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In relazione alla natura dell’attività esercitata, gli imprenditori si distinguono in agricoli e
commerciali.
Secondo la giurisprudenza, infatti, non è ammissibile un’impresa c.d. civile, cioè
un’impresa che non sia né agricola né commerciale, perché tutte le attività economiche che non
sono agricole sonno, per esclusione, commerciali: un imprenditore quindi è agricolo oppure, se
non è agricolo, è necessariamente un imprenditore commerciale.
La definizione normativa dell’imprenditore agricolo contenuta nel codice civile è stata
oggetto di una riforma (attuata con il d.lg. 18 maggio 2001, n. 228), che ha accolto una nozione
più ampia e moderna della impresa agricola.
È un imprenditore agricolo colui che esercita un’attività diretta alla coltivazione di un
fondo o di un bosco, all’allevamento di animali oppure un’altra attività connessa alla agricoltura.
Le attività agricole quindi si distinguono in principali, quando è sufficiente l’esercizio anche
soltanto di una di queste attività per essere considerato un imprenditore agricolo, e connesse.
Le attività agricole principali sono indicate nel primo comma dell’articolo 2135 e
comprendono la coltivazione di un fondo o di un bosco (c.d. selvicoltura) e l’allevamento di
animali.
È da notare che, a differenza del codice civile del 1942, viene considerato un imprenditore
agricolo a titolo principale chi si dedica all’allevamento non soltanto di <<bestiame>> in senso
a fine capitolo c’è un approfondimento sulla pubblicità legale e l’iscrizione nel registro delle
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imprese.
stretto (cioè degli animali collegati tradizionalmente alla coltivazione del fondo: i bovini, gli equini,
i suini, gli ovini, i caprini) ma anche, più in generale, di qualsiasi altra specie di animali (i polli, i
conigli, i tacchini, le api, i bachi da seta ecc.)
Il caso L’attività del proprietario del terreno è un’attività di allevamento di animali e quindi dà
luogo, dal punto di vista giuridico, a una impresa agricola.
Per <<coltivazione>> e <<allevamento>> si devono intendere tutte le attività dirette alla
cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere
vegetale o animale: è necessario, quindi, che le specie vegetali o animali subiscano un processo
di trasformazione biologica per effetto dell’attività umana.
Art. 2135. (Imprenditore agricolo)
È imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura,
all'allevamento del bestiame e attività connesse.
Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli,
quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura.
Anche se svolta professionalmente non dà luogo a un’impresa agricola una attività di semplice
“sfruttamento” dei prodotti naturali, come la raccolta dei frutti selvatici o la cattura di cavalli allo stato
brado e la loro successiva rivendita.
Ricordiamo che le attività di coltivazione e di allevamento sono considerate agricole
quando <<utilizzano o possono utilizzare>> come fattori produttivi delle risorse naturali (cioè un
fondo, un bosco o anche l’acqua): rientrano nelle attività agricole, pertanto, anche le coltivazioni
artificiali e gli allevamenti in batteria.
Le attività agricole per connessione sono indicate nel secondo comma dell’articolo
2135 e devono essere esercitate da un soggetto che è già un imprenditore agricolo a titolo
principale, in quanto svolge un’altra attività agricola di coltivazione o di allevamento.
In primo luogo le attività connesse comprendono le attività dirette alla manipolazione,
conservazione, trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli, a condizione che riguardino
prevalentemente prodotti propri, ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco oppure
dall’allevamento degli animali: si pensi, ad esempio, alla produzione di vino dall’uva o di olio dalle
olive, alla lavorazione del formaggio dal latte, alla vendita di frutta e verdura ecc.
Prima della riforma, invece, le attività di trasformazione e alienazione di prodotti agricoli
erano considerate agricole soltanto se rientravano nell’esercizio normale dell’agricoltura, cioè
nella pratica agraria esistente in una determinata zona.
Non è imprenditore agricolo, e quindi è un imprenditore commerciale, chi esercita soltanto
un’attività industriale connessa (per esempio l’industriale che acquista i pomodori dagli agricoltori per
produrre la conserva) o chi svolge un’attività connessa del tutto indipendente dalla attività agricola
principale (per esempio l’allevatore di bovini che vende il formaggio pecorino acquistato da alcuni pastori)
oppure chi utilizza in modo prevalente prodotti agricoli altrui (per esempio un floricoltore che acquista più
della metà dei fiori da altri produttori e li rivende).
In secondo luogo le attività connesse comprendono le altre attività dirette alla fornitura di
beni o di servizi, a condizione che utilizzino in modo prevalente le attrezzature e le risorse
impiegate normalmente nell’attività agricola: si pensi ad un allevatore di cavalli che gestisce
anche un maneggio.
Sono qualificati espressamente come imprenditori agricoli anche le cooperative di
imprenditori agricoli e i loro consorzi, quando impiegano prevalentemente i prodotti dei soci per
svolgere un’attività agricola o forniscono prevalentemente ai soci beni o servizi diretti alla cura e
allo sviluppo del ciclo biologico (art. 1 d.lg. 18 maggio 2001, n. 228).
In base alla legge infine, rientra nelle attività agricole l’agriturismo, consistente nel fornire
vitto e alloggio nelle aziende agricole e nell’organizzare attività ricreative, culturali e didattiche,
escursionistiche ecc. dirette a valorizzare il territorio e il patrimonio rurale (compresa l’attività di
degustazione dei prodotti aziendali; l. 20 febbraio 2006, n. 96).
È da ricordare che sono considerate a tutti gli effetti attività agricole ai sensi dell’articolo
2135 del codice civile, indipendentemente dal fatto di essere correlate o meno alla gestione di un
fondo, anche la coltivazione di funghi (l. 5 aprile 1985, n. 126), la coltivazione e il commercio di
tartufi (l. 16 dicembre 1985, n. 752) e l’apicoltura (d.lg. 24 dicembre 2004, n. 313).
Una figura particolare è l’imprenditore agricolo professionale, cioè il soggetto che, oltre
a disporre di specifiche conoscenze e competenze, svolge in modo professionale un’attività
agricola principale o connessa, in quanto vi dedica almeno il 50% del suo tempo lavorativo e ne
ottiene almeno il 50% del suo reddito (d.lg. 29 marzo 2004, n. 99); inoltre le società che hanno
come oggetto esclusivo un’attività agricola devono inserire l’indicazione <<società agricola>>
nella loro ragione o denominazione sociale; le qualifiche in esame sono rilevanti esclusivamente ai
fini delle agevolazioni creditizie e fiscali previste dalle leggi speciali.
Nel sistema attuale l’imprenditore agricolo conserva una condizione più favorevole, in
quanto non è sottoposto alla disciplina più rigorosa (e, in particolare, non è soggetto alla
dichiarazione di fallimento in caso di insolvenza) prevista dalla legge per l’imprenditore
commerciale.
Secondo l’opinione prevalente il trattamento di favore riservato all’imprenditore agricolo è
giustificato dal fatto che, all’epoca della codificazione, le attività agricole erano caratterizzate da
uno scarso impiego di capitali e, di conseguenza, da un minore ricorso al credito. Da questo
punto di vista, però, come è stato rilevato, il diffuso processo di capitalizzazione dell’agricoltura
ha reso la gestione di una moderna impresa agricola non molto diversa, sotto l’aspetto
economico e finanziario, da quella di un’impresa industriale o commerciale.
Una parte della dottrina invece ritiene che le agevolazione a favore dell’agricoltura siano
ancora giustificate perché un’attività agricola, per il fatto stesso di utilizzare normalmente la terra
come fattore produttivo, è esposta a un duplice rischio di impresa. L’agricoltore, infatti, oltre al
rischio economico di non riuscire a coprire i costi di produzione con i ricavi delle vendite, incontra
un ulteriore rischio ambientale, collegato agli effetti delle condizioni meteorologiche e climatiche
sulla produzione agricola. Secondo questa interpretazione quindi, che è seguita dalla
giurisprudenza, le facilitazioni concesse agli imprenditori agricoli hanno la funzione di “bilanciare”
il maggiore rischio a cui sono esposti nell’esercizio della loro attività.
La pubblicità legale
Il caso Gli amministratori di una società, che è stata costituita per l’esercizio di una attività
commerciale, non provvedono all’iscrizione nel registro generale delle imprese. Chi deve
provvedere, anche in mancanza di una esplicita richiesta, alla iscrizione della società?
Le imprese commerciali sono sottoposte a un sistema di pubblicità legale, che consente
ai terzi (le banche, i fornitori, i dipendenti ecc.) di conoscerne gli atti e i fatti principali attraverso la
loro iscrizione in un registro pubblico, consultabile da chiunque vi abbia interesse.
Il registro delle imprese, attraverso il quale si realizza il sistema di pubblicità legale, è
tenuto da un apposito ufficio del registro delle imprese.
L’ufficio del registro è istituito presso la Camera provinciale di commercio e opera sotto la
vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale.
In base alla legge, nel registro generale delle imprese devono iscriversi:
- gli imprenditori individuali che svolgono attività commerciale, esclusi però i piccoli imprenditori;
- le società commerciali e le società cooperative, anche quando esercitano una attività non
commerciale;
- gli enti pubblici economici, cioè gli enti pubblici che hanno come oggetto esclusivo o principale
l’esercizio di un attività commerciale;
- i consorzi con attività esterna, vale a dire le associazioni di imprenditori che hanno rapporti
giuridici anche on i terzi estranei al consorzio.
L’imprenditore deve presentare la richiesta di iscrizione nel registro delle imprese
entro trenta giorni dall’inizio dell’attività; la domanda deve essere r