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Così il codice del 1942 accanto alle imprese definite dall’articolo 2195
commerciali, prevede l’impresa agricola disciplinata dall’articolo 2135.
Al riguardo però deve sottolinearsi una evoluzione legislativa che ha
sottolineato la distinzione tra attività di mero sfruttamento del fondo e la
agricoltura industrializzata, e conduce ormai a riconoscere che gli elementi
caratteristici della funzione imprenditrice, sussistono solo nel campo della
agricoltura industrializzata.
Il testo originario dell’articolo 2135 dopo aver definito imprenditore agricolo, chi
esercita una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura,
all’allevamento del bestiame, e attività connesse considera, al 2 comma, come
attività connesse, quelle dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti
agricoli, solo, però, quando rientrano nel normale esercizio dell’agricoltura.
Da ciò si desumeva che queste attività non erano considerate come rientranti
nell’attività agricola, ma erano considerate come da questa distinte anche se
potevano essere con essa collegate. Questo collegamento assumeva rilievo
giuridico, al fine di sottrarre le attività stesse ai normali principi propri delle
attività industriali e di assoggettarle ai principi che regolano l’attività agricola
soltanto in quanto tale collegamento rispondesse a un criterio di normalità.
E si desumeva inoltre che l’elemento teleologico, ossia lucrativo mancava del
tutto nella normalità delle ipotesi di quello che si voleva definire come
imprenditore agricolo; infatti l’intento dell’agricoltore era quello di ricavare dalla
coltivazione diretta del fondo o dalla silvicoltura i frutti , non anche quello di
produrre per vendere e cioè di esercitare attività di intermediazione a scopo di
lucro.
Nel sistema originario, insomma, la funzione dell’imprenditore agricolo o
addirittura si esauriva nell’attività produttiva o era comunque prevalentemente
produttiva ed era semplicemente collegata all’attività di trasformazione o di
scambio, ma non si poneva in funzione di un’attività di scambio.
Qualora invece l’attività produttiva risultasse un elemento, una fase della
complessa attività imprenditrice allora si esulava dal campo dell’impresa
agricola per rientrare nel campo dell’impresa industriale.
In definitiva nel sistema originario del codice, l’impresa agricola non rientrava
nella nozione di impresa intesa come attività organizzata, professionale ed
economica, la quale si ricava dal combinato disposto degli artt 2082 e 2555 cc.
Per l’impresa agricola l’attività svolta è diretta alla coltivazione del fondo ed il
soddisfacimento dei bisogni altrui o del mercato generale non è il suo scopo,
ma è lo scopodell’impresa. Tanto è vero che le direttive fondamentali per
l’esercizio della agricoltura nella carta costituzionale non sono contenute
nell’articolo 41 dove si disciplina l’iniziativa privata economica, ma bensì
nell’articolo 44 ove si fa riferimento alla proprietà terriera.
La materia ha subito delle profonde modificazioni. In un primo momento
l’obbligo della iscrizione nel registro delle imprese era riservato ai soli
imprenditori commerciali, ed è stato poi esteso ai piccoli imprenditori a quelli
agricoli ed alle società semplici, i quali erano soggetti ad iscrizione ma nella
sezione speciale del registro con effetti di mera pubblicità notizia. In un secondo
tempo si è modificata la stessa nozione di imprenditore agricolo arrivando a
riconoscere alla iscrizione nel registro delle imprese degli imprenditori agricoli
effetti di pubblicità dichiarativa o legale. ( dlgs. Numero 228 del 2001). Secondo
la nuova definizione è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti
attività : coltivazione del fondo, selvicoltura allevamento di animali ed attività
connesse.
Solo che ora si fa riferimento alle attività diretta alla cura ed allo sviluppo di un
ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso , che utilizzano o possono
utilizzare il fondo, il bosco, le acque dolci, salmastre o marine. Mentre per
attività connesse si intendono quelle attività di manipolazione, conservazione,
commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti
PREVALENTEMENTE con una delle attività sopra indicate.
In tal modo è evidente che la figura dell’imprenditore agricolo risulta diversa
rispetto a quella originaria.
La centralità del ciclo biologico ritiene essenziale per l’acquisto della qualità di
imprenditore agricolo lo svolgimento di una vera e propria attività, quella cioè
avente ad oggetto non il bene agricolo in se considerato, ma il suo ciclo
biologico.
Inoltre il distacco dal fondo conferma la necessità di distinguere l’imprenditore
agricolo da colui che si limita a compiere atti di mero godimento o di
disposizione del fondo di cui risulta il proprietario.
Il nuovo articolo 2135 non fa più riferimento al criterio della normalità, ma
aquello della prevalenza, riferito alla provenienza dell’oggetto dell’attività. Tale
criterio di prevalenza rischia però di portare ad una disparità di trattamento
giuridico tra due situazioni oggettivamente analoghe. Allora appare necessario
continuare a distinguere, al di la della formulazione unificante adottata dal
legislatore, i diversi fenomeni economici che possono verificarsi in materia
agricola.
In particolare, qualora la produzione e trasformazione di beni e di servizi
assuma il carattere di attività industriale e si è allora in presenza di imprese
commerciali, ai sensi dell’art 2195 cc, come tali soggette all’intero statuto
dell’imprenditore commerciale. Infatti, la circostanza che una determinata
attività debba intendersi, ai sensi dell’art 2135 cc, come attività agricola per
connessione, non risulta di per se di ostacolo a qualificarla altresì, qualora ne
ricorrano i presupposti, come attività commerciale ex art 2195.
Fondamentale elemento di distinzione è l’intento lucrativo dell’imprenditore;
solo in questo caso la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l’allevamento di
bestiame costituiscono un momento di attività economica organizzata, solo in
questo caso il fondo è un elemento della complessa organizzazione e l’impresa
agricola coincide con l’impresa economica disciplinata dall’articolo 2082.
Se queste considerazioni sono esatte la contrapposizione tra attività agricola e
attività commerciale si supera nell’ambito dell’impresa e all’identità di struttura
e di esigenze corrisponde un’identità di disciplina.
Al di fuori di questa ipotesi vi è attività organizzata, ma non l’impresa ,
mancando l’elemento teleologico manca l’aspetto funzionale tipico dell’attività
imprenditrice.
Nonostante le profonde modificazioni della nozione e della disciplina
dell’impresa agricola, resta dunque fermo che non esistono imprese diverse da
quella commerciale: nel sistema originario si arrivava a tale conclusione
negando a quella agricola il carattere di impresa in senso tecnico, in quello
attuale vi si giunge affermando che l’impresa agricola altro non è che una
impresa commerciale ed in particolare una impresa industriale nel campo della
agricoltura.
IMPRESA E PICCOLA IMPRESA: la differenza è anzitutto quantitativa, ma anche
qualitativa: l’impresa è attività che si esplica in un organismo produttivo, è
attività di organizzazione al fine della realizzazione del reddito. L’attività
organizzatrice dell’imprenditore non può attuarsi in mancanza della azienda.
Elemento qualificante della impresa è che l’attività si esplica in un organismo
economico, che ha una propria autonomia economica ed una funzione
indipendente dalla persona che lo ha creato. La piccola impresa è invece
l’attività personale del soggetto, è attività esecutiva più che di organizzazione.
La differenza sta appunto nel fatto che nella piccola impresa l’organizzazione è
un mezzo per la esplicazione della propria attività personale , mentre nella
impresa si fa riferimento ad un organismo economico che ha una propria
capacità produttiva e può staccarsi dalla persona che lo ha creato. La legge non
fissa un limite dimensionale per distinguere piccola impresa da impresa
economica ma ricomprende nella categoria dei piccoli imprenditori secondo
l’articolo 2083 i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e
coloro che esercitano una attività professionale organizzata prevalentemente
con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Solo in materia
fallimentare ci sono dei limiti previsti che se superati determinano
l’assoggettamento a fallimento anche per i piccoli imprenditori: a) investimenti
per 300.000 euro, b) ricavi lordi per 200.000 euro e c) debiti attuali anche non
scaduti non superiori a 500.000 euro. Ora la prevalenza del lavoro proprio è
secondo una dottrina sia rispetto al lavoro altrui, sia rispetto al capitale
investito; ma secondo una più autorevole dottrina la prevalenza del lavoro
proprio è sull’ elemento organizzativo che è solo accessorio può esserci come
non. I piccoli imprenditori non sono soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture
contabili.
IMPRESA FAMILIARE: l’impresa familiare è disciplinata dall’articolo 230 bis, è una
impresa per lo più piccola che si attua nell’ambito della famiglia. In questa oltre
all’ imprenditore collaborano il coniuge, i parenti ( fino al 3 grado) e gli affini
(fino al 2 grado), tutti soggetti che svolgono in modo continuativo una attività di
lavoro basata non su rapporto di lavoro subordinato, ma su rapporto di famiglia.
È un istituto residuale, che presuppone che i familiari facciano parte della
famiglia cioè convivano. Ha punti di contatto con la piccola impresa in quanto
postula esercizio di attività professionale con il lavoro proprio e dei familiari. Ha
punti di contatto anche con la comunione tacita perché si fonda sull’AFFECTIO
FAMILIAE. Rimane però una impresa individuale. Il legislatore riconosce a tale
forma di impresa diritti sia sul piano patrimoniale ( diritto al mantenimento,
diritto alla partecipazione degli utili, diritto sui beni acquistati con gli utili, diritto
di prelazione in caso di trasferimento della azienda) , sia sul