vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Ma le società cooperative e le imprese pubbliche non hanno scopo di lucro eppure sono
espressamente imprese. Le imprese pubbliche non hanno scopo di lucro a livello soggettivo ma a
livello oggettivo si. Per le cooperative, siamo sicuri che accanto allo scopo mutualistico non ci sia
anche uno di lucro? Da un punto di vista oggettivo è vero che queste società non hanno il movente
psicologico di guadagnare il più possibile ma c'è comunque una massimazione dei guadagni.
Le cooperative possono essere o in forma si srl o snc.
3
Nella pratica, nell'ultimo anno si è iniziato a discutere sulla possibilità di far fallire gli enti
ecclesiastici e le ONLUS. Pensiamo al San Raffaele è un ospedale che svolge attività
imprenditoriale e avrebbe dovuto farlo in modo economico ma ora c'ha i debiti. Però si dice che non
può fallire perché non è impresa in quanto non ha scopo lucrativo. Anche l'IDI a Roma per il quale
è stato aperto un concordato e come ha fatto a farlo il Tribunale fallimentare se è un ente
ecclesiastico? Ha utilizzato una nozione abbastanza ampia di impresa ritenendo impresa ogni
attività svolta con metodo economico nella quale per la complessità dell'attività svolta è comunque
necessario per garantirne il funzionamento una massimazione dei ricavi e quindi almeno per
l'attività sanitaria svolta l'IDI è stata riconosciuta impresa. Alle procedure concorsuali sono soggetti
solo gli imprenditori commerciali.
Negli ultimi mesi alcuni giudici si interrogano se sottoporre a procedure concorsuali le
organizzazione umanitarie. Per alcune di queste si è parlato di una procedura di
sovraindebbitamento che è simile al concordato preventivo ma per chi non è imprenditore
commerciale. Ma il tribunale l'ha vietato perché sarebbe attività commerciale in senso lato.
Attività professionale: costante e normale esercizio della propria attività.
Impresa per conto proprio. Il problema è risolvibile anche nell'ottica dell'impresa come attività
professionale dicendo che non è impresa perché non è continua. Tutta la disciplina dell'impresa è
fatta per tutelare i creditori.
Imprenditore occulto
Acquisto della qualità di imprenditore.
Per le imprese individuali tutti concordano che la qualità di imprenditore si ha solo tramite un
esercizio effettivo dell'impresa: principio di effettività.
Quanto alle società, la dottrina dominante utilizza un sistema semplificato: per potersi parlare di
società è sufficiente la costituzione della società stessa in quanto è l'accordo di più soggetti
all'esercizio dell'impresa. Invece la singola persona può avere una pluralità di obbiettivi dai quali
non è facile capire se vuole svolgere attività di impresa.
La società è l'accordo tra due o più soggetti per porre in essere un'attività economica.
Una parte minoritaria della dottrina (Campobasso) ritiene invece che anche per le società debba
vigere il principio di effettività e diventano tali solo con l'esercizio effettivo della società per cui
l'accordo è solo la manifestazione dell'intenzione o della volontà di dar vita all'impresa.
Questo è il primo criterio alla base dell'acquisto della qualità di imprenditore.
Poi c'è il principio della spendita del nome ossia gli atti sono riferiti al soggetto il cui nome è speso
nel traffico giuridico e lui sarà responsabile nei confronti dell'acquirente o terzo.
4
Il principio della spendita del nome vale in generale nel contratto e in particolare nel mandato e
meglio ancora nel mandato senza rappresentanza.
Nel mandato senza rappresentanza il mandatario non spende il nome del mandante e gli effetti degli
atti saranno in capo a lui. Lo stesso si ha nella società col rinvio all'art. 1705 cc.
Se l'attività esecutiva è fatta da un altro soggetto che ha la rappresentanza non ci sono sorprese né
problemi, si pensi all'institore o altri.
Il problema si pone quando l'impresa viene esercitata da una persona diversa dall'imprenditore
(prestanome) che agisce in nome proprio e quindi il problema si ha quando l'attività viene esercitata
per interposta persona.
In alcuni casi si ricorre all'imprenditore occulto per aggirare divieti legislativi. Per esempio gli
impiegati statali per legge non possono svolgere attività di impresa e allora la si fa aprire ad altri. In
altri casi lo si fa quando si pone in essere una attività in un settore particolarmente rischioso.
Nell'impresa in realtà problemi non se ne pongono se il prestanome paga tutto quello che c'è da
pagare e l'impresa va bene. I problemi si hanno se le cose vanno male. E il problema si pone
soprattutto per i soggetti più deboli.
Nel nostro ordinamento vige la regola della spendita del nome quindi come si fa ad agire contro un
soggetto che non spende il suo nome, né lo spendono altri. Così all'inizio si diceva che non si può
agire contro l'imprenditore occulto ex 1705 che ha portata generale.
Vecchio codice di commercio per cui falliva solo chi poneva in essere atti di commercio.
In contrapposizione a questa tesi col nuovo codice civile, parte della dottrina ha rivelato come ci
fossero una serie di diposizioni in base alle quali potesse fallire l’imprenditore occulto.
Art. 2208 cc: Institore, per tutelare l'affidamento del terzo ma è un'ipotesi diversa da quella
dell'imprenditore occulto.
Art. 2267 cc.
Artt. 2291, 2320 cc.
Walter Bigiavi, creatore della teoria dell'imprenditore occulto. Per riconoscere la responsabilità
dell'imprenditore occulto, il cui problema sorge in situazioni patologiche, e fa tutta una
ricostruzione sull'art 147 vecchio testo della legge fallimentare.
Il secondo comma del 147 prevedeva che poteva essere dichiarato fallito un altro socio
illimitatamente responsabile rimasto occulto. Fallimento di socio occulto di società palese.
Se dietro il fallimento di un impresa c'è una società, si deve dichiarare il fallimento della società e
dei soci di questa illimitatamente responsabile perché altrimenti si tratterebbero diversamente
fenomeno uguali.
5
Se per legge fallisce il socio occulto di società palese allora fallisce anche il socio occulto di società
occulta. Da qui ci si dice che si deve riconoscere e dichiarare fallito chiunque palesemente od
occultamente domina un'impresa, chiunque ha un potere di responsabilità dell'impresa, anche
occultamente perché si deve vedere se domina l'impresa. Non è importante l'esteriorizzazione del
rapporto ma per tutelare i creditori e il 147 vuole garantire i terzi creditori dell'impresa.
Così Bigiavi fa fallire il socio tiranno ecc ecc.
Tutto questo discorso è sul fallimento ma poi viene generalizzato.
La dottrina di Bigiavi è stata criticata dalla giurisprudenza prevalente che ha detto che il principio
del secondo comma del 147 non poteva essere esteso in maniera analogica ma negli anni ’70 / ‘80
poi nella pratica arrivava agli stessi risultatiti di Bigiavi perché anche la giurisprudenza voleva far
valere la responsabilità dell’imprenditore occulto. Tramite la società di fatto.
Le società di fatto sono società di persone a cui si applica la disciplina della società semplice e tutti
i soci sono illimitatamente responsabili. Si arriva alla stesso conclusione di Bigiavi tramite una
finzione.
Una finzione ancora più grande è far finta che accanto all'imprenditore occulto c’è la c.d. impresa
fiancheggiatrice, quando l'imprenditore occulto faceva dei finanziamenti.
L'impresa fiancheggiatrice fa un'attività di servizi per il prestanome. E quindi si dichiarava prima il
fallimento dell’impressa di persona e poi di quella fiancheggiatrice.
L'art 2318 cc prevede che in materia di SAS l'amministrazione può esser conferita solo ai soci
accomandatari che sono con responsabilità illimitata.
La responsabilità è sempre connessa al potere di gestione.
Tutti vogliono riconoscere la responsabilità dell'imprenditore occulto ma vige il principio non
superabile della spendita del nome. Quindi come si fa? Ferri trova una delle poche soluzioni
intelligenti: è vero che il principio della spendita del nome si applica in campo societario e non
dobbiamo disapplicarlo ma il rapporto imprenditore occulto - prestanome non centra niente col
1705 e più in generale è un rapporto differente da quello a cui normalmente si applica la spendita
del nome. Il principio si applica quando il mandante attribuisce al soggetto il potere di porre in
essere degli atti per il mandante stesso. Quindi il mandante vuole che il mandatario ponga in essere
quegli atti e vuole che ci sia la spendita del nome e la rappresentanza. L'imprenditore occulto invece
vuole nascondersi dietro il prestanome.
Quindi un conto è agire per nome altrui e altro per azione altrui. Non c'è un problema di spendita
del nome. Accanto al prestanome che rientra nel 1705 dobbiamo trovare un altro nome per
l'imprenditore occulto.
6
La responsabilità è in capo al soggetto che esercita l'attività volitiva e che quindi esercita l'impresa e
si richiama di nuovo il secondo comma del 147 nel testo originario e a maggior ragione quello
attuale, l'art 2218, normativa in materia di società unipersonale.
Quindi sarà sempre responsabile chi vuole compiere l'atto e ha attività volitiva, chi sceglie, e il
prestanome non sceglie nulla e per questo si sanziona l'imprenditore occulto.
La dottrina fino alla riforma del diritto societario ha seguito la tesi di Ferri e Bigiavi. Non si è mai
capito perché la giurisprudenza maggioritaria no ma fino agli anni '90, quando si afferma che
l'impresa dell'imprenditore occulto è la capogruppo di un gruppo e controlla l'impresa del
prestanome. L’imprenditore occulto può essere una persona o una società, quindi parte della
disciplina viene ricondotta alla holding individuale e altra societaria.
La Cassazione, con sentenza poco chiara 1439 del 1990, a livello teorico riconosce la necessità di
trovare un metodo per far fallire l''imprenditore occulto estendendo il fallimento. Riconosce che si
può utilizzare la fictio del gruppo. Poi però definisce quando si può usare questa fictio e considerare
il soggetto come holding individuale. E lo si può fare solo quando l'impresa dell