il c.d. obbligo di

adeguamento della professionalità.

2- OBBLIGO DI NON CONCORRENZA E DI RISERVATEZZA: l’art.2015 c.c. stabilisce

che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in

concorrenza con l’imprenditore”. Inoltre il lavoratore ha l’obbligo di non divulgare

notizie riservate, che sono quelle attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione

dell’impresa, e comunque di non farne uso in modo da poter recare ad essa

pregiudizio. L’obbligo di non concorrenza normalmente si estingue con la cessazione

del contratto, ma è possibile inserire nel contratto lavorativo il c.d. patto di non

concorrenza, con il quale si prevede il divieto di concorrenza anche per la fase

successiva alla cessazione del rapporto di lavoro.

Il patto ha requisito di forma ad substantiam, deve perciò risultare da un atto scritto

e deve prevedere un corrispettivo per il lavoratore, adeguato all’entità del vincolo

pattuito.

Inoltre il patto deve prevedere dei limiti di tempo e di luogo.

CAPITOLO III – OGGETTO E LUOGO DELLA PRESTAZIONE DI

LAVORO

L’INQUADRAMENTO DEI LAVORATORI: MANSIONE, QUALIFICA,

CATEGORIA

L’oggetto della prestazione di lavoro si specifica in una pluralità di compiti concreti, i

quali costituiscono la/le mansione/i del lavoratore.

Alla luce delle mansioni attribuite ad un lavoratore si procede all’operazione di

inquadramento del lavoratore, che si sviluppa su 2 piani:

- il primo, più generale, è quello delle categorie previste per legge. La legge

suddivide i lavoratori, in base alla libertà e autonomia lavorativa, in dirigenti, quadri,

impiegati e operai.

Il dirigente è una figura investita di competenze e responsabilità decisionali con

riferimento all’azienda o ad un ramo autonomo di essa.

Il quadro è una figura intermedia tra il dirigente e gli impiegati ed operai e

corrisponde a coloro che sono investiti di significativi responsabilità gestionali senza

con ciò acquisire una responsabilità decisionale nel senso stretto del termine

L’impiegato è una figura caratterizzata dagli elementi di collaborazione,

professionalità e non manualità.

L’operaio si caratterizza per la natura prevalentemente manuale della sua

prestazione

- il secondo, più stringente, è previsto dai CCNL, i quali contemplano un sistema di

inquadramento finalizzato a classificare i lavoratori, a seconda dei ruoli professionali

svolti, in un numero variabile di livelli o aree professionali. Vengono indicate le

qualifiche professionali e le mansioni riconducibili ad una data professionalità.

L’indicazione delle qualifiche è arricchita da quasi tutti i CCNL da un’elencazione

esemplificativa delle principali attività lavorative riconducibili a ciascuna qualifica.

Facendo uso di queste griglie è possibile attribuire a ciascun lavoratore il livello e il

trattamento che gli competono.

LO IUS VARIANDI DEL DATORE DI LAVORO

La classificazione professionale contenuta nei contratti collettivi rappresenta una

limitazione alla libertà gestionale del datore di lavoro, in quanto comporta che a

date mansioni corrisponda l’assegnazione di un dato livello di inquadramento, e,

viceversa, che, possedendo un dato livello di inquadramento, siano esigibili dal

lavoratore soltanto le mansioni previste dal contratto collettivo con riguardo a tale

livello.

Il datore di lavoro può modificare le mansioni di un lavoratore, ma lo ius variandi è

sottoposto a limiti di natura imperativa, che sono posti a presidio della posizione

professionale e economica del lavoratore.

Anteriormente al 1970 lo ius variandi non era regolamentato in alcun modo.

Nel 1970 è stato disposto che le mansioni fossero immodificabili in peius, ed era

una norma assolutamente inderogabile, anche da parte dei contratti collettivi.

La normativa è stata riscritta con il Jobs Act e prevede che il lavoratore, oltre che per

le mansioni per cui è stato assunto (e mansioni superiori) può essere adibito

solamente a mansioni che siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di

inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

Lo ius variandi può essere validamente esercitabile in orizzontale. Questo

comporta affidare ai contratti collettivi (di solito CCNL), la parola decisiva sulla

comparazione tra le varie mansioni.

Il demansionamento , ossia il mutamento in peius delle mansioni è ammesso quando

è determinato da una modifica degli aspetti organizzativi aziendali che incide

in modo diretto sulla posizione del lavoratore.

Il demansionamento ha requisito di forma ad substantiam e deve essere comunicato

per iscritto e ha dei limiti:

-l’assegnazione può avvenire soltanto a mansioni riconducibili al livello di

inquadramento immediatamente inferiore nonché alla medesima categoria.

- il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del correlato

trattamento retributivo, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a

particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorative, che non ricorrono più

nelle nuove mansioni (es: lavorare all’estero).

Ulteriore ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti a livello di inquadramento

inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere

previsti dai contratti collettivi.

Infine, sia per l’ipotesi di mutamento orizzontale che per quella di mutamento in peius

è prescritto che il mutamento di mansioni sia accompagnato, ove necessario,

dall’assolvimento dell’obbligo di impartire al lavoratore la necessaria formazione.

La normativa prevede infine ipotesi in cui il demansionamento non soltanto è

consentito, ma anzi è in qualche modo imposto, in considerazione del passaggio in

secondo piano della garanzia della professionalità del lavoratore, rispetto all’esigenza

di evitare il male maggiore, rappresentato da un licenziamento per giusto motivo

oggettivo.

Se il medico competente attesta l’inidoneità del lavoratore alla mansione specifica, il

lavoratore deve essere adibito, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a

mansioni inferiori, venendogli garantito il trattamento economico corrispondente

alle mansioni di provenienza.

Altro caso di demansionamento ammesso è per le donne incinte per evitare danni al

feto durante la gravidanza.

Il demansionamento può essere previsto da un patto in deroga alle norme di legge,

ossia un accordo individuale di modifica della mansioni e dell’inquadramento, purché

nel rispetto di due condizioni:

1- tali patti devono essere conclusi nell’interesse del lavoratore alla conservazione

dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al

miglioramento delle condizioni di vita.

2- Il patto deve essere stipulato in sede assistita, elencate nell’art.2113

Qualora il giudice accerti che il lavoratore è stato vittima di un declassamento

professionale o demansionamento illecito, dichiara innanzitutto la nullità dell’atto o

del patto che lo ha determinato.

Inoltre il demansionamento configura un inadempimento contrattuale e può essere

produttivo di danni patrimoniali e non.

Oltre che mansioni di pari livello e categoria, il lavoratore può vedersi assegnare

mansioni superiori alle ultime effettivamente svolte, ossia corrispondenti ad un

superiore livello contrattuale di inquadramento e quindi ad una retribuzione più

elevata. Tale assegnazione può essere formalizzata sin dall’inizio come vera e propria

promozione o può essere disposta in via di mero fatto.

Nella seconda ipotesi l’art.2103 stabilisce che l’esercizio delle mansioni superiori

comporta, da subito, la spettanza della corrispondente retribuzione, e determina

l’acquisizione definitiva del superiore livello di inquadramento quando si protrae

per un periodo fissato dai contratti collettivi, o, in mancanza, dopo 6 mesi

consecutivi. Trascorso il periodo rilevante, il lavoratore acquisisce in via definitiva il

livello superiore e non può essere retrocesso. È fatta salva l’ipotesi in cui il lavoratore

esprime una diversa volontà rispetto alla definitività dell’assegnazione, caso in cui ha

diritto ad essere riassegnato alle mansioni precedentemente svolte o ad altre

mansioni di identico livello.

L’unica eccezione alla regola in esame si ha nel caso in cui l’assegnazione alla

mansione superiore avviene per sostituire un lavoratore assente dal servizio (es:

malattia o maternità); in tale ipotesi il protrarsi della prestazione oltre la soglia

temporale stabilita non comporta il diritto per il lavoratore all’inquadramento nel

livello superiore.

IL TRASFERIMENTO

Il potere di trasferimento è del datore di lavoro, il quale non ha bisogno del consenso

del lavoratore.

Affinché il trasferimento sia possibile devono ricorrere delle comprovate ragioni

tecniche, organizzative e produttive che lo giustifichino. Queste esigenze possono

riguardare sia l’unità produttiva di provenienza che quella di destinazione, ma devono

essere comprovate (sul datore grava l’onere della prova)

Il lavoratore che intenda contestare il trasferimento deve mandare entro 60 giorni una

lettera scritta al datore di lavoro e presentarsi davanti ad un giudice entro 180 giorni,

altrimenti perde la possibilità di contestarlo.

Il trasferimento disciplinare è illegittimo, anche se è previsto dalla giurisprudenza il

trasferimento per incompatibilità ambientale, ossia quando il lavoratore è

incompatibile con l’ambiente in cui si trova, ossia quando il suo comportamento

ostacola lo svolgimento della normale attività.

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
51 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valeangie14 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Ciucciovino Silvia.