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IMPUTAZIONE DELL ATTIVITÀ D IMPRESA
2. Esercizio diretto dell’attività d’impresa.
L’individuazione del soggetto cui è imputabile la disciplina dell’attività d’impresa non solleva
problemi quando gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato o da altri in suo
nome. E’ principio generale del nostro ordinamento che centro di imputazione degli effetti dei
singoli atti giuridici posti in essere è il soggetto il cui nome è stato speso nel traffico giuridico. Solo
questi è obbligato nei confronti del terzo contraente; ciò quand’anche altro sia il reale interessato
nell’affare ed il terzo sia a conoscenza della dissociazione fra il soggetto agente ed il reale
destinatario dei risultati economici dell’atto.
Questo criterio di imputazione degli effetti attivi e passivi degli atti negoziali (spendita del nome)
risponde ad esigenze di certezza giuridica ed è enunciato in tema di mandato senza
rappresentanza. Il mandatario è un soggetto che opera nell’interesse di altro soggetto e può porre
in essere i relativi atti giuridici sia spendendo il proprio nome sia spendendo il nome del mandante,
se questi gli ha conferito di agire a suo nome, gli ha conferito il potere di rappresentanza.
L’imputazione degli effetti degli atti posti in essere dal mandatario è retta da principi contrapposti a
seconda che il mandato sia o meno con rappresentanza, in entrambi i casi il reale interessato è il
mandante. Quando il mandatario agisce in nome del mandante tutti gli effetti negoziali si
producono nella sfera giuridica di quest’ultimo. Il mandatario che agisce in proprio nome “acquista
i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi. I terzi non hanno rapporto col
mandante” (art. 1705).
Il legislatore non fissa un diverso criterio di imputazione dell’attività di impresa e della sua
disciplina e ciò implica che la qualità di imprenditore è acquistata dal soggetto. Diventa
imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in proprio nome gli
atti relativi. Non è imprenditore il soggetto che gestisce l’altrui impresa quando operi spendendo il
nome dell’imprenditore.
Perciò, quando gli atti di impresa sono compiuti tramite rappresentante, imprenditore diventa il
rappresentato e non il rappresentante. E’ questo il caso, ad esempio, del genitore che gestisce
l’impresa quale rappresentante legale del figlio minore, in seguito ad autorizzazione del tribunale.
Gli atti di impresa sono decisi e compiuti dal genitore, ma imprenditore è il minore e solo il minore
è esposto al fallimento.
3. Esercizio indiretto dell’attività di impresa. La teoria dell’imprenditore occulto.
L’esercizio di attività di impresa può dar luogo ad un fenomeno analogo a quello determinato dal
compimento di singoli atti giuridici tramite un mandatario senza rappresentanza. Può dar luogo a
dissociazione fra il soggetto cui è imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato.
Altro è il soggetto che compie in proprio nome i singoli atti d’impresa: imprenditore palese o
prestanome. Altro è il soggetto che somministra al primo i necessari mezzi finanziari, dirige
l’impresa e fa propri tutti i guadagni. Altro è il dominus dell’impresa, pur non palesandosi come
imprenditore di fronte ai terzi: imprenditore indiretto o occulto.
Questo modo di operare non solleva problemi fino a che gli affari prosperano e i creditori sono
pagati dall’imprenditore palese, il risultato sarà il rischio d’impresa non sia sopportato dal reale
dominus, ma è da questi trasferito sui creditori più deboli. Quei creditori cioè non in grado di
premunirsi contro il dissesto del prestanome costringendo il reale interessato a garantire i debiti
contratti in proprio nome dal primo. Questo modo di operare può causare una serie di dissesti a
catena, visto che i creditori dell’imprenditore palese sono a loro volta imprenditori.
Quali i rimedi? Si è ritenuto di poter neutralizzare i pericoli per i creditori, insiti nella rigorosa
applicazione del principio della spendita del nome, escludendo che la stessa sia requisito
necessario ai fini dell’imputazione della responsabilità per i debiti di impresa. Per l’attività di
impresa opererebbero principi diversi da quelli ricavabili dalla disciplina del mandato senza
rappresentanza; principi che consentirebbero di imputare anche al reale dominus i debiti contratti
dall’imprenditore palese, consentirebbero quindi di sottoporre il primo a fallimento.
La responsabilità cumulativa dell’imprenditore palese e del dominus è stata affermata dall’idea che
“nel nostro ordinamento giuridico è sanzionata la inscindibilità del rapporto potere-responsabilità”.
Chi esercita la direzione di un’impresa, si assume anche il rischio e risponde alle obbligazioni. Ciò
si desume da norme riguardanti società di persone e in passato anche di società di capitali.
Questo affermerebbe che l’attività esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori
sono sia il prestanome sia il dominus.
Altra teoria è quella dell’imprenditore occulto, secondo la quale il dominus di un’impresa fallirà
sempre e comunque qualora fallisca il prestanome. Tutto ciò sarebbe giustificato dalla norma della
legge fallimentare: art. 147, 4° comma. Tale norma dispone che il fallimento della società si
estende anche ai soci la cui esistenza sia scoperta dopo la dichiarazione di fallimento della società
e dei soci palesi. Questo è il cosiddetto fallimento del socio occulto di società palese.
Precedentemente l’articolo era 147, 2° comma e affermava che fosse applicabile per analogia alla
diversa ipotesi in cui i soci abbiano occultato l’esistenza stessa della società di persone. Cioè
all’ipotesi in cui chi contratta con terzi si presenta come imprenditore individuale mentre ha uno o
più soci occulti,, è socio occulto di una società occulta.
Oggi il fallimento dei soci occulti di una società occulta è disposto dall’art. 147, 5° comma.
Se fallisce la società occulta, fallisce anche l’imprenditore occulto; si arriva ad affermare la
responsabilità e l’esposizione al fallimento di chiunque (palesemente o occultamente) domini
un’impresa a lui formalmente non imputabile.
E’ così affermata la responsabilità del socio tiranno di una società per azioni. Dell’azionista che
“usa della società come cosa propria” e ne dispone a suo piacimento “ con l’assoluto disprezzo
delle regole fondamentali del diritto societario”. Regole che vengono violate anche attraverso la
confusione dei rispettivi patrimoni: il socio utilizza il patrimonio della società per propri scopi,
oppure usa il proprio patrimonio per pagare i debiti della società.
E’ altresì affermata anche la responsabilità dell’azionista o degli azionisti sovrani. Dell’azionista
cioè che in fatto domini l’impresa societaria in forza del possesso di un pacchetto azionario di
controllo.
4. Critica. L’imputazione dei debiti di impresa.
Entrambe le tesi esposte precedentemente si fondano sulla presunta esistenza di due criteri
generali di imputazione della responsabilità per debiti di impresa: il criterio formale della spendita
del nome, acquista la qualità d’imprenditore la persona fisica o la società nel cui nome l’attività di
impresa è svolta; il criterio sostanziale del potere di direzione, a cui risponderebbe e fallirebbe il
reale interessato.
Né le norme societarie né la legge fallimentare consentono di dimostrare che un soggetto può
essere chiamato a rispondere, per ciò solo che egli è il dominus di un’impresa individuale
formalmente imputabile ad altro soggetto o di una società di capitali.
Non lo dimostra la disciplina societaria, poiché nelle società di persone il socio amministratore non
può limitare la propria responsabilità. Nelle società in nome collettivo tutti i soci rispondono
illimitatamente anche quando la gestione è affidata a solo alcuni di essi, lo stesso si può dire per i
soci accomandatari dell’accomandita semplice.
L’assunto che nelle società di capitali la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali è legata
al dato del potere di gestione trova oggi una smentita con il d.lgs. 88/1993 per la s.r.l. e nel 2003
anche estesa alla s.p.a., non basta più essere unico socio per incorrere in responsabilità illimitata,
ma è necessario che ricorrano ulteriori informazioni oggettive e formali.
L’inscindibile collegamento fra potere di gestione e responsabilità illimitata non è dimostrabile
nemmeno in base all’art. 147 1. fall. La teoria dell’imprenditore occulto, fonda tale conclusione su
un’estensione analogica. Dal fallimento del socio occulto di società palese e dal fallimento del
socio occulto di società occulta si passa al fallimento dell’imprenditore occulto.
Nel fallimento del socio occulto di società palese è fuori contestazione: l’esistenza di una società
con soci a responsabilità illimitata; è fuori contestazione che il soggetto successivamente scoperto
sia socio di tale società; infine che gli atti di impresa siano stati posti in essere in nome della
società. Ciò che è stato occultato è solo il reale numero dei soci ed il socio occulto risponde e
fallisce, perché fa parte della società.
I soci occulti sono chiamati a rispondere di atti che non sono stati posti in essere in nome della loro
società, bensì di un solo socio che opera all’esterno come mandatario senza rappresentanza. Tale
deroga può essere spiegata osservando che i soci occulti, perseguono il disegno di sottrarsi al
fallimento personale ed alla responsabilità illimitata per i debiti dell’impresa comune, che sono
invece regole inderogabili del tipo societario. I soci che intendono limitare la propria responsabilità
per i debiti sociali devono farlo costituendosi in uno degli scenari societari in cui è previsto tale
beneficio.
E’ estraneo alla disciplina dell’art. 147 1. fall. il fine di affermare la responsabilità del dominus di
un’impresa gestita sotto altrui nome. Lo si desume dal primo comma, che circoscrive il fallimento
dei soci illimitatamente responsabili a tre soli tipi societari: s.n.c., s.a.s., s.a.p.a.
Non fal