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CONTRATTI COLLETTIVI CHE SONO OGGETTO DI RINVIO LEGALE

È chiaro che se noi parliamo del contratto collettivo parliamo di un fenomeno ancora più

complesso di come è stato descritto adesso: possiamo dire che non esiste un contratto collettivo;

tutto quello detto fino a adesso è riconducibile alle dinamiche del contratto collettivo del diritto

comune: ci sarà un contratto sottoscritto da due soggetti sindacali che rappresentano interessi

diversi e contrapposti, che noi chiamiamo contratto collettivo di diritto comune. In realtà, esistono

altre famiglie di contratti collettivi. Quella descritta fino a adesso è quella di diritto comune. Vi è

un’altra famiglia di contratti collettivi: i contratti collettivi che sono oggetto di rinvio legale; è la

famiglia più importante di contratti collettivi, perché questa contrattazione collettiva si muove in

una dinamica dell'interazione con la legge in senso più stretto; ovviamente, il DNA è lo stesso

dell'altra famiglia. È comunque una contrattazione collettiva parente dell'altra famiglia. Qui siamo

nella questione cruciale: la legge e il contratto collettivo (interazione tra la legge e il contratto

collettivo): il contratto collettivo ha bisogno della legge e la legge ha bisogno del contratto

collettivo: il contratto collettivo ha bisogno della legge perché il contratto collettivo necessità di un

riferimento di taglio generale e astratto, che dia delle linee generali dentro le quali il contratto

collettivo possa svolgere la sua funzione; se dobbiamo classificare lo stato di bisogno, è più la

legge ad avere bisogno del contratto collettivo, perché la legge è, almeno normalmente, generale e

astratta, e questa legge è poco adatta alla regolazione dei profili particolari di un rapporto di lavoro:

la legge ci può dire che la retribuzione deve essere conforme a determinati criteri, la legge ci può

dare indicazioni sull’orario ma non ci può dire qual è orario di lavoro in senso specifico. Se si vuole

capire come funziona un rapporto di lavoro, difficilmente si riesce a capirlo osservando solo la

legge, ma bisogna confrontarsi con il contratto collettivo, da cui si può capire bene come funziona

un rapporto individuale di lavoro. Questo rapporto di interazione tra legge e contratto collettivo

funziona secondo diverse traiettorie che non sono sempre le stesse.

La funzione classica: la contrattazione collettiva opera in funzione integrativa rispetto alle previsioni

legali: va a integrare il contenuto di una previsione legale, che è generale e astratta. In materia di

orario di lavoro, la disciplina legale fisserà una regola generale e, per alcuni aspetti, farà

riferimento a quanto dice il contratto collettivo; ma, se è cosi, i contratti collettivi che sono oggetto

di rinvio legale, sono contratti collettivi che, in quel contesto, operano come se fossero fonti di

integrazione della legge, operano a completamento di una disciplina legale. È operando a

integrazione della legge, che in quel contesto operano come se fossero legge: se la legge rinvia al

contratto collettivo per completare il fenomeno regolativo di quella materia, quale differenza c’è tra

legge e contratto collettivo dentro questa ipotesi? In questo meccanismo il CC svolge funzione

normativa, perché poi, una volta che questo intreccio si è ben realizzato, noi diremo che quella è la

disciplina che si applica in quella determinata ipotesi, che è l’intreccio tra la legge e il contratto

collettivo, in un ipotesi in cui il contratto collettivo opera con funzione di regolazione di una

fattispecie, i cui confini sono regolati da una legge. Se questo è vero, chi ci dice quale deve essere

il contratto collettivo che opera in funzione regolativa, normativa? Deve essere un contratto

collettivo stipulato da chi? Da quali sindacati? Quelli maggiormente rappresentativi? Quali sono?

Ritorna lo stesso problema: come si fa a dire che un sindacato va bene e un altro no? Molto

spesso è legislatore che risolve il problema, scegliendo i sindacati più rappresentativi; ma, come

facciamo a dire che quel rinvio è conforme all’art. 39, seconda parte, Cost.? Il sindacato opera in

funzione normativa; quindi, opera in erga omnes, visto che è in funzione normativa? Quindi, la

questione si pone forse con impatto anche maggiore in questi casi. È un diritto del lavoro costruito

su fragili basi, che non ha risolto il problema dell'erga omnes. È un diritto del lavoro fattuale (finché

regge il sindacalismo di fatto, finche non sorge un conflitto interno alle organizzazioni sindacali

allora funziona: quando le fragili basi si rivelano, ecco che noi non abbiamo criteri idonei a risolvere

la patologia).

LEZIONE 11 – 26/10/2015

Soluzione univoca idonea a risolvere il nodo dell'erga omnes: in attuazione della seconda parte

dell'art. 39 Cost. ha trovato una serie di risposte in dottrina e in giurisprudenza, che hanno, in

qualche misura, tentato di superare lo scoglio dell'inattuazione costituzionale, ma, come è

evidente, ne la dottrina ne la giurisprudenza hanno potuto colmare il vuoto che solo il legislatore

avrebbe potuto riempire. Su questo si innesta una riflessione, ricca di tentativi interessanti: alcuni

(come la Legge Vigorelli) dimostrano la loro inadeguatezza, altri (quelli elaborati dalla

giurisprudenza) erano interventi interessanti, ma abbiamo cercato anche di mettere in evidenza

che l'elaborazione giurisprudenziale di natura estensiva ha retto fin quando il contratto collettivo ha

avuto certe caratteristiche, fin quando ha avuto vocazione diretta a migliorare le condizioni

lavorative: il nuovo contratto che accresce le tutele di quello precedente; tutto questo ha

caratterizzato una fase lunga, poi giunta a esaurimento intorno alla meta anni 70, quando, accanto

ai normali contratti collettivi hanno cominciato a materializzarsi anche i contratti collettivi della

crisi, che non hanno distribuito vantaggi, ma sacrifici; i criteri elaborati dalla giurisprudenza non

potevano reggere nei momenti di crisi, se si distribuiscono i sacrifici; la crisi economica si traduce

in una contrattazione collettiva della crisi e genera fenomeni di dissenso individuale e collettivo.

Descritta questa parabola, il nostro punto di caduta è che, dovendo trarre una conclusione,

dobbiamo dire che oggi il contratto collettivo è un contratto collettivo di diritto comune: nessun

problema si pone se c’è compattezza tra i sindacati, se tutti gli attori di quel modello di relazioni

contrattuali accettano le regole che si sono dati, non si pone nessun problema, ma, se c’è una

frammentazione della linea sindacale, se c’è dissenso tra alcuni lavoratori, dobbiamo applicare

coerentemente le regole del diritto comune, stando attenti a verificare le condizioni volontaristiche.

Questi nodi non si sciolgono con una soluzione univoca, che valga una volta per tutti; ne discende

che il nostro punto di osservazione deve essere relativistico, di fronte alle molteplici soluzioni che

si pongono. Rimanendo su questo piano, si è parlato anche dell'effetto importante che

sull'estensione soggettiva del contratto collettivo ha prodotto l'applicazione dell’art. 36 Cost: una

volta affermato che la retribuzione del lavoratore deve essere conforme al principio enunciato al 36

Cost., e una volta chiarito, cosi come fa la giurisprudenza, che la retribuzione sufficiente è quella

prevista dai contratti collettivi, è importante capire l'effetto importante sulla generale applicazione

dei contratti collettivi. Anche questo criterio, se lo vediamo in un contesto di crisi, soffre, perché se

la retribuzione è quella prevista dai contratti collettivi, ed essi distribuiscono sacrifici, agiscono in

un’ottica recessiva; un’ottica che non è quella di andare verso un aumento, ma verso una

diminuzione: la tendenza sarà quella ad allontanarsi dal contratto collettivo, e non ad avvicinarsi

ad esso: è una tendenza di natura centrifuga (tendenza a dissociarsi dal contratto collettivo) in

forma collettiva e in forma individuale. Questo discorso non ha portato a soluzione: il legislatore

tace su questo aspetto. Ci ha provato la contrattazione collettiva a trovare una soluzione, ma non

hanno una particolare forza cogente, perché non sono soluzioni che hanno connotazione giuridica

in senso stretto. Questo discorso diventa, quindi, un discorso che poi trova altre complicazioni sul

fronte già enunciato: la circostanza che esistano diverse possibili famiglie di contratti collettivi, e, in

particolare, ci sono anche i contratti collettivi oggetto di un rinvio legale: la legge rinvia al contratto

collettivo per definire, per completare la regolamentazione di un determinato istituto del diritto del

lavoro (orario, per esempio); in questi casi la legge usa una serie di criteri per individuare quale sia

il contratto collettivo a cui rinviare. Il legislatore potrebbe affermare di rinviare al contratto collettivo

per quanto riguarda la disciplina dell’orario: ma sarebbe un rinvio generico; il legislatore, quindi,

per un certo periodo (dagli anni 70 agli anni 90) si limitava a rinviare ai contratti collettivi sottoscritti

dai sindacati maggiormente rappresentativi (sempre gli stessi); negli anni 70 vi è la piena

consapevolezza che i sindacati che operano nel tessuto delle relazioni sindacali italiani sono CGIL,

CISL e Uil: nel testo non si possono scrivere questi nomi, allora nella formula si vuole evocarli,

senza nominarli, quindi si parla di “sindacati maggiormente rappresentativi sul piano

nazionale”; in questo senso la formula funziona fin quando vi è compattezza tra i sindacati

maggiormente rappresentativi sul piano nazionale. Il problema si pone se uno di quei sindacati

comincia a dire che lui non firma un accordo perché non gli piace: si ritorna a tutte le questioni

trattate prima; la formula non ha funzionato quando la linea di riferimento si è frammentata, quando

si sono verificati fenomeni di dissociazione interna. Dalla metà degli anni 90, il legislatore prende

atto di questo e comincia ad immaginare altre formule: da un certo momento in poi il legislatore,

senza un eccessiva coerenza, comincia ad usare una formula diversa: "il sindacato

comparativamente più rappresentativo" (quale sia il retro pensiero di questa formula ancora non

si è capito); dopo aver utilizzato questa formula, il legislatore chiede agli interpreti di dare un

significato alla sua affermazione. Si sta parlando ancora dell'inattuazione dell'art. 39 Cost.: il

problema dei problemi del diritto del lavoro, la selezione dell'agente negoziale (come si seleziona

l'agente negoziale); se adotto un criterio selettivo devo dare un principio con cui adottare quel

criterio, che non può che essere quello democratico: quando il legislatore in precedenza d

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiuLsss.94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Albi Pasqualino.