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RESPONSABILITA’. IN OGNI CASO SONO SALVI I DIRITTI ACQUISTATI
IN BUONA FEDE DA TERZI IN BASE AD ATTI COMPIUTI IN
ESECUZIONE DELLA DELIBERAZIONE.
L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERAZIONE NON PUO’ AVER LUOGO,
SE LA DELIBERAZIONE IMPUGNATA E’ SOSTITUITA CON ALTRA PRESA
IN CONFORMITA’ DELLA LEGGE E DELL’ATTO COSTITUTIVO.
L’art. 2377 codice civile si occupa dell’annullabilità delle delibere
assembleari e mantiene la formulazione previgente nella prima
parte della norma, disponendo che una delibera approvata è
efficace per la società e rappresenta espressione della volontà
sociale. Mentre al secondo comma riporta ancora una volta quella
che è la causa dell’annullabilità, cioè dispone che una delibera è
annullabile ogni qualvolta non è conforme alla legge o all’atto
costitutivo e sostanzialmente evidenzia quali sono i soggetti
legittimati a impugnare la deliberazione. Nell’attuale disciplina la
legittimazione all’impugnazione di una delibera annullabile è
riconosciuta ai soci assenti, dissenzienti o astenuti, agli
amministratori, al consiglio di sorveglianza, al collegio sindacale,
però con riferimento ai soci (a differenza della vecchia disciplina)
oggi l’attuale disciplina specifica qualcosa in più. Nella vecchia
disciplina, qualsiasi socio, purchè dissenziente o assente o astenuto
(non si parlava dell’astenuto nella previgente disciplina, ma si
riconosceva pacificamente che l’astenuto potesse impugnare la
delibera) era legittimato ad impugnare una delibera per
annullabilità. Nell’attuale disciplina non è più così. Il legislatore si
interessa dell’annullabilità e della nullità in maniera più
approfondita e prevede che i soci assenti, dissenzienti o astenuti
per chiedere l’annullabilità, devono essere portatori di una
determinata aliquota del capitale sociale (a differenza del passato)
e quindi devono rappresentare nelle società aperte (come le società
quotate) almeno l’uno per mille del capitale sociale. Nelle società
chiuse (non quotate) invece, devono rappresentare almeno il 5%
del capitale sociale. Il legislatore elimina tutta una serie di difficoltà
che erano emerse nella precedente disciplina. La moda
dell’invalidità delle delibere assembleari nasce negli anni 60-70,
quando cominciano anche i piccoli soci, quelli che avevano anche
un’azione di grandi società a impugnare le delibere per ottenere
qualcosa, evidentemente si trattava di un atteggiamento
ostruzionistico. Il legislatore taglia oggi così la possibilità di
comportamenti ostruzionistici e dispone che oggi legittimato
all’impugnativa non è solo l’amministratore, collegio sindacale e
consiglio di sorveglianza o il consiglieri di gestione, ma anche i soci
purchè astenuti, assenti o dissenzienti, solo qualora siano portatori
di azioni corrispondenti all’uno per mille del capitale sociale nelle
società aperte e al 5% nelle società chiuse.
Se c’è una delibera viziata (anche sa vizi di annullabilità, non è
conforme alla legge o all’atto costitutivo), il legislatore si è trovato
di fronte a dover tutelare l’interesse del socio con una singola
azione, perché si tratta di un socio che comunque ha un interesse:
non è l’interesse alla legalità, come prima si riteneva (ogni socio
poteva impugnare le delibere annullabili per un interesse generale
alla legalità e alla rispondenza dell’attività sociale alle regole
previste dalla legge). Il legislatore oggi invece degrada questo
diritto e dice questo:per chiedere l’annullabilità della delibera devi
essere portatore di quella determinata aliquota del capitale sociale
e se non raggiungi quella determinata aliquota, puoi comunque
esercitare un’azione nei confronti della società, ma non per ottenere
l’annullabilità della delibera che è uno strumento di tutela reale
che possono bloccare la società (strumenti che ripristinano la
legalità, lo status quo ante come nullità e annullabilità, che sono
strumenti di tutela reale perché all’esito di una decisione da parte
dell’autorità giudiziaria quella delibera nel caso concreto risulta
inefficace, come se non ci fosse mai stata; ab origine per la nullità,
a partire dalla dichiarazione per l’annullabilità- strumenti di tutela
obbligatoria sono invece quelli risarcitori) ma bensì obbligatoria.
I soci che dovessero subire un danno in virtù di una delibera viziata
da vizi di annullabilità e siano soci assenti dissenzienti o astenuti
ma non raggiungano l’aliquota richiesta, non potranno chiedere
l’annullabilità ma potranno chiedere il risarcimento del danno
subito.
Questa è una norma che elimina i diritti dei soci non portatori di
quella determinata aliquota, perché il legislatore non dispone
soltanto che a fronte di uno strumento di tutela reale per gli
azionisti che siano portatori di quell’aliquota sociale vi è uno
strumento di tutela obbligatoria per gli altri, per coloro che non
raggiungano quell’aliquota, ma dice anche che la tutela
obbligatoria, cioè il risarcimento del danno, vi sarà qualora dalla
delibera derivi direttamente un danno al socio. Obiettivamente
individuare delibere che giustifichino un danno diretto nei confronti
di uno socio non è cosa facile. Di solito se una delibera è viziata, è
contraria alla struttura della società, quindi la giustificazione
dell’impugnativa da parte del socio sta nella circostanza che il socio
tende al controllo dell’operato della maggioranza.
E’ ben difficile individuare delle delibere che cagionino un danno
diretto al socio, infatti, azioni in questo senso se ne contano
pochissime dall’introduzione della riforma ad oggi (sono passati
ormai quasi 10 anni). Nei fatti il legislatore ha tagliato quello che
era un diritto riconosciuto a tutti i soci e lo ha considerato come
diritto di una maggioranza qualificata (5% o 1 per mille). L’azione
per ottenere il risarcimento del danno da parte del socio che non
raggiunge quell’aliquota va esercitata comunque entro 90 giorni:
rimane anche sotto il profilo della tutela reale il termine di 90 giorni.
Un giudizio di risarcimento del danno si può avviare solo provando il
fatto illecito (contrattuale o extra contrattuale), il nesso di causalità,
il dolo, la colpa e il danno. E’ necessario quindi che il danno si sia
già verificato. Di solito il danno non si verifica entro 90 giorni per cui
nessuno inizia tale azioni, da un lato perché è difficile che una
delibera ancorché viziata provochi un danno diretto al socio, ma è
difficile anche che si verifichi in quel lasso di tempo.
Il legislatore ha diminuito il potere dei singoli soci di impugnare le
delibere annullabili per vizi non particolarmente importanti e quindi
il legislatore ha preferito tutelare la snellezza delle scelte societarie
e la dinamicità dell’attività economica piuttosto che il diritto del
singolo esercitato per lo più per fini ostruzionistici. L’art. 2377
comma 5 a differenza del passato individua tre specifiche cause di
annullabilità. La delibera è annullabile quando non è conforme alla
legge o allo statuto, ma è anche annullabile in questi tre casi. Il
legislatore approccia la norma in negativo, infatti dispone che la
delibera non può essere annullata:
Per la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate,
1. salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini
della regolare costituzione dell’assemblea ai sensi del
2368-2369
Questo è il primo caso. Dobbiamo interpretare la norma in positivo
perché in negativo non è chiara. La delibera è annullabile ogni
qualvolta vi sia la presenza di tanti soggetti non legittimati
all’intervento in assemblea tali da essere determinanti ai fini
dell’individuazione del quorum costutivo.
Esempio:
assemblea con 100 soci ognuno portatore di un’azione; poniamo
che si tratti di una delibera di approvazione del bilancio in prima
convocazione. Il quorum costitutivo consiste in più della metà del
capitale sociale; ci sono 51 soci, due dei quali però non sono
legittimati ad intervenire, perché magari hanno venduto le azioni e
si sono presentati ancora in forza del loro vecchio titolo, ma non
hanno alcun titolo per stare in assemblea. Quei due soci
sostanzialmente sono determinanti per l’individuazione del quorum
costitutivo perché qualora non ci fossero stati non si sarebbe
raggiunto il quorum costitutivo. E’ annullabile la delibera ogni
qualvolta sono presenti soci non legittimati tanto da essere
determinanti ai fini della individuazione del quorum costitutivo.
Per invalidità dei singoli voti o per il loro errato conteggio,
2. salvo che il voto invalido o l’errore di conteggio, siano stati
determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza
richiesta.
In questo caso invece il legislatore guarda al quorum deliberativo e
dice: se il voto è invalido per tanti soci che permettano di
raggiungere il quorum deliberativo, in questo caso la deliberazione
è annullabile.
Infine, la TERZA IPOTESI (detta già in positivo): in caso di
incompletezza del verbale, tale che il verbale impedisca di
individuare il contenuto, gli effetti e la validità della delibera.
Vediamo ora come mai l’inesistenza, in virtù di queste tre ipotesi,
sembra in un certo senso essere superata.
La seconda ipotesi è relativa all’erroneo conteggio ovvero al
mancato raggiungimento del quorum deliberativo in virtù di alcuni
voti invalidi. Nel vigore della previgente disciplina, molti autori
avevano ritenuto che fase del procedimento deliberativo è quella
dell’espressione del voto della maggioranza richiesta per la
deliberazione. L’approvazione da parte della maggioranza quindi è
una fase essenziale della libera, così come la costituzione
dell’assemblea. Rientriamo quindi tanto nella prima quanto nella
seconda ipotesi che oggi vengono cristallizzate nell’albero della
annullabilità, nella interpretazione della dottrina espressasi nel
vigore della precedente disciplina queste due ipotesi erano causa
di inesistenza della delibera, perché si diceva da un lato manca la
fase dell’approvazione della deliberazione,se vi sono dei voti invalidi
determinanti per l’assunzione della de