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Le convenzioni e il loro ruolo nel diritto internazionale
Le convenzioni appartengono alla regolarità e non alla regola: sono avvertite come indicazioni di comportamenti politicamente corretti, ma non giuridicamente vincolanti.
La Costituzione italiana, all'articolo 10.1, afferma che l'ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Si fa riferimento alle consuetudini internazionali, cioè a norme che non hanno origine nei trattati, ma in regole non scritte né poste tuttavia considerate obbligatorie dalla generalità degli Stati. Il giudice italiano, quando accerti l'esistenza di una norma di questo tipo, deve applicarla immediatamente nel nostro ordinamento, come fosse una norma interna di rango uguale a quella che la richiama (rinvio mobile).
Ci sono, però, altre fonti-fatto. Fonti-fatto per il nostro ordinamento sono anche tutte quelle fonti che producono norme richiamate dal nostro ordinamento ma non prodotte dai nostri organi: sono esempi le norme prodotte dalla CE.
e le norme di diritto internazionale privato. Siccome tali norme sono prodotte da organi che non appartengono al nostro ordinamento, queste sono considerate come "fatti" normativi. Il giudice ha il potere e il dovere di individuare ed interpretare le fonti normative da applicare al giudizio con i propri mezzi, senza cioè gravare sulle parti o dipendere dal loro apporto: principio juranovit curia. Mentre per gli atti normativi la pubblicazione ufficiale è lo strumento che rende sempre possibile l'accertamento della fonte, questo non vale per le fonti-fatto. Oltre alla conoscenza della fonte, il principio jura novit curia comporta anche il potere-dovere del giudice di interpretarne le disposizioni, al fine di individuare la norma da applicare al caso. Per le fonti-fatto il problema non sussiste, trattandosi di norme prive di disposizioni: occorre accertare quale norma si è imposta nella prassi. Per il diritto internazionale privato la legge straniera.è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo (il giudice deve comportarsi come se fosse giudice di un altro ordinamento). Diverso è il problema dell’applicazione del diritto comunitario: qui vige una riserva di legge a favore del giudice comunitario (= Corte di Giustizia della CE).
Il principio jura novit curia prevede, infine, che il giudice valuti che una norma esista e che sia valida (= posta in conformità alle norme di rango superiore). Ciò è evidente per le fonti-atto: se esse presuppongono una norma di riconoscimento che attribuisca ad un determinato organo la competenza a produrre un certo tipo di norme, queste saranno valide solo se conformi alla norma di riconoscimento. Per quanto riguarda le fonti-fatto occorre distinguere:
- Consuetudini: essa si sviluppa praeter legem o secundum legem; se il comportamento sociale è contra legem non c’è una fonte e il comportamento è
illegittimo.- Diritto internazionale privato: il giudice può valutare se la legge straniera è in vigore, ma non può rilevarne gli eventuali "vizi" (= contrasto con fonti superiori dell'ordinamento al quale appartiene).- Diritto comunitario: il giudice, se rileva un vizio della fonte comunitaria, deve sospendere il proprio giudizio e investire della questione la Corte di Giustizia.
Principio di esclusività: è espressione della sovranità dello Stato, che attribuisce a questo il potere esclusivo di riconoscere le proprie fonti, cioè indicare i fatti e gli atti che possono produrre norme nell'ordinamento. Per consentire a norme di altri ordinamenti di operare all'interno dell'ordinamento statale, si opera attraverso la tecnica del rinvio (= strumento attraverso cui l'ordinamento di uno Stato rende applicabili al proprio interno norme di altri ordinamenti). Il rinvio può essere:
- Rinvio fisso:
è detto anche rinvio materiale o recettizio, è il meccanismo con cui una disposizione dell’ordinamento statale richiama un determinato atto in vigore in un altro ordinamento, atto che di solito viene allegato. Il rinvio si dice fisso perché recepisce uno specifico e singolo atto, ordinando ai soggetti dell’applicazione del diritto di applicare le norme ricavabili da questo atto come norme interne. Le eventuali variazioni apportate all’atto a cui si rinvia non producono effetti per il nostro ordinamento senza un altro apposito atto di recepimento.
Rinvio mobile: è detto anche rinvio formale o non-recettizio, è il meccanismo con cui una disposizione dell’ordinamento statale richiama una fonte di un altro ordinamento. L’ordinamento statale si adegua automaticamente a tutte quelle modifiche che nell’altro ordinamento si producono nella normativa posta dalla fonte richiamata. => i soggetti che applicano il diritto hanno il
Compito di ricercare le disposizioni in vigore nell'ordinamento straniero, tenendo conto di tutti i mutamenti che in esso si sono prodotti.
Interpretazione
L'atto normativo è un documento dotato di determinate caratteristiche formali: attraverso di esso il legislatore esprime la sua volontà di disciplinare una determinata materia. L'atto normativo è articolato in enunciati (= espressione linguistica che ha forma grammaticale compiuta). Tramite gli enunciati il legislatore esprime la sua volontà normativa. Per questa loro caratteristica imperativa, gli enunciati degli atti normativi si chiamano disposizioni. In una democrazia rappresentativa il legislatore è di regola un organo politico collegiale. La volontà che esso esprime nasce da premesse politiche, risponde alle logiche della rappresentanza elettorale, passa attraverso le regole del compromesso politico... inoltre, il legislatore persegue obiettivi politici che variano nel tempo.
Il compito di riportare a coerenza e univocità il sistema delle disposizioni è affidato all'interprete. NB: interpretazione ≠ applicazione (= applicazione di una norma generale ed astratta ad un caso concreto). => sillogismo giudiziale: premessa maggiore (norma = frutto dell'interpretazione delle disposizioni), premessa minore (fatto) e conclusione (applicazione della norma al fatto). Il mito delle disposizioni chiare e univoche è appunto un mito. Il legislatore può cercare di risolvere certi gravi dubbi interpretativi o di forzare l'interpretazione dei giudici, aggiungendo nuove disposizioni alle vecchie, cercando di precisarne il significato (interpretazione autentica). Non si tratta di un'opera di interpretazione: si emana una nuova disposizione con cui si dice che un'altra disposizione va intesa in un determinato significato. Il legislatore aggiunge segni a segni, sperando di influire sul significato che altri soggetti.attribuiranno loro. Uno dei profili della divisione dei poteri è la divisione dei compiti tra chi ha il potere di dettare le disposizioni, e chi ha il potere di interpretare quegli enunciati. I soggetti dell'applicazione del diritto sono tecnici del diritto ed accedono alla carica per concorso, e sono privi di responsabilità politica. Chi applica la legge ha bisogno di norme non contraddittorie, di trarre dalle diverse disposizioni significati univoci e coerenti. Il compito principale del giudice è quello di ridurre ad un sistema coerente di norme un groviglio incoerente di disposizioni attraverso l'interpretazione. Antinomie e tecniche di risoluzioneANTINOMIA: contrasto tra norme, che si ha quando le disposizioni esprimono significati tra loro incompatibili (norme che qualificano lo stesso comportamento in modi contrastanti). È compito dell'interprete risolvere le antinomie, individuando la norma applicabile al caso. Talvolta ciò è
Possibile con gli strumenti dell'interpretazione, ossia attribuendo alle disposizioni un significato che le renda reciprocamente compatibili (interpretazione sistematica). Talvolta il testo delle disposizioni non consente di ricavarne norme coerenti, e allora ci sono dei criteri:
- Criterio cronologico: in caso di contrasto tra 2 norme, si deve preferire quella più recente a quella più antica (lex posterior derogat priori). La norma nuova si esprime sulla vecchia attraverso l'abrogazione: l'effetto consiste nella cessazione dell'efficacia della norma giuridica precedente.
L'efficacia della norma consiste nell'idoneità di un fatto o di un atto a produrre effetti giuridici, cioè a costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche. L'efficacia di una norma è la sua applicabilità come regola dei rapporti giuridici. La norma diventa efficace quando la disposizione da cui è tratta entra in vigore. Vige
Il principio di irretroattività degli atti normativi: essi dispongono solo per il futuro (la Costituzione vieta la retroattività delle norme penali incriminatrici). Il principio di irretroattività vale anche per l'abrogazione: se questa è un effetto prodotto dal nuovo atto sulle norme precedenti, esso opera, in mancanza di disposizioni contrarie, solo per il futuro. La vecchia norma perde efficacia dal giorno dell'entrata in vigore del nuovo atto. L'abrogazione opera ex nunc (= da ora), e la vecchia norma, benché abrogata, sarà la norma che il giudice deve applicare ai vecchi rapporti. L'effetto abrogativo può essere prodotto da fenomeni diversi. L'art. 15 delle Preleggi elenca 3 ipotesi:
- Abrogazione espressa: per dichiarazione espressa del legislatore. È il contenuto di una disposizione e vale erga omnes.
- Abrogazione tacita: per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti. Non
è prevista da una legge, ma è riscontrata dal giudice. Gli effetti dell’abrogazione tacita valgono ex nunc, ma solo per le parti del singolo giudizio, ovvero inter partes;
c. Abrogazione implicita: la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. Non c’è una disposizione che abroghi la legge precedente, ma è l’interprete che trae dal fatto che il legislatore abbia riformato la materia un argomento per sostenere che la vecchia legge debba ritenersi abrogata e le sue norme non debbano essere più applicate. Questa abrogazione, perciò, opera sul piano dell’interpretazione, non su quello della legislazione. Non sempre il risultato dell’abrogazione è netto: la nuova legge può disciplinare solo parte della materia disciplinata dalla legge precedente.
NB: diversa dall’abrogazione è la deroga, che nasce da un contrasto tra norme di diverso tipo, nel senso che la norma
derogata è una norma generale, mentre la norma derogante è una norma particolare. La differenza tra abrogazione e deroga sta nel fatto che la norma abrogata perde efficacia per il futuro, e può riprendere a produrre effetti solo se viene reintrodotta. La norma derogata, invece, continua ad essere valida ma viene temporaneamente sospesa o limitata nell'applicazione in determinate circostanze.