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IL BILANCIAMENTO DI INTERESSI: IL CASO DELL'INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA
Nel corso del procedimento penale a carico di tale Minella Carmosina è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 546 del codice penale nella parte in cui punisce chi cagiona l'aborto anche qualora sia stata accertata la pericolosità della gravidanza della madre ma senza che ricorrano gli estremi dello stato di necessità di cui all'art. 54 del codice.
penale.
La giurisprudenza ammetteva il c.d. “aborto terapeutico” nei soli casi cioè in cui ricorresse uno stato di necessità” (è la clausola dell’art. 54 cod. pen per cui non può essere punito chi commetta il fatto costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persone”.
Ma questa non era la situazione dell’imputata che era affetta
solo da una grave forma di miopia ed era preoccupata di non trasmettere lo stesso problema all’eventuale figlio non ché di aggravare la propria con la gravidanza (cosa non improbabile appunto). il percilo di danno grave alla persona c’era me NON ERA ATTUALE come prescritto dall’art 56 cod. pen. La corte dichiara la disposizione illegittima “nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venire interrottaQuando l'ulteriore gestazione implichi medicalmente accertato e non danno o pericolo grave altrimenti evitabile per la salute della madre".
In questa sentenza, anche se la corte non parla espressamente di bilanciamento degli interessi è al bilanciamento che ricorre riconoscendo che "la tutela del concepito" ha un fondamento costituzionale e lo trova nell'art. 31 e 2 cost: nascere è un diritto inviolabile ma lo
è
anche
il
diritto
alla
salute
della
madre.
Il
fatto
è
che
non
si
può
nascere
solo
a
metà:
il
fatto
è
che
nel
caso
specifico
o
si
privilegia
un
diritto
o
l’altro
(non
si
può
procreare
“
a
metà”):
e
allora
la
corte
privilegia
il
diritto
alla
salute
della
madre
infatti
“non
esiste
equivalenza
fra
il
diritto
non
solo
alla
vita
ma
anche
alla
salute
di chi è già persona (come la madre) e quello dell'embrione che persona deve ancora diventare. La preferenza non è assoluta altrimenti l'altro interesse non sarebbe "bilanciato" ma del tutto sacrificato: per salvaguardarne almeno un'operatività la corte richiede che la minaccia per la salute della madre sia pericolo "danno" (non attuale, come invece richiederebbe l'art 54 cod.pen) ma almeno fondato su
seri
accertamenti
medici
e
che
tutto
il
possibile
sia
fatto
per
salvare
la
vita
al
feto.
SENTENZA
N.
100
ANNO
1981
La
Sezione
disciplinare
del
CSM
ha
sollevato
questione
di
legittimità
costituzionale
dell'art.
18
r.d.l.
31
maggio
1946,
n.
511,
nella
parte
in
cui
sottopone
a
sanzione
disciplinare
il
magistrato
che
tenga,
" in ufficio o fuori, condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o
che comprometta il prestigio dell'Ordine giudiziario".
Il
dubbio
di
legittimità
viene
fondato
sul
difetto
di
tipicità
dell'illecito.
È
tuttavia
impossibile
prevedere
tutti
i
comporta
menti
che
possono
ledere
" la fiducia e la considerazione del magistrato, o che comprometta il prestigio dell'Ordine giudiziario".
.
Ciò
spiega
la
ragione
per
la
quale,
nelle
leggi
che
nel
passato
hanno
tentato
di
enunciare
ipotesi
tipiche
di
infrazioni
disciplinari
sia
comunque
stata
posta
anche
una
norma
di
chiusura
generica
diretta
a
sanzionare
tutti
i
comportamenti
capaci
di
ledere
la
reputazione del singolo magistrato o la dignità dell'ordine al quale egli appartiene:
una
indicazione
tassativa
renderebbe
legittimi
comportamenti
non
previsti
ma
egualmente
riprovati
dalla
coscienza
sociale.
Non
può
ritenersi
che
tale
disposizione
violi
il
principio di legalità
perché
esso
"si
attua
non
soltanto
con la rigorosa e tassativa descrizione di una fattispecie ma, in alcune ipotesi, anche con l'uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta l'abbia o meno violato".
Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma, Cost., si osserva che il diritto di libertà di manifestazione del pensiero non può subire, per i magistrati, limitazioni
al
fine
di
evitare
che
possa
fondatamente
dubitarsi
della
loro
indipendenza
ed
imparzialità
nell'adempimento
del
loro
compito.
I
principi
anzidetti
sono
quindi
volti
a
tutelare
anche
la
considerazione
di
cui
il
magistrato
deve
godere
presso
la
pubblica
opinione;
assicurano
anche
la
fiducia
dei
cittadini