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COMMERCIALE

Dallo stesso art. 30 sono previste deroghe per la tutela della proprietà industriale e commerciale. Questo e un settore“difficile”, poiché è regolato da una disciplina ispirata al principio della territorialità, che è principio concettualmente agli antipodi rispetto all’idea del mercato comune: lo sforzo giuridico consiste, perciò, nel trovare un equilibrio tra tutela della proprietà intellettuale e il mercato comune (ispirato al principio della libertà degli scambi).

La proprietà intellettuale viene vista come quell’insieme di diritti riconosciuti da un ordinamento per la tutela del brevetto, del marchio, del diritto di autore etc. Inoltre il titolare di tale diritto ha facoltà esclusive erga omnes, in ordine alla produzione e alla commercializzazione dei beni cui inerisce. Il conferimento di un’esclusiva territoriale, porta a un regime di monopolio che può contrastare

con l'idea di mercato comune. Per un lungo periodo è stata la Corte a disegnare i contorni del regime comunitario della proprietà intellettuale, rifacendosi alle norme riguardanti la libertà di circolazione delle merci e quelle sulla concorrenza. Nel settore della proprietà intellettuale gli artt. 28 e 30 si configurano come un limite all'applicazione delle normative interne, lo schema concettuale può essere così sintetizzato: le restrizioni degli scambi risultanti dall'applicazione dei diritti di proprietà intellettuale ricadono automaticamente nel campo di applicazione dell'art.28; la verifica di compatibilità con il diritto comunitario delle norme nazionali sulla proprietà intellettuale deve essere ricondotta nell'ambito dell'art. 30. La deroga di cui all'art. 30 consente di giustificare soltanto norme interne che siano indispensabili per tutelare l'oggetto specifico dei diritti.

Di proprietà intellettuale. Spetta, in ultima analisi, alla Corte definire qual è l'oggetto in questione, nonché dettare i criteri in base ai quali valutare se le norme nazionali siano o meno indispensabili. Le necessarie valutazioni di fatto spettano alle autorità (amministrative o giurisdizionali) nazionali. L'art. 30 precisa che tali divieti non debbano comportare una discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata agli scambi intracomunitari.

Nel diritto di brevetto l'oggetto specifico della proprietà industriale è la garanzia data al titolare, per ricompensare lo sforzo creativo, di valersene in via esclusiva per l'immissione di beni industriali sia direttamente, sia concedendo licenze a terzi (ovviamente l'oggetto specifico non può valere quando la prima immissione in commercio avvenga in un mercato dove il prodotto non è brevettabile: in tal caso il titolare non può che accettare le

regole della liberacircolazione. Per ciò che concerne la definizione dell'oggetto nel diritto di marchio, esso prima si è individuato nella garanzia per il titolare di un diritto esclusivo di servirsi del marchio per la prima immissione di un prodotto sul mercato, successivamente alla sentenza HaggII, la Corte ha individuato la funzione che il marchio assume a tutela del consumatore ed a garanzia della qualità dei prodotti. Relativamente al diritto d'autore e ai diritti connessi, è stato riconosciuto che le diverse forme di tutela della proprietà letteraria ed artistica rientrano nell'ambito della deroga ex art. 30 in ordine alla proprietà industriale e commerciale. In particolare la Corte ha sempre escluso che gli articoli 28 e 30 possano essere invocati per opporsi all'applicazione di norme nazionali che stabiliscono se possa essere riconosciuto un diritto di proprietà intellettuale. La costituzione di tale diritto.è rimessa all’ordinamento interno, con la conseguenza che le regole adottate da uno stato membro in tale materia debbono ritenersi rientrare in linea di principio nell’ambito della specifica deroga ex art.30. L’autonomia degli stati non è assoluta, infatti la Corte ha previsto che, in presenza di talune condizioni, i diritti di proprietà intellettuale sono soggetti ad esaurimento, e che comunque le norme su questi diritti non possono avere effetti discriminatori. Il principio dell’esaurimento il titolare non potrà opporsi all’importazione o commercializzazione di prodotti messi in commercio, nello Stato d’esportazione, da lui stesso o col suo consenso; ciò è dettato per evitare che il titolare possa determinare, con la costituzione di diritti paralleli, una compartimentazione dei mercati ed impedire la circolazione dei prodotti nella Comunità. La giurisprudenza ha poi precisato la portata del principio.

dell’esaurimento, ad esempio in materia di brevetti se ne è esclusa l’applicazione quando il prodotto sia stato commercializzato senza il consenso effettivo del titolare del brevetto /a meno che non abbia acconsentito alla commercializzazione in uno stato in cui il prodotto non è brevettabile). Le opere artistiche, letterarie che possono essere non solo vendute ma anche noleggiate, la giurisprudenza ha affermato che la riscossione dei diritti d’autore in funzione alle vendite non costituisce una remunerazione sufficiente, e quindi una normativa che preveda una quota, spettante al titolare del diritto, dei profitti realizzati tramite il noleggio è giustificata. In materia di marchi, in un primo momento il principio dell’esaurimento è stato collegato alla mera origine comune del diritto, senza distinguere tra successiva cessione volontaria e non volontaria. Tale orientamento è mutato con la sentenza HAG II, che ha precisato che

nell'ipotesi di due o più diritti di marchio aventi la stessa origine, ma la cui partizione sia avvenuta senza il consenso del titolare originario ed in capo a soggetti a lui del tutto indipendenti, ciascun titolare si può opporre all'importazione del prodotto di marchio uguale o confondibile. È bene precisare che l'applicabilità del principio dell'esaurimento è applicabile in tutti i casi di cessione del diritto in quanto ad essere decisivo non è il consenso del titolare originario, ma la perdita da parte sua del controllo sulla qualità del prodotto. Per il caso di riconfezionamento di medicinali, il titolare del diritto di marchio si può opporre solo quando sia riconosciuto che l'esercizio del diritto di marchio non miri ad isolare artificialmente i mercati, quando il riconfezionamento può alterare lo stato originario del prodotto e quando sulla nuova confezione non se ne specifichi l'autore.

La giurisprudenza riassunta la ritroviamo nell'art.7 del direttiva sul riavvicinamento delle legislazioni nazionali sui marchi.

15. MONOPOLI COMMERCIALI

L'art. 31 del Trattato sancisce il principio del riordino dei monopoli nazionali di carattere commerciale, fine all'eliminazione di qualsiasi discriminazione fra cittadini comunitari circa le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi.

L'obbligo di procedere al riassetto dei monopoli riguarda qualsiasi organismo dello Stato, attraverso cui questo controlli, diriga o influenzi sensibilmente, direttamente o indirettamente, gli scambi tra Paesi membri.

Deve trattarsi di un monopolio che si estende nell'intero territorio nazionale e che attenga a scambi di merci; in caso contrario si è fuori dal campo di applicazione dell'art.31.

Il riordino progressivo dei monopoli doveva consentire agli Stati membri di realizzare l'obiettivo dell'eliminazione di qualsiasi discriminazione.

entro e non oltre il periodo transitorio (31/12/1969 per i Padri fondatori). 58L'obiettivo era quello di evitare eventuali perturbazioni nel tessuto economico e sociale. Inoltre i tempi del riordino non consentono di determinare a priori i momenti intermedi in cui i singoli ostacoli vanno eliminati, come è confermato anche dal tipo di strumento, la raccomandazione, di cui la Commissione si serve per sollecitare il riordino. Ci si è chiesti se l'art. 31 imponga l'eliminazione dei monopoli commerciali in quanto tali, o solo di quelli che comportano una discriminazione. In questi termini il problema è mal posto, perché dipende dal tipo di monopolio, dalla sua estensione e dalla sua compatibilità con le norme comunitarie. Altro problema era il rapporto tra l'art. 31 e l'art. 86. Quest'ultima è sicuramente più ampia, perché mira all'eliminazione di qualsiasi misura che, adottata nei confronti delle

imprese pubbliche e delle imprese titolari di diritti esclusivi o speciali, sia contraria al trattato e in particolare alle norme sulla concorrenza. Logica vorrebbe che l'art. 31, una volta raggiunto il suo scopo di eliminare i monopoli che recano pregiudizio alla libertà degli scambi di merci, rientrasse nella norma più ampia dell'art. 86. Il Trattato di Amsterdam ha risolto la questione eliminando il carattere della gradualità del riordino nei monopoli commerciali, ma mantenendo la disposizione distinta dall'art. 86.

CAP. V - LA LIBERA CIRCOLAZIQNE DELLE PERSONE E DEI CAPITALI.

1. LE PERSONE CHE BENEFICIANO DELLA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE ALL'INTERNO DELLACOMINITÀ

La libera circolazione delle persone è oggetto di un principio fondamentale destinato a soddisfare l'esigenza di rendere possibile e agevole per i cittadini comunitari l'esercizio di una attività, senza riguarda per i confini.

nazionali. All'inizio il trattato non riguardava la persona in quanto tale, ma in quanto soggetto che esercita un'attività economica rilevante o comunque sia a tale soggetto collegata, ad esempio per vincoli familiari. Troviamo dunque, tre gruppi di norme, che corrispondono a tre principali ipotesi:

  • lavoro subordinato (artt. 39-42)
  • lavoro autonomo localizzato stabilmente nel territorio di uno Stato membro (artt. 43-48)
  • prestazione di servizi, che si risolve in un'attività economica prestata occasionalmente in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento (art. 49-55)

La disciplina della libera circolazione delle persone si articola in modo differente a secondo delle tre ipotesi, ciò però non inficia che, sotto certi aspetti, sia unitaria. La Corte ha ampliato il più possibile la sfera di soggetti ammessi a beneficiare della libera circolazione, andando ben aldilà delle ipotesi tipiche. A ciò si aggiunga che lo stesso

nicari, introducendo il concetto di "diritto di soggiorno permanente". Questo diritto consente ai cittadini comunitari che risiedono legalmente in uno Stato membro per un periodo continuativo di cinque anni di acquisire un diritto di soggiorno permanente in quel paese. Inoltre, la direttiva stabilisce che i cittadini comunitari hanno il diritto di circolare liberamente all'interno dell'Unione Europea, senza essere soggetti a restrizioni o discriminazioni basate sulla nazionalità. Questo diritto di circolazione si applica sia ai cittadini che si trasferiscono in un altro Stato membro per lavorare, sia a quelli che si trasferiscono per motivi diversi dal lavoro, come lo studio o la pensione. La direttiva prevede anche che i familiari dei cittadini comunitari abbiano il diritto di soggiorno e di circolazione all'interno dell'Unione Europea, a condizione che siano in possesso di un documento di soggiorno valido. In conclusione, il diritto derivato dell'Unione Europea ha riconosciuto ai cittadini comunitari il diritto di soggiorno e di circolazione all'interno dell'Unione, garantendo loro la possibilità di vivere e lavorare liberamente in qualsiasi Stato membro.
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A.A. 2007-2008
87 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher melody_gio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto comunitario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Saravalle Alberto.