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La legge n. 860 del 1956 è stata abrogata dalla legge quadro per l’artigianato n. 443 del 1985.

Anche quest’ultima contiene una propria definizione dell’impresa artigiana basata:

sull’oggetto dell’impresa, che oggi può essere costituito da qualsiasi attività di produzione di beni, anche

semilavorati, o di prestazioni di servizi, sia pure con alcune limitazioni ed esclusioni;

sul ruolo dell’artigiano nell’impresa, richiedendosi in particolare che esso svolga in misura prevalente il

proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo, ma non, si badi, che il suo lavoro prevalga sugli

altri fattori produttivi.

Il personale dipendente deve essere personalmente diretto dall’artigiano ed è stabilito che l’imprenditore

artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana.

La legge del 1985 riafferma altresì la qualifica artigiana delle imprese costituite in forma di società

cooperative o in nome collettivo, a condizione che la maggiorana dei soci, ovvero uno nel caso di due soci,

svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro

abbia funzione preminente sul capitale. Il lavoro in genere e non quello prestato dai soci.

La qualifica di impresa artigiana è stata successivamente estesa alla società a responsabilità limitata

unipersonale e alla società in accomandita semplice, e più di recente alla s.r.l. pluripersonale.

È scomparso ogni riferimento alla natura artistica o usuale dei beni o servizi prodotti. La generale elevazione

del numero massimo dei dipendenti consentono di conservare la qualifica artigiana anche raggiungendo le

dimensioni di una piccola industria di qualità.

L’impresa artigiana certamente si caratterizza ancora per il rilievo del lavoro personale dell’imprenditore nel

processo produttivo. Da nessuna norma della legge speciale è invece consentito desumere che debba

necessariamente ricorrere la prevalenza (funzionale e/o quantitativa) del lavoro proprio e dei componenti

della famiglia sul lavoro altrui e sul capitale investito.

La legge quadro ha realizzato una vistosa frattura rispetto alla legge del 1956 e preclude ogni residua

possibilità di ricondurre il nuovo modello di impresa artigiana nell’alveo della definizione generale di

piccolo imprenditore.

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È quindi venuto meno il solo dato che imponeva di attribuire valore generale alla nozione di impresa

artigiana contenuta nella legge speciale del 1956. Oggi, perciò, il riconoscimento della qualifica artigiana in

base alla legge quadro non basta per sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale. E’

necessario altresì che sia rispettato il criterio della prevalenza fissato dall’art. 2083. In mancanza,

l’imprenditore sarà artigiano ai fini delle provvidenze regionali, ma dovrà qualificarsi imprenditore

commerciale non piccolo ai fini civilisti e quindi potrà fallire.

L’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane non preclude all’autorità giudiziaria di accertare se

effettivamente sussistano i presupposti per il riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore.

Anche l’esonero delle società artigiana dal fallimento si deve ritenere cessato.

Una società artigiana godrà delle provvidenze di cui godono le altre imprese artigiane, ma in caso di

dissenso fallirà al pari di ogni altra società che esercita attività commerciale.

Non è sostenibile che le imprese artigiane, rispondenti ai requisiti fissati dalla legge del 1985, siano imprese

civili e non commerciali per difetto del requisito dell’industrialità.

La distinzione fra impresa industriale ed impresa artigiana è in funzione delle dimensioni dell’impresa e non

della natura dell’attività.

L’imprenditore artigiano non è che un piccolo industriale e quindi, giuridicamente, rientra nella categoria

degli imprenditori commerciali, come del resto emerge dal fatto che alcune delle attività esercitabili

dall’impresa artigiana sono espressamente ricompresse nell’elenco delle attività commerciali di cui all’art.

2195.

Al pari di ogni imprenditore commerciale, l’imprenditore artigiano individuale sarà esonerato dal fallimento

solo se in concreto ricorre la prevalenza del lavoro familiare. L’impresa artigiana in forma societaria sarà

invece sempre esposta al fallimento in applicazione della parte restata in vigore dell’art. 1, 2° comma, legge

fallimentare.

È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado (fino ai

nipoti) e gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell’imprenditore: cosiddetta famiglia nucleare.

È frequente che la piccola impresa sia anche impresa familiare, ma fra le due fattispecie non vi è

coincidenza.

Il legislatore ha voluto predisporre una tutela minima ed inderogabile del lavoro familiare nell’impresa,

destinata a trovare applicazione quando non sia configurabile un diverso rapporto giuridico e non sia perciò

azionabile altro mezzo di tutela.

La tutela legislativa è realizzata riconoscendo ai membri della famiglia nucleare, che lavorino in modo

continuato nella famiglia o nell’impresa (il lavoro domestico è equiparato a quello nell’impresa e il lavoro

della donna è equiparato a quello dell’uomo), determinati diritti patrimoniali e amministrativi.

Diritti patrimoniali:

diritto al mantenimento;

diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità del lavoro prestato;

diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda sempre in proporzione alla

quantità ed alla qualità del lavoro prestato;

diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda stessa.

Sul piano gestorio è poi previsto che le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e talune

altre decisioni di particolare rilievo sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa

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stessa.

Il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il

consenso unanime dei familiari già partecipanti. È inoltre liquidabile in danaro qualora cessi la prestazione

di lavoro ed in caso di alienazione dell’azienda.

Per quanto riguarda la titolarità dei beni aziendali, essi restano di proprietà esclusiva dell’imprenditore-

datore di lavoro.

I diritti patrimoniali dei partecipanti all’impresa familiare vanno concepiti come semplici diritti di credito

nei confronti del familiare imprenditore.

Sul piano gestorio il silenzio del dato legislativo in merito agli atti di gestione ordinaria va risolto nel senso

che essi rientrano nella competenza esclusiva dell’imprenditore e che nessun potere competa al riguardo agli

altri familiari. La violazione da parte dell’imprenditore dei poteri gestori ex lege riconosciuti ai familiari lo

esporrà al risarcimento dei danni eventuali nei loro confronti, ma non inciderà sulla validità o sull’efficacia

degli atti compiuti, che saranno perciò ugualmente produttivi di effetti nei confronti dei terzi.

L’imprenditore agisce nei confronti dei terzi in proprio e non quale rappresentante dell’impresa familiare. Se

l’impresa è commerciale solo il capo famiglia-datore di lavoro sarà esposto al fallimento in caso di dissenso.

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4. Impresa collettiva. Impresa pubblica

Tre sono le figure espressamente contemplate dal legislatore: impresa individuale, impresa societaria ed

impresa pubblica.

Si ha impresa individuale quando titolare dell’impresa è una persona fisica.

Le società sono le forme associative tipiche, anche se non esclusive, previste dall’ordinamento per

l’esercizio collettivo di attività di impresa. Esistono diversi tipi di società e che la società semplice è

utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale, mentre gli altri tipi di società possono svolgere

sia attività non commerciale, mentre gli altri tipi di società possono svolgere sia attività agricola sia attività

commerciale.

Le società diverse dalla società semplice si definiscono tradizionalmente società commerciali e potranno

essere imprenditori agricoli o imprenditori commerciali a seconda dell’attività esercitata. Si distingue perciò

fra società di tipo commerciale con oggetto agricolo e società di tipo commerciale con oggetto commerciale.

L’applicazione alle società commerciali degli istituti tipici dell’imprenditore commerciale segue regole

parzialmente diverse da quelle viste per l’imprenditore individuale:

Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle società commerciali qualunque

sia l’attività svolta. C’è l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese anche per la tenuta delle scritture

contabili. Resta fermo l’esonero delle società commerciali che gestiscono un’impresa agricola dal fallimento

e dalle altre procedure concorsuali.

Le società non sono mai piccoli imprenditori. Non opera l’esonero dalle procedure concorsuali fondato sulle

dimensioni dell’impresa.

Nelle società in nome collettivo (snc) ed i accomandita semplice (sas) parte della disciplina

dell’imprenditore commerciale trova poi applicazione solo o anche nei confronti dei soci a responsabilità

illimitata.

Attività di impresa può essere esercitata anche dallo Stato e dagli altri enti pubblici. Tre sono le possibili

forme di intervento dei pubblici poteri nel settore dell’economia.

Lo Stato o altro ente pubblico territoriale possono svolgere direttamente attività di impresa avvalendosi di

proprie strutture organizzative, prive di distinta soggettività, ma dotate di una più o meno ampia autonomia

decisionale e contabile. L’attività d’impresa è per definizione secondaria ed accessoria rispetto ai fini

istituzionali dell’ente pubblico. Si parla perciò di imprese-organo.

Enti di diritto pubblico il cui compito istituzionale esclusivo o principale è l’esercizio di attività di impresa,

cioè enti pubblici economici. Fino al 1990 costituivano il nucleo centrale delle imprese pubbliche. Con una

serie di interventi legislativi, quasi tutti gli enti pubblici econo

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Enrica Bianchi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Scarpa Dario.